Gli uccelli [Il Superstite 416]

ATO6: "Crisi idrica, i cittadini siano più parsimoniosi con l'acqua" CorriereAl 1di Danilo Arona

 

Martedì 19 marzo il Circolo del Cinema “Adelio Ferrero” proporrà su grande schermo al Cinema Kristalli la versione restaurata de Gli uccelli di Alfred Hithcock, un’assoluta gioia per gli occhi e anche per le orecchie data la sua colonna sonora sperimentale tuttora all’avanguardia. Vi invito a rivederlo perché così non l’avete ancora visto. E vi ripropongo alcune note che, dato il soggetto, pretendono di essere intramontabili come il film. Ok, scherzo…

 

È talmente risaputo che infastidisce  il sottolinearlo. Ma esistono registi nella cui opera non si entra senza la psicoanalisi, piaccia o meno. Tra gli ultimi, Lynch, Carpenter e Shyamalan, un trittico umano e artistico cui la visione di un capolavoro spartiacque come Gli uccelli ha fatto senza dubbio  bene. Ovvio che Alfred Hitchcock con perle da convegno basagliano nella propria filmografia quali La donna che visse due volte, Psyco e Marnie, sta in cima alla lista. Ma proprio Gli uccelli, nel suo essere film sfuggente a ogni tentativo d’ingabbiamento (ops…), potrebbe resistere da par suo all’approccio analitico della  “pratica del divano” e imporsi soltanto come dizionario tecnico/ formale di un genere o di un filone in divenire. E invece no; l’apocalisse hitchockiana sperimentata ne Gli uccelli è proprio “perturbante”, in purissimo senso freudiano. Perché, in tale senso, il testo – quello che vediamo scorrere sullo schermo nato dall’interazione di Evan Hunter e Hitch – è perfetto.

Nel saggio del 1919, Il Perturbante, nel quale si definivano i fondamenti psicologici della paura, Freud tenne conto dell’amalgama di sgomento e di familiarità nel determinare la potenza del terrore, avanzando l’ipotesi che questo rappresenti l’irrompere nella vita adulta dei desideri e delle fantasie più primitive e impellenti. Tali fantasie – di solito delitti violenti e torture, ma anche eventi e circostanze “fuori posto” e “alla rovescia”- dominano la mente adulta, e, anche se repressi fin dalla prima infanzia, sopravvivono nell’animo umano. Il “perturbante” è quindi un effetto, una sensazione.

Una sensazione che non attiene più alla mente, ma che deriva dall’emersione e dall’inspiegabilità dell’inconscio. Come ben sottolinea Aldo Carotenuto[1], quando parliamo di quel mondo sommerso, di quella specie di Atlantide della geografia psichica che è stato battezzato “Inconscio”, ci serviamo immancabilmente dell’aggettivo “onirico”, derivante dal greco “oneiros” (sogno). E applichiamo quell’aggettivo sia al sogno propriamente detto (attività onirica), sia più genericamente all’inquietante espressione di spaesamento, definita da Freud “perturbante” e che richiama appunto quella caratteristica sensazione di irrealtà, anche se siamo consapevoli di non essere addormentati (vedi, appunto i modi di dire “atmosfera onirica”, “apparizione o presenza onirica”). Il fattore comune tra il sogno e la realtà fuori posto è proprio l’Inconscio, il grande protagonista. L’Inconscio con la sua visione del mondo, primitiva, ancestrale, risalente alla sua infanzia e a quella della sua specie – quando il mondo, l’intera realtà, appariva non solo ostile ma indecifrabile, un misteriose scenario popolato di mostri e incantesimi. Un mondo che abbiamo allontanato da noi, perché fatto di esperienze, pensieri, figure rimosse per troppa paura, di immagini arcaiche di sogni collettivi. Per questo  il Perturbante è il ritorno di un passato remoto, di sé stessi e di quello ancestrale della specie (“quella sorta di spaventoso che risale a quanto ci è noto da lungo tempo, a quanto ci è familiare”, per dirla con Freud nel 1919), forse un passato in cui i fiori mangiavano gli uomini e gli uccelli attaccavano le persone dall’alto. Ed è in questo “ritorno” che il reale diventa surreale, l’inconscio dilaga a tutto schermo e un’apparente commedia hollywoodiana si tramuta nell’antesignano del moderno film horror.

Come ha scritto Silvia Vegetti Finzi[2], la contemporaneità  fra la produzione cinematografica di Hitchcock e quelle scientifiche di Freud si presta a cogliere straordinarie coincidenze. Soprattutto sul fronte del grande spettacolo dell’inconscio, l’ “altra scena” della mente, quella che, pur rimossa e segregata dalla censura, non cessa mai di tramare la nostra vita e di deformare le nostre piu’ razionali intenzioni.

