Unione Europea: castigarne uno per educarne ventisette?

Nella frase originale per la verità coloro che erano destinati ad essere “educati” erano cento e non ventisette, ma non importa. Intanto la confusione che circola sul messaggi social è talmente alta che anche l’autore della frase viene citato di volta in volta in modo diverso e del tutto arbitrario, specie da gente che non ha mai sfogliato un libro di storia e pretende di saperla lunga su tutti i più svariati argomenti, specie di economia politica.

La frase originale viene attribuita giustamente al capo comunista cinese Mao Tse Tung, che la pronunciò per giustificare la politica di repressione e di rieducazione socio-culturale del popolo da lui proposta. Non è un caso che la frase sia diventata poi uno slogan adottato in Italia dalle Brigate Rosse per giustificare sequestri di dirigenti industriali da “rieducare” o di giornalisti non in linea con i programmi rivoluzionari delle stesse.

Ma perché adesso è stato rispolverato il senso di quella frase a proposito dell’atteggiamento italiano verso le regole dell’autorità europea?

Perché stiamo attraversando un momento di marasma intellettuale ma anche soprattutto di ribaltamento dei valori che meno di due generazioni fa costituirono le fondamenta della comunità europea ed hanno reso possibile un settantennio di pace e di sviluppo economico in Europa occidentale e di riflesso anche in Italia.
Il fatto di non sentir più parlare di conflitti fra francesi e tedeschi, fra italiani e austriaci o sloveni, di libera circolazione delle idee, del lavoro, delle persone, senza dover mettere loro al collo delle etichette, dovrebbe averci insegnato qualcosa. Invece no, siamo ancora una volta qui più o meno tutti contagiati da parole come “sovranismo”, “nazionalismo” (che è pure anche peggio, dato che è difficile giustificare gli errori che sono stati fatti nel tempo nascondendo dietro la parola “nazione” ben altre cose di cui avremmo dovuto vergognarci).

Nazionalità dovrebbe essere soprattutto un valore culturale, ma vedo sempre di più italiani che snobbano i tesori di cultura che da secoli ci accompagnano ed a cominciare dal nostro piccolo ambiente che ci circonda in provincia o nella nostra regione (che beninteso non è solo il Piemonte ma una zona ben più allargata) non abbiamo coscienza né del territorio in quanto tale, né dei piccoli e solo apparentemente modesti tesori che ci sono vicini e che vengono ignorati dalla stragrande maggioranza della gente. Tanto per citare qualche esempio, mi riferisco all’abbazia di Rivalta Scrivia, a quella di Sezzadio, alla Collegiata di Novi o di Serravalle, alla Pinacoteca di Voltaggio, alla chiesa della Maddalena di Novi, a quella di Santa Maria a Sale o a quella di Castelnuovo Scrivia, solo per rimanere nella ristretta cerchia di pochi chilometri.

Conta di più solo il fatto di parlare tutti in italiano o vale pensare con la consapevolezza di essere cresciuti con il bagaglio di valori rappresentato dalla cultura italiana ed europea?

Posso sentirmi affine alla mentalità di uno straniero più che con quella di un napoletano che non ha rispetto della legge, dell’ambiente, dello Stato come casa comune, o faccio peccato? Devo per forza adeguarmi alla mentalità di un capo che vuole per forza un condono per i suoi sodali di Ischia che pretendono la ricostruzione della loro casa abusiva con anche parte dei miei soldi? Sono ancora questi gli statisti che faranno la storia?

Ammesso che alle prossime elezioni europee vincano i sovranisti, mettendo in un angolo gli europeisti, con chi dovremmo vedercela per fare i nostri interessi nazionali? Con i francesi del Front National, con gli ungheresi di Orban, con gli austriaci di Kurtz, i Cechi, i Romeni, i Bulgari, i Polacchi di Kaczynski? Tutti questi ultimi sarebbe stato meglio che fossero rimasti sotto il tallone della Russia di Putin, dal momento che concepiscono l’Europa da un lato come uno scudo militare, solo grazie alla NATO, e poi solo una mucca da mungere di contributi, sovente carpiti con l’inganno come pare che sia successo con i contributi agricoli in Slovacchia, in Bulgaria e in Romania?

A fare certe cose credevamo di essere capaci prima noi di altri, ma forse ci siamo sbagliati
Forse è vero che i popoli dei paesi dell’Est, pur allevando da sempre animali bovini e suini, non abbiano ancora imparato a produrre salumi decenti o formaggi squisiti come i nostri, ma in quanto a clonare carte di credito e bancomat o architettare truffe su Internet, governare catene di scommesse clandestine o roba del genere sono da tempo i più forti del mercato, davanti perfino ai napoletani.

Come faremo ad andare d’accordo con questa gente se non ci mettiamo di buona lena a collaborare invece con coloro che ci hanno finora dato l’esempio di saper governare nei loro paesi, senza gioire che anche la signora tedesca sia stata fatta fuori o altri che noi vorremmo veder spazzati via dal voto popolare?

Non vediamo che proprio quelli che consideriamo solidali con noi negli ideali del sovranismo, come l’olandese Geert Wilders o l’austriaco Sebastian Kurtz non aspettano altro che farcela pagare salata la nostra voglia di sovranità fasulla?

Come faranno coloro che governeranno l’Europa a tenere insieme interessi così meschini e gretti in un quadro europeo così sfilacciato?
Troppo facile colpire l’Italia, come è facile colpire uno che sta piegato con le bretelle abbassate.

Ma potrebbe essere indispensabile colpirne uno come noi, allo scopo di educarne altri ventisette, quanti sono i paesi aderenti alla Comunità, se infine a Bruxelles prevalesse la logica della forza. I sessanta milioni di italiani potranno gridare fin che vorranno ma se poi hanno in casa soltanto le baionette arrugginite avanzate dal tempo che fu, cosa potranno fare?
Prenderle sulla testa e stare zitti.

Luigi Timo – Castelceriolo