di Dario B. Caruso
“Siete caldi?!?” grida al microfono il disc-jockey.
Intanto nella grande pista ai piedi della consolle un mare di ragazzi saltano e ballano ad un ritmo martellante, le teste inondate di luci multicolori che si alternano con frequenza forsennata e ipnotica.
Il sudore si mescola con il profumo di tabacco e fumo, gli aliti vagamente alcolici cantano il ritornello della hit di turno.
Il mondo ora è tutto lì, in quell’appezzamento di mattonelle fatte di marmi e specchi.
Questo è ciò che dovrebbero essere i diciotto anni.
Un momento di passaggio, di crescita, di conoscenza, di arrivare sulla soglia dell’errore e di saper tornare indietro, di bellezza pura.
Invece no.
I diciottenni di oggi sono costretti a scendere in piazza.
“Siamo caldi!”
Nessun disc-jockey, una sola piccola voce dal basso dei sedici anni che viene cantata all’unisono dal popolo del pianeta.
Le cifre parlano chiaro, i ragazzi che hanno aderito sono incalcolabili. Oltre un milione solo in Italia.
L’allarme per il global warming è incredibilmente preoccupante, così come incredibilmente surreale l’attaccamento dei giovani alla terra.
Prepariamoci a nuovi venerdì in manifestazione (#fridaysforfuture parla chiaramente al plurale).
Prepariamoci a tanti che si accaparreranno questa nuova bandiera globale, si occuperanno dei nostri problemi, dell’inquinamento, del gas serra, del nostro benessere.
E come sempre ci sarà qualcuno che ci griderà dall’alto: “Siete caldi?”
Noi danzeremo tutti all’unisono.
Le nostre teste sotto una nuova luce.