Il branco uccide [Il Superstite 418]

ATO6: "Crisi idrica, i cittadini siano più parsimoniosi con l'acqua" CorriereAl 1di Danilo Arona

 

 

Alcuni giorni fa ai Murazzi di Torino un giovane vercellese è stato sgozzato in pieno giorno da un presunto cittadino straniero. Stefano Leo, non un’ombra nella sua breve vita, ha incontrato una morte orribile – coltello affilatissimo, un solo colpo violentissimo a tranciare la gola – mentre si recava al lavoro, vittima di uno di quegli “atti casuali di violenza insensata” che sono stati negli anni ’90 titolo e tematica di un profetico libro di Jack Womack in cui si racconta di una New York, quasi contemporanea, brutale e senza speranza, dove si uccide e si muore con la facilità e la velocità di uno starnuto.

È un sinistro paradosso questa linea sottilissima, quasi invisibile, tra fiction e realtà. Ci sguazziamo dentro non so con quanta consapevolezza, a parer mio molto poca –  e purtroppo la cronaca, sempre più pesante, sembra darci ragione. Se non entro nel merito per evitarvi un apparente moralismo gratuito, va da sé che servirsi della realtà come chiave di accesso a un’opera di fantasia (Il branco uccide – Caccia al Drago Giallo di Marina Crescenti, Nero Press) un po’ dovrebbe dirla lunga sui tempi grami che stiamo vivendo. Il fatto è che la celestiale Marina, un po’ come Jack Womack di cui sopra, ci vede lontano, Non solo come Womack, ma soprattutto come il “nostro” Sergio Altieri, se Marina me lo concede, produttore di una narrativa che non solo vedeva lontano, ma vedeva “oltre”. Sergione, lo sapete, non è più tra noi, ma i suoi frutti germogliano e questo libro e la sua autrice rientrano nel novero. Se Marina ancora me lo concede  (ma lo so che è così, dai…), vorrei riportare qui la dedica, appassionata e commovente, che leggiamo prima dell’inizio.

«Questo mio libro ha un “padre”. Nasce da un’idea di un grande Uomo – immenso Autore e molto di più – che ne aveva immaginata e progettata la pubblicazione in una delle più note collane da lui dirette. È a te, Sergio, che lo dedico con tutto il mio cuore, perché ti piaceva, perché mi chiamavi “Rising”, perché è grazie a te che l’ho scritto. (Sergio Altieri, 1952 – 2017).»

Precisiamo. Questo non è un testo per anime candide. Bensì un libro, ancora citando una sua leggendaria antologia, per “Anime nere”, spiriti vaganti nelle dimensioni oscure che non si arrenderanno mai al conformismo narrativo, ed estetico, tendente oggi a voler dominare anche nei generi popolari. Il branco uccide – Caccia al Drago Giallo è un libro sconvolgente, travolgente quanto crudelissimo, ben oltre l’Amok che avevo rievocato nella prefazione a Le lacrime del Branco, la precedente discesa agli Inferi della banda di balordissimi, capitanati da Oscar, avvocato di giorno e criminale nelle tenebre.

Per rinfrescare in poche righe le memorie, l’Amok è un particolare e patologico disturbo comportamentale provocato da uno stato “crepuscolare”, riscontrato e analizzato per la prima volta tra gli indigeni della Malesia e caratterizzato da uno stato depressivo cui segue una crisi di furore omicida, durante la quale il soggetto corre urlando e colpisce alla cieca chiunque incontri. Quando la crisi è passata, il soggetto non ricorda più nulla. Il termine può riferirsi oltre che alla follia in sé anche all’individuo che ne è affetto. Dovrebbe in pratica colpire solo individui provenienti dal Sud Est asiatico, ma culturalmente lo si può estendere, appunto, a definire certe patologie aberranti più che mai d’attualità, vedi il povero ragazzo sgozzato ai Murazzi. Ma se l’Amok rischiava allora, a proposito del primo libro sul Branco, di sembrare una sorta di scusante biologica, oggi su questo Male insensato ed esibito a tutta pagina non troviamo più alcuna attenuante. I membri del Branco sono corpi senza coscienza. Bastardi che non meriterebbero alcuna pietà da parte nostra, i lettori. Che siamo pure voyeur. Eppure indugiamo perché la morte in diretta e questo sangue che scorre a mo’ di cascata di Shining possiedono un fascino avviluppante.

A schematizzarla, la linea narrativa del libro sembrerebbe richiamare il più classico stile della guerra fra gang, ma già dalla seconda pagina Marina Crescenti ci fa capire senza mezze misure che siamo “Altrove”. La metropoli è l’inferno in Terra e nelle sue viscere si muovono demoni in forma di uomini che non arretrano di fronte a nulla, spingendo l’acceleratore della crudeltà oltre ogni limite pensabile. Devo confessare che uno dei passaggi più impressionanti – ne riferisco a titolo personale – è quando il Branco “rade al suolo” la Città Violenta, per capirci ammazzano senza porsi il minimo scrupolo i membri di un gruppo musicale “prog” che si sono dati un nome a dir poco predestinato. Al di là delle motivazioni che si scoprono leggendo il libro, “vedere” che qualcuno ti può tirare giù dal palco e mandarti all’altro mondo o inseguirti nel cuore della notte a fine concerto, non è affatto una bella sensazione. A me, “musico ambulante” per dirla con Concato, fa un pessimo effetto perché la gente del Branco abbatte persino l’ultima barriera, che non è solo formale, tra Palco e Realtà. Peraltro, come scrive Marina, su quel palco «qualcuno lanciò un boccale che si frantumò. Il chitarrista agganciò col piede il frammento più grosso e se lo portò alla mano, mentre con l’altra seguitò a far andare il plettro. Si tagliò i jeans all’altezza della coscia, il sangue si sparpagliò sulla stoffa, la gente ululava…». A dire che c’è sempre un momento teatrale che racchiude l’essenza dell’opera stessa, il caos insensato che si trasforma in anagramma del mondo.

Oh, permane sempre un grande mistero, almeno per me, dietro le opere di Marina Crescenti. Lei è bellezza e dolcezza allo stato puro e io, ancora una volta, sono qui a chiedermi di che materia è composto il suo mondo artistico. In realtà, mentre lo faccio, sono colpevolmente dimentico che i grandi scrittori – e scrittrici -, quando producono con le viscere dell’inconscio in dinamica tensione, si agganciano alle zone infere e ne tirano fuori il succo, trasfigurandolo in opera d’arte. L’invisibile Amok che ti percuote dentro e ti invita a guardare meglio, sussurrandoti: È solo un libro, è solo un libro…

Infine, ulteriore mistero, perché le donne riescano ad atterrire più di noi ometti ho tentato, invano, di spiegarlo qui https://www.carmillaonline.com/2006/03/03/le-signore-dellorrore/, ma il dato di fatto che dopo 13 anni ancora non lo so.