“Essa è sempre esistita e gli artisti non hanno mai cessato di darle voce e figura. Ma il Novecento, sottraendola alla penombra in cui era relegata, la pone al centro dell’uomo e della cultura grazie appunto a due grandi, Freud e Hitchcock. Innanzitutto entrambi hanno capito che l’angoscia dell’ uomo moderno non nasce tanto dalle grandi paure quanto dai piccoli timori, dagli improvvisi cedimenti della sicurezza quotidiana quando il risaputo, il consueto, diviene inopinatamente inatteso, incomprensibile, incontrollabile. Quando, come sostiene Freud, il familiare Heimlich si trasforma nel suo opposto, Unheimlich, l’ estraneo, il perturbante. Di fatto ci inquietano molto di più un’ ombra sul muro o il cigolio di una porta nell’ ordinato, patinato universo di Hitchcock, di quanto riescano a turbarci i vari Godzilla, i morti viventi o i mostri spaziali di tanti effetti speciali.  Viene in mente, in proposito, un’ affermazione apparentemente paradossale di Jacques Lacan quando lo psicoanalista francese avverte che l’inconscio non è il profondo, il misterioso, l’abissale ma piuttosto un effetto di superficie. E in superficie, anzi nell’aria, si dibattono le pulsioni che, sotto forma di gabbiani e corvi impazziti, tormentano l’algida Tippi ne Gli uccelli, trasformando progressivamente una commedia mondana in uno scenario apocalittico.”

È certamente azzeccata la citazione dell’Inconscio Esterno di Lacan. Moltissimi anni prima di Lynch, in pieno sole (californiano), Hitch fa deflagare il “mondo attorno ai corpi” come linguaggio destrutturato che allude al trionfo del Caos e Èdell’inammissibile. Citando Sergio Benvenuto[3], “l’interpretazione è qualcosa che avviene sempre a livello di linguaggio. In altre parole, non bisogna essere molto profondi quando s’interpreta, anzi bisogna restare in superficie”. E ancora: “Lacan  ha contribuito a liberarci della vita interiore: l’inconscio non è qualcosa che sta dentro il corpo. Oggi immaginiamo miticamente il corpo come una cassa, e dentro questa cassa c’è l’anima e quindi poi le pulsioni, gli istinti, i desideri ecc… L’inconscio per Lacan invece è qualcosa che si trova fuori dell’essere umano, e questo fuori per Lacan è sostanzialmente quello che lui chiama l’Altro con la A maiuscola, e che per lui è il linguaggio. Il linguaggio è l’Altro, e l’Altro è anche linguaggio, per una ragione estremamente semplice: che quando noi nasciamo, certamente nasciamo dentro il corpo di nostra madre, ma il linguaggio che ci viene insegnato ci viene sempre dall’esterno. Il linguaggio ci viene da nostra madre, da nostro padre, dagli adulti che sono attorno a noi; quindi l’inconscio ci viene, da un punto di vista lacaniano, sempre dall’esterno”.

È significativo a questo proposito far notare che il suono del mondo esterno ne Gli uccelli sia costituito da una totale assenza di musica strutturata e che invece il tutto sia accompagnato da un caos sonoro, formato in primo luogo dallo stridio dei volatili, a significare che il linguaggio dell’inconscio, seppure indecifrabile, sta proprio di fuori e interagisce con i nostri pensieri e con le nostre azioni.

Categoria quanto mai particolare di “mostri”, la congerie pennuta del film sembra prediligere la giornata più limpida per portarsi all’attacco dell’uomo nel modo più efficace possibile. E nell’oscurità gli uccelli amano maggiormente guatare le prede e fiaccarle con la destabilizzazione sonora. Ma nel buio, come insegna una delle più suggestive “avvisaglie” del film, esiste il rischio concreto di schiantarsi contro una porta e di lasciarci – alla lettera – le penne, nonostante la luce spettrale e invasiva della luna piena. Quasi dei “vampiri” alla rovescia, che di notte giacciono sui fili della luce per riposare ed essere più distruttivi alla luce del giorno. Mostri alieni e depurati dal sottinteso – di solito – substrato religioso. Coglie quindi nel segno Roberto Curti quando fa notare che la furia degli uccelli disegna un’Apocalisse senza Dio (e senza l’uomo)[4]:

“L’uomo viene scacciato dalla propria posizione centrale nel mondo contemporaneo, e schiacciato a terra, costretto all’angolo. Niente più leviatani in stile anni Cinquanta: la minaccia arriva da volatili ordinari come gabbiani e corvi; l’uomo non può farci nulla; e l’ordine non è ristabilito alla fine. Anche perché una fine non c’è. Come già accadeva in Psyco, l’orrore è arbitrario, illogico e impossibile da decifrare. Il concetto puritano di retribuzione, per cui a un peccato deve corrispondere un castigo divino, è azzerato (a essere attaccati sono gli innocenti, come i bambini di una scuola e la loro maestrina) e l’ordine del creato come noi lo conosciamo e messo in discussione: come nota l’ornitologa Mrs. Bundy, il fatto che volatili di specie diverse si riuniscano assieme è inspiegabile e irrazionale.”

Sicuro, inspiegabile, irrazionale. Ma proprio per questo perturbante. Il ritorno di un rimosso ancestrale, quasi filogenetico. Legato a un’epoca in cui gli uccelli comandavano.

[1]     Aldo Carotenuto, Freud il Perturbante, Bompiani, Milano 2002.

[2]     Silvia Vegetti Finzi, Dottor Freud e Mister Hitchcock, ne “Il Corriere della Sera”, 9 agosto 1999, RCS, Milano.

[3]     Sergio Benvenuto, Jacques Lacan: ritorno a Freud – Intervista concessa  a Rai Educational, 1993.

[4]     Roberto Curti, Demoni e Dei – Dio, il diavolo, la religione nel cinema horror americano, Lindau, Torino, 2009.