di Dario B. Caruso
Il cinema è una grande risorsa poiché è fonte di conoscenza oltreché di svago e divertimento.
Almeno per quanto mi riguarda.
Attraverso le pellicole ho imparato la storia, la letteratura, la risata, la commozione, il senso del tempo, il silenzio.
Soprattutto ho arricchito il vocabolario.
Ci sono parole che entrano nel lessico comune di ciascuno e di tutti solamente dopo essere state sdoganate dal cinematografo.
L’ultima parola – in ordine cronologico – che ho imparato ad apprezzare è distopico.
Fino a poco tempo fa avrei pensato potesse riferirsi ad una moderna tecnica di derattizzazione ma grazie al cinema ora so.
Ultimamente si moltiplicano le serie televisive e le produzioni per il grande schermo che rinverdiscono romanzi distopici del secolo scorso oppure rappresentano narrazioni contemporanee con la stessa intenzione: descrivere società ipotetiche collocate nel futuro (preferibilmente) ma anche nel passato che portano alle estreme conseguenze atti politici pericolosi, pensieri violenti serpeggianti, tendenze globali malsane.
Attraverso codesto espediente si costruisce un passato fantastico mai vissuto oppure – e ciò è ansiogeno – si crea un domani possibile.
Non c’è più scampo.
Non ci sono vie d’uscita.
Ormai la corda è stata tesa all’eccesso, oltre il limite. E si è spezzata.
Abbiamo creduto che le parole sbagliate potessero essere perennemente perdonate.
Abbiamo scambiato provocazioni per scherzi, intimidazioni per giochi, minacce per marachelle.
Abbiamo sperato che le parole non si tramutassero in fatti.
Ora è guerra.
Io corro, inseguito da cani col bavero alzato.
Amici, alcuni, con cui condividevamo il bar, il tifo, la strada.
Dove ho sbagliato?
Non sono ebreo, omosessuale, negro, neppure musulmano.
E ho sempre sostenuto il potere col voto, gli slogan e le feste di piazza.
Dove ho sbagliato?
Forse non ho fatto abbastanza.
Forse non mi sono inchinato a sufficienza.
Forse….
Ecco, stanno arrivando…
Non ho vie di fuga….
Mi arrendo…..
No, no……
(beep infinito)