Carrie White, brucia all’inferno! [Il Superstite 407]

ATO6: "Crisi idrica, i cittadini siano più parsimoniosi con l'acqua" CorriereAl 1di Danilo Arona

 

 

Ma come sono lontani i tempi in cui il regista teutonico Wolf Rilla dovette girare in Inghilterra, perché respinto dagli Stati Uniti, il mitico Villaggio dei dannati… Sì, e per fortuna, lo sottoscriviamo. Ma va ricordato, anche perché la faccenda non è poi così nota, che i diritti del romanzo originale di John Wyndham erano stati acquisiti dalla Metro Goldwyn Mayer sin dal 1956 e subito “congelati” perché i dirigenti yankees vedevano nella nota vicenda un attacco, più presunto che reale, al dogma dell’immacolata concezione. Insomma, la verginità di Maria.

I tempi sono sì lontani, ma la verginità delle giovani americane è tuttora sanguigna (alla lettera) metafora del traumatico passaggio generazionale soprattutto nelle derive del Teen Horror Film.

Partiamo proprio dall’archetipo Carrie concepito dalla mente di Stephen King. Intanto per ricordare che magari in Italia non ce ne siamo neppure accorti, ma la storia di riscatto e di vendetta al femminile proposta nel plot ha seminato parecchio nel corso degli anni e ha fomentato in America la nascita un piccolo fenomeno di culto teatrale alla stregua di The Rocky Horror Picture Show che s’intitola Carrie – A Comedy, anche se non va dimenticato che, dopo l’eccellente film del ’76 diretto da Brian De Palma, ci fu prima di tutte le rivisitazioni l’adattamento musicale, scritto proprio da quel Lawrence D. Cohen, autore dello sceneggiatura dell’opera di De Palma.

Uscito dopo un travagliato percorso di gestazione a Broadway il 12 maggio 1988 con una produzione di oltre 7 milioni di dollari, il musical Carrie si trasformò prestissimo in uno dei più incredibili flop nella storia del teatro americano. Però quella storia di riscatto e di giustizia post-femminista, sulla quale negli USA si sono scritti libri, tesi di laurea e si sono accesi dibattiti pro e contro, aveva già fatto breccia nell’inconscio collettivo e in altrui immaginari.

Risale infatti al 1979 una produzione dell’AIP, sceneggiata da Kay Cousins Johnson e diretta da Brice Mack dal titolo Jennifer, interpretata da una bravissima Lisa Pelikan: il film è un incredibile clone di Carrie (stessa trama, stesso ambiente scolastico), con le sole differenze che al posto di una madre invasata e sessuofobica qui troviamo un padre con analoghi problemi e che Jennifer, la perseguitata di turno, invece di sviluppare distruttivi poteri telecinetici, è in grado di materializzare serpenti di qualsiasi razza e dimensione con i quali far tabula rasa dei suoi sciocchi aguzzini. Ma le vere influenze sono in verità più sottili e ben più durature, al punto tale che da Carrie sembra partire una lunga scia di film che vedono il ballo di fine anno scolastico (la Prom Night) come focus drammaturgico di storie che non devono essere necessariamente horror a tutti i costi.

Il ballo di fine anno in America è, per dirla alla King, fatidico. Un rito di passaggio, profondamente incuneato nella cultura popolare, che segna la fine dell’adolescenza e della sempre mitizzata “innocenza”. Un traguardo simbolico, sul quale riversare (troppe) aspettative e progetti grandiosi che spesso muoiono, appunto, all’alba. Nell’immaginario giovanile una festa collettiva, all’apparenza molto formale ed elegante (e lontanissima dal liberatorio Spring Break) che però “sotto la pelle” rimanda alla deflorazione vissuta anche nel dolore e nel sangue, comunque la vera prima scalata verso la trasgressione. Come ha dimostrato King nel suo romanzo, per chiunque in America il ballo di fine anno è “fatidico”. E la gente di Chamberlain, il paese destinato a divenire una piccola città fantasma dopo l’apocalisse scatenata da Carrie, rappresenta, estremizzandola, un po’ tutta la nazione. Per Margareth White altro che un’orgia diabolica destinata a concludersi nel sangue (e non è che possiamo darle torto…), mentre la signorina Collins, membro del corpo insegnante, ricorda la Prom Night come un delicato momento di innocenza adolescenziale; per tanti coetanei si tratta di un solido progetto monogamico («il ragazzo con cui ballerò a fine anno sarà il mio uomo per tutta la vita») mentre per le bad girl come la scatenata Chris, coautrice dello scherzo del sangue di maiale e anticipatrice delle Spring Breakers dello stupendo film di Harmony Korine, altro non è che uno dei tanti possibili teatrini di ninfomania.

