Vaudeville? Lo show degli Harlem Globetrotters a Casale [Lettera 32]

di Beppe Giuliano

 

Sono andato a vedere gli Harlem Globetrotters, mercoledì 27 febbraio a Casale, pensando di assistere a qualcosa un po’ demodé, di vedere un oggetto su cui col tempo si fosse posata una patina di polvere. Mi sono, invece, divertito, come mi pare tutti gli spettatori presenti, peraltro non numerosissimi mentre credevo di trovare il palasport gremito, non lo era forse per il giorno settimanale, forse perché quest’idea dei Globetrotters appartenenti al passato non è solo mia, e il lavoro che stanno facendo per superarla da noi arriva solo insieme ai loro spettacoli, oltre tutto molto meno pubblicizzati dai media rispetto a quel che avveniva nel periodo d’oro degli anni settanta e ottanta.

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I Globetrotters nascono negli anni venti, grazie all’impresario Abe Saperstein, a… Chicago. Il nome del quartiere newyorchese, dove peraltro giocheranno per la prima volta solo nel 1968, viene scelto perché Harlem allora era considerato il centro della cultura afro-americana, e doveva essere chiaro agli spettatori (in maggioranza bianchi) che sarebbero andati a vedere atleti di colore.

Nascono infatti nell’era degli sport Usa segregati della prima metà del XX secolo e anzi contribuiranno, in modo rilevante, a superare la “color barrier” della pallacanestro, pochi anni dopo che la stessa cosa era finalmente successa nel gioco del baseball.

Contribuirà di certo anche la mitica vittoria del 1948 contro i Lakers, che allora stavano a Minneapolis ed erano la più forte squadra di pallacanestro (bianca) americana, e quindi del pianeta, in una partita in cui tralasciarono la parte clownesca delle loro esibizioni per concentrarsi sul gioco. Come raccontano ricordando la partita sul loro account instagram:

Abbiamo affrontato – e battuto – i Minneapolis Lakers guidati dal futuro Hall of Famer George Mikan. All’epoca i giocatori neri non erano ammessi nella NBL (il precursore della NBA). Di fronte a circa 18mila fan in Chicago i Globetrotters, guidati da Marques Haynes and Goose Tatum, sconfissero i Lakers con un tiro in sospensione all’ultimo secondo. L’anno dopo li batterono di nuovo nella rivincita. Quelle vittorie furono fondamentali nel dimostrare che i giocatori neri potevano competere ai massimi livelli con i bianchi. Nel 1950, tre Globetrotters divennero i primi di colore a firmare contratti NBA e il resto è storia.

Nel ‘50 infatti Chuck Cooper, che già era stato il primo afro-americano a giocare nel campionato dei college sotto la “linea Mason-Dixon” che segna un simbolico confine tra nord e sud degli Stati Uniti, fu scelto dai Boston Celtics e il suo compagno Nat “Sweetwater” Clifton firmò il contratto con i New York Knicks.

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Sweetwater aveva mani enormi, anche in confronto con gli altri cestisti. Durante l’estate giocava anche nelle Negro Leagues del baseball che allora avevano ancora enorme seguito, dove incrociò “Mr. Cub” Ernie Banks, grande campione sul diamante che giocò pure a basket proprio con i Globetrotters come i colleghi Bob Gibson e Ferguson Jenkins.

A raggiungere nelle Negro League Clifton sarà anche, prima della fine degli anni cinquanta in una squadra che si chiamava guarda caso Detroit Clowns, Reece “Goose” Tatum, il primo “principe dei clown” con i Globetrotters, uno che guadagnava come nessun altro cestista (oltre 50mila dollari all’anno a metà degli anni cinquanta). La sua numero 50 è una delle pochissime maglie ritirate dei Globetrotters.

Tra gli altri gli tiene compagnia la 13 di Wilt Chamberlain, uno dei campioni più grandi del basket di sempre, l’uomo dei 100 punti segnati in una partita (e delle oltre 20.000 donne amate), che giocò una stagione con Harlem tra il college e il professionismo, facendo in tempo a partecipare alla celeberrima tournée in Urss del 1959 in cui incontrarono Nikita Khrushchev e ricevettero collettivamente l’onorificenza atletica dell’Ordine di Lenin, dopo avere già giocato, pochi anni prima, nella Berlino divisa (con Jesse Owens come ospite d’onore in quell’Olypiastadion in cui aveva “umiliato” Hitler). Gli anni in cui erano ambasciatori nel mondo, e una delle massime attrazioni con la loro pallacanestro in cui avevano già introdotto elementi dello show che ormai predomina rispetto al basket giocato.

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Sono poche le maglie ritirate, e sono solo dieci i Globetrotters onorari, elenco comunque che comprende ben due papi, Giovanni Paolo II e dal 2015 Francesco, in compagnia tra gli altri di Nelson Mandela, Whoopi Goldberg e, unico cestista, Kareem Abdul-Jabbar, curiosamente diviso da Wilt Chamberlein da un lungo astio mai superato, dopo che il numero 13 era stato il suo idolo adolescenziale. Divertente anche l’elenco di alcuni dei non-cestisti scelti al draft annuale, che comprende Leo Messi, Paul Pogba, Neymar, Usain Bolt…

Mentre l’ultima maglia ritirata in ordine di tempo, l’ottava, è la 41 di Sweet Lou Dunbar, che è nell’organizzazione da oltre quarant’anni e che era il coach della squadra a Casale (il roster dei Globetrotters è molto ampio perché ci sono diverse squadre contemporaneamente in tour nelle varie parti del mondo: i coach per esempio sono quattro).

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Dunque, il divertimento all’esibizione di Casale ha superato le aspettative, mie come di molti altri con cui ho parlato. Chiaro, non c’è moltissimo basket, sempre pretesto per esibizioni sia con la palla a spicchi sia puramente cabarettistiche, basate qui su “Big Easy” Lofton, uno degli showman nel roster della squadra.

Comunque quando il cattivissimo “Cager” ha davvero staccato la spina, poco prima della fine della partita, azzerando il tabellone, ed è iniziata una nuova sfida cestistica, si è vista anche l’abilità sportiva.

Bella la storia di “Cager”, tra l’altro. Il cattivo delle esibizioni lo impersonifica Paul Sturgess, un inglese che è non solo il cestista, ma in assoluto l’uomo britannico più alto con il suo 2 metri e 32. Lui ha militato nei Globetrotters prima di passare ai Washington Generals, il team che li accompagna in tour da oltre sessant’anni, col compito di… perdere le partite (lo hanno fatto più di 10mila volte): come raccontava “Red” Klotz che ne fu fondatore, giocatore, coach, impresario, alla fine della famosa partita del gennaio 1971 in cui i Generals vinsero 100-99, il pubblico li guardò come se avessero ucciso Babbo Natale.

Naturalmente, e per fortuna, non è andata così a Casale, e gli spettatori soddisfatti prima di tornare a casa si sono fatti autografare palloni magliette e altro merchandising dagli Harlem Globetrotters.