Industria, produzione in crescita. Ma nell’Alessandrino c’è poca capacità di fare ricerca e innovazione? [Centosessantacaratteri]

di Enrico Sozzetti

 

Una analisi statistica per dire che Alessandria è «la migliore del Piemonte» e una considerazione conclusiva che dovrebbe preoccupare non poco, ma che quasi passa in secondo piano benché rappresenti la perfetta sintesi di in sistema imprenditoriale (e associativo perché le organizzazioni di rappresentanza hanno pesanti responsabilità) lontano dalla piena maturità, efficienza e capacità che periodiche indagini sembrano invece attribuire al territorio.

A distanza di una decina di giorni dalla diffusione dei risultati dell’indagine congiunturale di Unioncamere Piemonte (frutto della collaborazione con Confindustria Piemonte, IntesaSanpaolo e Unicredit) è arrivata la nota provinciale elaborata dalla Camera di Commercio di Alessandria. In apertura del comunicato sembra andare tutto bene. «L’indice della produzione industriale nel quarto trimestre 2018 – si legge – segna più 2,8 per cento rispetto a un anno fa: il miglior dato del Piemonte (dove la media segna meno 0,4 per cento)». Rispetto alla rilevazione che ha coinvolto 151 imprese industriali della provincia (pari a 5.724 addetti e un fatturato complessivo di 2,2 miliardi di euro) non mancano le parole positive di Gian Paolo Coscia, presidente dell’ente camerale, che parla del «migliore dato del Piemonte» e di un trend «che ha interessato tutto il 2018, con una punta di più 7 per cento nel primo trimestre 2018. Il traino risiede nell’industria chimica, affiancata dall’alimentare. Tutti gli indicatori congiunturali sono positivi, segno che Alessandria, nel panorama piemontese (e non solo, perché la Lombardia segna +1,9 per cento e il Veneto +2,2 per cento, inferiori al nostro dato) si mantiene un motore a pieno regime».

Il dato statistico è importante perché sintetizza un trend, però se non è contestualizzato e analizzato vuole dire tutto e niente. L’anno scorso si è chiuso con «dati medi positivi su tutte le industrie, con punte nella chimica (+3,6 per cento) e altre industrie manifatturiere (+4,4 per cento), mentre sotto il profilo della classe dimensionale, è la media industria a trainare (+4,7 per cento) con dati medi positivi per tutte le classi». Dal macro al micro: la grande industria alimentare «realizza un’ottima performance con un +4 per cento, l’industria chimica segna il dato più alto dell’intero quadro con un più 30 per cento, mentre ci sono problemi nella piccola industria chimica con un meno 4,2 per cento, però la media industria sopperisce con più 6,9 per cento». Infine la gioielleria che è «complessivamente positiva, ma nella media industria c’è la più elevata negatività del quadro trimestrale: meno 5 per cento. Incrociando i dati, è la media industria a trainare, in particolare l’industria chimica».

L’indagine camerale a chiusura del 2018 fornisce un quadro che deve essere però in parte rivisto alla luce della rilevazione congiunturale trimestrale di Confindustria Alessandria (cui ha collaborato un campione di novantotto aziende su circa cinquecento associate) presentata a metà gennaio. Alcuni settori che alla fine del 2018 sembravano in corsa, manifestano invece criticità nei primi mesi del 2019, mentre luci e ombre si mescolano sempre di più fra contraddizioni, crescita e improvvise frenate. Comunque non mancano le «notizie confortanti», come le ha definite Confindustria, grazie a quelle realtà che «puntando su ricerca e innovazione riescono a mantenere, quando non aumentare, la presenza sul mercato». Peccato che proprio l’indagine camerale contenga una fotografia diversa. «Il sessanta per cento delle industrie alessandrine ha effettuato investimenti nel 2018 (media regionale: 57 per cento), principalmente in macchinari e attrezzature. Gli investimenti, tuttavia, sono stati, per il 50 per cento, inferiori a 25.000 euro, ed è stato l’autofinanziamento il canale principale di finanziamento» si legge. La sintesi è «bassi investimenti, autofinanziati, che non sfruttano gli incentivi a disposizione (credito d’imposta, superammortamento, iperammortamento, nuova Sabatini)».

Se la provincia di Alessandria può fortunatamente contare su parecchie eccellenze dai grandi numeri di fatturato e occupazione, quello che continua a soffrire è il corpo imprenditoriale intermedio che si distingue per «poca innovazione, ricerca e sviluppo interna all’azienda». La conclusione del comunicato della Camera di Commercio è lapidario: «Più della metà delle industrie non ha introdotto innovazioni nel biennio 2016-2017 e nel 2018 si prosegue nello stesso solco; quando le innovazioni sono state introdotte hanno riguardato principalmente l’acquisizione di macchinari e di software e/o hardware, con poca attività di ricerca e sviluppo all’interno dell’azienda. Nel 2018, in percentuale sul fatturato, la spesa media per innovazione è stata del 5,2 per cento. Nella metà delle industrie, la bassa propensione all’innovazione non è connessa in linea generale a precisi impedimenti. Quando ci sono impedimenti, sono dovuti principalmente alla mancanza di risorse finanziarie». Parole che stridono con quelle di Vincenzo Ilotte, presidente di Unioncamere Piemonte: «La nostra regione ha bisogno di investimenti e scelte efficaci in tema di manufacturing industry: solo così potremmo consolidare quella ripresa che avevamo intravisto nei trimestri precedenti e puntare su sviluppo e crescita imprenditoriale».

Ma cosa manca davvero? Capacità o cultura? Forse un po’ dell’una e dell’altra, però a pesare maggiormente potrebbe essere il retaggio di una economia territoriale che sconta il profondo ritardo con cui ha iniziato a uscire dalla lunghissima fase storica che ha visto larga parte del tessuto delle imprese artigianali e di piccola e media dimensione ancorate all’economia del ‘pubblico’. Per troppo tempo è stato più facile cercare, e ottenere, lavori da parte delle pubbliche amministrazioni, piuttosto che confrontarsi con il mercato. Quando il mondo è cambiato, insieme all’economia mondiale, il confronto è diventato impari. Mancanza di cultura imprenditoriale, incapacità di fare rete, associazionismo incapace di uscire dal ruolo di semplice erogatore di servizi, sono solo alcuni degli elementi che hanno condizionato, in negativo, il sistema alessandrino. Poi ci sono le aziende che crescono, investono in ricerca e innovazione, rischiando, e conquistano nuovi mercati. Ma questa è tutta un’altra storia.