Qui da noi la Prom Night non la si usa molto (anche se un po’ sta prendendo piede a causa della crescente “americanizzazione” dei costumi giovanili e per la trasformazione subita nel corso del tempo dal famoso “gran ballo delle debuttanti”), ma negli USA è fondamentale nella vita dei ragazzi. Pensate che dalla Prom Night discendono decine di varianti di una leggenda urbana, in verità diffusa in ogni angolo del pianeta, che i ricercatori hanno classificato come The Devil at the Dance e, nella versione più tecnologica, The Devil in the Discoteque. Gli schemi della storia sono quanto mai didattici e moralistici e, come in Carrie, pongono al centro del plot il divieto parentale di recarsi a ballare. «In quei posti non ci devi andare perché li frequenta il Diavolo!», e sembrerebbe proprio di ascoltare l’invasata Margareth. Il fatto è che, all’inizio degli anni Novanta, a fronte del reale incendio che distrusse l’Aloha Club di Tijuana, si diffuse in zona e in un batter d’occhio la seguente storiella: la ragazza, nonostante il contrario parere della madre, raggiunge di nascosto il locale e a mezzanotte prende a ballare al suono della disco-music con un giovanotto dall’aria tenebrosa e gli occhi rilucenti. I due danzano per una ventina di minuti come (appunto) “assatanati” e in quel lasso di tempo gli altri clienti si avvedono che la temperatura si sta alzando di parecchio e dai corpi dei due ballerini prende a uscire del fumo, mentre il fuoco divampa sui divani e sulle suppellettili dell’Aloha. La ragazza viene condotta con il corpo tutto ustionato al Pronto soccorso e la discoteca è praticamente distrutta. E, morale, mentre in Tijuana si sparge la voce che il demonio è apparso prima dell’incendio, la madre della ragazza urla per i corridoi dell’ospedale: «Te l’avevo detto, te l’avevo detto! E adesso preghiamo!»

Carrie, giusto? E da qui al codificato Murder on the Dance-floor del cinematografico Teen Slasher il passo è quasi nullo. Qualche anno dopo Carrie di De Palma ecco la partenza di Prom Night di Paul Lynch (In Italia Non entrate in quella casa), che frulla tarde influenze da La febbre del sabato sera alla voga nascente dei serial killer in azione sui giovani trasgressori della notte. Martoriato nel 2008 da un insipido remake di Nelson McCormick (Che la fine abbia inizio), il film di Lynch però genera una sorta di miniserial in cui a livello tematico è ancora presente Carrie White amalgamata a schegge oniriche provenienti dai Nightmare di Craven, ovvero Prom Night 2 – Hello Mary Lou (Prom Night 2 Il ritorno, 1987) di Bruce Pittman e Prom Night 3 The Last Kiss (Prom Night 3 L’ultimo bacio, 1990) di Ron Oliver e Peter R. Simpson.

A tali prolungamenti occorre aggiungere il sequel risalente al ’99 del film di De Palma, Carrie 2 – The Rage di Katt O’Shea, ovvero Carrie 2 – La furia, dove scopriamo una nuova ragazzina con gli stessi poteri di Carrie in quanto figlia dello stesso padre di lei, Ralph White; un film neppure malaccio tenute nel debito conto le mille traversie produttive. Quindi il miniserial TV scritto da Bryan Fuller e diretto da David Carson con Angela Bettis, bruttina ed emarginabile forse più di quanto l’avesse pensata il Re, molto più fedele al libro che non il film di De Palma, un’operazione che era stata pure progettata per aprire una lunga serie della NBC, mai decollata. Ci sarebbero poi da elencare diversi omaggi al plot di Carrie in altrettanti videoclip musicali. Il più famoso di tutti è Before He Cheats di Carrie Underwood, dove vediamo la bionda e bella cantante (Nomen Omen…) che cammina con aria truce e vendicativa al centro di una strada di provincia con finestre che esplodono al suo passaggio, lampioni che prendono fuoco e oggetti che volano per aria. Quindi Courtney Love nel video di Miss World rilegge con le Hole tutta la sequenza depalmiana della scena del ballo prima dello scherzo del sangue di maiale. E il recente e già citato successone teatrale di Broadway, Carrie – A Comedy, scritto da Erik Jackson (se ne può vedere un significativo coming soon su Youtube), al quale gli spettatori si presentano vestiti con abiti in stile anni Settanta e abbigliati come i personaggi del film, nonché partecipando sonoramente alle battute provenienti dal palco. Infine abbiamo avuto il remake di Kimberly Peirce che lesina un po’ sul sangue laddove proprio non si dovrebbe lesinare. Perché è proprio il sangue – come insegna Brian De Palma nei suoi titoli di testa, anno di grazia 1976 – che deve scorrere copiosamente. Perché qui si parla, aldilà degli svolazzi critici, vi verginità perduta quando non rubata e di violenza oltre l’umano alludere, vale a dire robacce a cui la cronaca nera quotidiana tenta di assuefarci. Sarà per questo che la storia dell’emarginazione di Carrie White è penetrata in tutti questi anni nell’inconscio del mondo. Su dichiarazione dello stesso King, è una vicenda che si rivolge a tutti gli emarginati, i diversi, gli outsider. E non è così scorretto pensare che questa storia stia tornando con tanta prepotenza alla ribalta mentre ovunque, in Italia anche, si moltiplicano in ambito scolastico odiosi episodi di intolleranza omofoba con tragiche conseguenze di suicidi sempre più frequenti. Proprio Sissy Spacek ha sottolineato in una recente intervista a The Huffington Post quanto Carrie sia una vera e propria icona per la comunità gay: «Penso che l’intera storia parli a chi si sente perseguitato nella vita, ed è questo il motivo per cui i teenager di tutto il mondo continuino a guardarlo. E parlo di tutti gli adolescenti, anche quelli che sono stati popolari a scuola, perché hanno una piccola parte di sé che si sente perseguitata. Negli anni anche molti afro-americani mi hanno raccontato del legame particolare che avvertono nei confronti del mio film.»

Peraltro, quasi ce ne dimentichiamo, Carrie White muore vergine, intonsa e “immacolata” (White, appunto) a ricordarci che le vergini, se non accettano i rituali della Prom Night, non hanno scampo. Ma la vittima, in questo paradossale rovesciamento di valori, non si adegua al conformismo di massa e vince moralmente sulla squallida fetta di umanità che la circonda. La verginità, ancora oggi, è tematica ambigua. E infernale – Carrie White, Burns in Hell!.