Grand prix: le corse al cinema e nei fumetti [Lettera 32]

La serie nera (6)

 

 

Rush l’ha diretto Ron Howard, cioè per un’intera generazione il Richie Cunningham di Happy Days anche se lui, che è stato un attore bambino, la prima parte importante l’aveva avuta in American Graffiti di George Lucas, per cui fu scritturato proprio grazie all’interpretazione nell’episodio “pilota” della serie tv, che a sua volta deve il proprio successo pure al rinnovato interesse creato da American Graffiti per la fine degli anni cinquanta e l’inizio degli anni sessanta.

Ron Howard ha poi soprattutto fatto il regista, con grandissimo successo, ed è indubbiamente bello il film sulla sfida nella stagione della Formula 1 del 1976 tra James Hunt e Niki Lauda, che quell’anno perse un campionato già vinto dopo l’incidente terribile del Nurburgring, nonostante il ritorno immediato a Monza, per il grande rifiuto sotto il diluvio del Fuji quando scese dalla Ferrari ritenendo (a ragione) le condizioni della pista del tutto non sicure.

Un film, Rush, tra l’altro con scene di corse davvero realistiche.

Non sempre in passato era stato così.

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Il film da vedere sulle corse di Formula 1 era Grand Prix del 1966, diretto da John Frankenheimer, regista molto solido che aveva avuto successo soprattutto per L’uomo di Alcatraz con Burt Lancaster. La produzione mise insieme un signor cast, dominato dalla bravura di Yves Montand, con la giovane e allora molto apprezzata Françoise Hardy (aveva avuto un successo mondiale con la canzoncina Tous les garçons et les filles) e “legs” Eve Marie Saint protagoniste femminili.

Il nostro grande caratterista Adolfo Celi diede vita a una gustosa versione non autorizzata del Drake interpretando Agostino Manetta proprietario della scuderia “Manetta Ferrari” (sic!). La Ferrari, peraltro, non aveva accolto positivamente il progetto del film, temendo desse una visione sensazionalistica delle corse, parere che cambiò dopo che a Maranello videro il girato di Montecarlo, tanto che furono consentite riprese all’interno del “sacro” stabilimento.

Hanno ruoli nel film diverse leggende del cinema, basti citare Toshiro Mifune, e dell’automobilismo come Graham Hill, Phil Hill e molti altri piloti che appaiono brevemente, compresi i nostri Lorenzo Bandini e Lodovico Scarfiotti.

L’attore che se la cavò meglio di tutti al volante fu James Garner anche se nelle scene di corsa dovette girare senza sedile, era troppo alto per entrare nella monoposto altrimenti.

Il regista usò tecniche innovative tra cui riprese con camere a bordo delle auto che consentirono la visione, fino ad allora inedita, dal punto di vista del pilota, uso dello split-screen e di un montaggio che rendeva bene la velocità e il senso di sfida.

Le scene di corse, specie quelle a Montecarlo, a Spa e a Monza sono per l’epoca straordinarie. Purtroppo manca il Nurburgring per problemi di diritti, perché in quello stesso periodo anche Steve McQueen, con il regista John Sturges, stavano progettando un film simile e Frankenheimer dovette consegnare loro tutto il girato.

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La Formula 1 iniziava a interessare molto di più il pubblico, in quegli anni, e il cinema non fu insensibile, compreso quello nostrano di serie-B: è del 1970 Formula 1 – Nell’inferno del Grand Prix, co-produzione Italo-tedesca. Il regista si chiamava Guido Malatesta, negli anni sessanta noto pure come John Reed secondo la moda dell’epoca di adottare pseudonimi americani. Lo stesso Sergio Leone aveva firmato Per un pugno di dollari come Bob Robertson.

Malatesta, che morì nello stesso 1970, era reduce da pellicole come Samoa, regina della giungla con una giovanissima Fenech, o Tarzana, sesso selvaggio in cui invece recitava Femi Benussi, altra interprete molto apprezzata del cinema osè.

Il film si ricorda solo per la recitazione non memorabile del campione motociclistico Giacomo Agostini, e addirittura per un’apparizione come “se stesso” di Graham Hill.

E ci si superò, nel ‘71, con I due della F. 1 alla corsa più pazza, pazza del mondo. I due sono Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, che all’epoca giravano al ritmo di una decina di film all’anno (ne faranno insieme quasi centoventi). Si vede un “trailer” su youtube,

gustosissimo, dove sono usate anche scene di un vero Gran Premio di Monza, immagino con meno scrupoli nel pagamento dei diritti rispetto a quelli che dovette gestire la produzione del film di Frankenheimer.

Prodotti poveri, quelli con Franco e Ciccio, sovente parodistici, girati in fretta e con pochi mezzi: comicità cretina che era odiata dai critici ma aveva grande successo di pubblico, i due fecero per tutti gli anni sessanta enormi incassi infatti, e dobbiamo ricordare comunque che erano straordinari attori popolari di un mondo artistico ormai definitivamente andato: Franco Franchi era nato con la “posteggia”, gli spettacoli nelle vie e nelle piazze e proprio in piazza Venezia a Palermo fu notato dal più anziano teatrante Ciccio. La piazza si chiama ora piazzetta Franco Franchi e Ciccio Ingrassia.

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In quegli anni noi bambini leggevamo avidamente sul ‘Corriere dei ragazzi’ i fumetti di Michel Vaillant, pilota francese figlio del costruttore delle meravigliose automobili Vaillante, creato dalla penna del fumettista, ora novantacinquenne, Jean Graton.

Anche Michel Vaillant dalla carta passò prima al piccolo schermo, con i tredici episodi della serie Les aventures de Michel Vaillant, prodotto modesto che oggi si guarda con curiosità per le riprese delle corse dell’epoca (una puntata fu girata alla mitica Targa Florio), poi nel 2003 sul grande schermo con Adrenalina blu – La leggenda di Michel Vaillant sceneggiato anche da Luc Besson, dove le gare sono raccontate soprattutto con attenzione alla 24 ore di Le Mans.

Che al cinema aveva già avuto una sua rappresentazione di culto, grazie a un attore che delle corse automobilistiche era straordinariamente appassionato.

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I precedenti episodi di ‘La serie nera’:

A Zandvoort hanno compiuto un omicidio

Una sacca bianca e due occhi indimenticabili

Gli anni favolosi della Formula 3

Colin e il Drake

Di nuovo gli anni delle gioie terribili

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Nel prossimo episodio di ‘La serie nera’:
Una vita spericolata