Occupazioni, sfratti e case abbandonate a se stesse: ad Alessandria di chi è la responsabilità reale? [Centosessantacaratteri]

di Enrico Sozzetti

 

Ad Alessandria, in queste settimane, non mancano gli articoli che raccontano le storie delle molte famiglie che potrebbero essere sgomberate entro marzo dagli alloggi che hanno occupato abusivamente in due edifici di corso Acqui e di via Brodolini. Si legge molto dei casi umani, decisamente meno del perché a oggi nel capoluogo di provincia esistano immobili di proprietà pubblica che sono stati dimenticati per anni e alla fine sono stati occupati, senza che nessuno abbia avviato le necessarie procedure per impedirlo. Che siano abusivi lo dice anche il Movimento per la casa, salvo poi trovare mille giustificazioni fra il sociale e il politico per spiegare la presunta legittimità del gesto.

Ma il nodo vero e irrisolto è sempre e solo uno: di chi è la responsabilità di avere fatto nulla? Dietro alle occupazioni vi sono due situazioni dalla storia differente. Il complesso immobiliare di via Brodolini era del demanio militare. Alla scomparsa degli insediamenti militari ad Alessandria è seguita anche quella dei residenti con la divisa. Però era troppo difficile dismettere il patrimonio e magari metterlo sul mercato. Più facile ‘dimenticare’ di averlo. Ed ecco che alla fine un contenitore vuoto viene riempito man mano, circa quattro anni fa, con una azione da ‘collettivo’ che ha ricordato gli anni Settanta. Passano gli anni, gli occupati restano, poi arriva il decreto Salvini che detta regole precise. Risultato? Protesta crescente e richiesta di intervento del Comune, del Cissaca (servizi socioassistenziali), del mondo dell’associazionismo e dell’assistenza, e infine l’immancabile appello all’Atc (case popolari) sempre sotto accusa perché non assegna le case a chi la chiede (ma tutti poi hanno davvero i requisiti per presentare la domanda?).

In corso Acqui la storia, se possibile, è ancora più contorta. La palazzina al centro dell’occupazione era di proprietà dell’Anas, quindi è stata trasferita alla Provincia nel periodo in cui la competenza delle ultime centinaia di chilometri di strade statali è stata passata all’amministrazione provinciale. All’interno ha ospitato anche la Polizia provinciale, prima che iniziasse il successivo periodo di oblio dopo che agli uomini di Palazzo Ghilini era stata trovata un’altra sede. E qui la storia si complica. Mentre i locali vuoti vengono adocchiati da chi si preparava a entrare in modo abusivo, il proprietario avvia le prime pratiche per consentire il trasferimento della caserma dei carabinieri del quartiere Cristo. Peccato che fra lungaggini burocratiche e una politica poco attenta a seguire ogni fase del procedimento, quando le cose sembrano quasi sul punto di essere arrivate alla svolta finale, ecco che si scopre che lo stabile è stato occupato. L’ente locale non ha molti strumenti a disposizione e la prima cosa che ha fatto la Provincia è stata quella di inviare una segnalazione alla Prefettura. Però non è accaduto nulla. E anche in occasione di alcune riunioni di Commissioni comunali chiamate ad affrontare il tema dell’emergenza sfratti è stato affermato ripetutamente che le denunce non sono mancate, ma sono però sempre rimaste lettera morta. La responsabilità di chi è? Adesso, in base alle norme recenti, appena l’immobile tornerà vuoto potrebbe essere finalmente ripreso l’iter per spostare in corso Acqui la caserma dei carabinieri, almeno questo è quanto si dice oggi a Palazzo Ghilini.

Sullo sfondo restano altre questioni aperte, come quella dell’ex caserma dei vigili del fuoco, in via Piave, che la precedente amministrazione provinciale aveva concesso in comodato d’uso gratuito al collettivo che l’aveva occupata nel 2009. Le voci di una possibile messa in vendita si sono rincorse, nei mesi scorsi, fra smentite e ammissioni parziali. Si vedrà.