Brevi ma intensi ricordi della Grande Guerra

Copia di L'inutile strage? Alessandria ricorda la Grande Guerra CorriereAl 2Nel 2010 sono stato autore di una ricerca sui soldati caduti di Castelceriolo ed il mio lavoro, ben documentato per ogni personaggio citato, ha avuto l’onore di essere assunto dalla Biblioteca dell’Archivio di Stato di Alessandria come documento da consultare.

Ne copio uno stralcio che riguarda un caso molto toccante:

“Riguardo al soldato Poggio Giovanni Battista, classe 1884, devo raccontare come per caso sono venuto a conoscere la sua triste storia, attraverso un articolo apparso su un bollettino stampato da una Associazione Culturale dell’Albese, “l’Arvangia”. Su questa rivista, che tratta seri argomenti come il recupero  dell’identità culturale delle comunità rurali del cuneese, si diceva che il Prof. Unia di Cuneo aveva scritto un volume di oltre seicento pagine riportando le storie di guerra di quasi tutti i soldati della Provincia Granda. Tra alcuni commilitoni cuneesi c’era stato anche un soldato originario dell’alessandrino, che aveva lasciato un diario, sul quale con grafia minuta aveva raccontato giorno per giorno le sue peripezie, da dopo la disfatta di Caporetto fino alla sua morte. Nel racconto del diario si capiva attraverso alcuni indizi, che poteva trattarsi proprio del nostro compaesano. Ho quindi telefonato al professore di Cuneo ed ho avuto conferma che era proprio il nostro vicino di casa Poggio Giovanni Battista.

Il povero Giovanni racconta come è avvenuto lo sfondamento del fronte, mentre lui il 22 ottobre si trovava a Plava, sotto il maltempo, sotto l’offensiva portata con estrema decisione dal nemico, parla del tentativo di sganciarsi abbandonando tutto in fretta (una ritirata che nessuno può farsene un’idea, scrive), la preoccupazione per suo fratello Luigi che non aveva più visto da tempo, anche lui in guerra, la paura di non rivedere più sua moglie e le sue tre bambine (un pensiero che lo tormenterà per tutta la prigionia) e poi il racconto della discesa a Codroipo, dove la strada è tutto un ingombro per via del fatto che il ponte sul Tagliamento è stato fatto saltare. Alle ore 15 del 28 ottobre gli austriaci sparano da vicino, il comando italiano incita alla resistenza, ma una pattuglia nemica li circonda e li obbliga  a deporre le armi. Si arrendono sventolando una camicia bianca tolta ad un soldato caduto. Gli austriaci li portano a Udine, poi a Cividale del Friuli, dove c’è una confusione tremenda. Giovanni annota: “saremo 100.000 nel medesimo serraglio, dove prima gli italiani tenevano soldati austriaci prigionieri. Poi partenza a piedi per Tolmino, camminando di notte e di giorno senza riposo, poi per  Santa Lucia, fino a Lubiana in Slovenia a piedi. I piedi cominciano a piagare, mangiano patate crude tolte dai campi. L’8 novembre li caricano serrati in un carro, stretti in circa una sessantina per carro e cominciano a soffrire la vera fame, la sete, la sporcizia, i pidocchi. Il viaggio è lungo e noioso e poi finalmente il 13 novembre arrivano a Vittemberg, dove viene fatta la disinfezione, una doccia e “mangiato brodo e farina”. Giovanni scrive: povera moglie, poverine le mie bambine, quanti pensieri, quanto pianto! La ritirata  è durata 13 giorni a piedi e 7 giorni di treno. La salute comincia a vacillare, ma spera di essere assegnato ai lavori per uscire dalla costrizione del campo di prigionia e fare qualcosa di utile. Il 24 novembre lo visitano e lo fanno abile al lavoro. E’ contento perché spera che col lavoro il tempo passi e il vitto possa migliorare. Il 26 novembre annota: bufera di vento e pioggia, stufa digiuna e noi al freddo. Il 28 annota sul diario: iniezione anticolerica, buonissima minestra d’orzo con qualche pezzo di carne. I giorni passano, ma non succede niente se non l’aggravarsi della fame.   (Il 10 dicembre scrive: tutte le notti sogno pane, pace e lavoro), o del freddo ( il 20 dicembre, annota: freddo tremendo, i piedi mi si congelano fino al punto da non poter camminare.) Il 21 dicembre c’è la visita medica, ma il dottore non visita perché anche lui ammalato. Si diffonde nel campo la notizia che tanti hanno malattie infettive, la polmonite forte miete la vita dei soldati, specialmente i più giovani. Giovanni confessa: sono debolissimo, ma spero ancora. Spera sempre di poter essere in grado di lavorare per meritare un trattamento migliore, o almeno non essere più preso a calci come un cane, ma poi si lascia andare: “ho molto paura perché sono debolissimo, senza rimedio, altro che speranza sempre!” Il giorno 24, vigilia di Natale, scrive:” da tre giorni il rancio di farina va bene, per domani, si dice, speriamo in doppia razione di pane, attendiamo.” “Ho rabbia di non poter scrivere a casa.” Il 28 dicembre scrive: “lavo la biancheria e faccio il macella-pidocchi. Il 29: “Sono contento perché scrivo ai miei cari”. Il 31 annota: “Gallette, assaggio, sono buone ma poche.” 3 Gennaio: “Visita del comandante del campo di concentramento. Si dice partiamo domani.” Il 4: “mi danno cucchiaio, guanti e dicono che si parte oggi a mezzogiorno. Ore tre: si parte per destinazione ignota, si mangia il rancio alle ore 22.” Il giorno 5: “si mangia buona minestra ma senza pane. Ore 21 un poco d’orzo. Territorio montagnoso, da levante si va verso ponente. Piove, bella campagna collinare. Verso notte nevica”.  Dal diario si capisce che li stanno spostando verso il confine francese per utilizzarli in opere di contenimento del fronte che è  sotto la pressione dei francesi. Giorno 8: “baracche cintate, fa freddo, ma si mangia”. Giorno 11 gennaio: “appello e misurazione altezza, connotati eccetera. Si sente il cannone e si vedono volare aeroplani, il fronte sarà a 35-40 kilometri.” Giorno 12: “bombardamento aeroplani, forse si riparte domani. Sempre crivella, spero arrivi presto pacco e notizie. Giorno 13: mi danno il numero per corrispondere: è n.406. Partiamo per il lavoro, 19 squadre, due gruppi. Piove. Giorno 15: pane e aringhe.” Giorno 16: “forse domani si parte per lavoro, ma non so dove.” Il 20 gennaio, “domenica, festa, ma comida sempre uguale” (usa il termine in castigliano, per dire cena,  perché è stato emigrante in Argentina) . Il 21 gennaio annota: “ si va forse a Sedan per lavori diversi, comida: radici e spine.” . Il 22: “Bagno e disinfezione panni. Nelle vicine Argonne bombardamento ferocissimo.” Il 24 arriva a Sedan, sembra contento, ma dubita. “Grande freddo, andiamo a prendere legna nel bosco. Al lavoro, ferrovia nuova, molti prigionieri, francesi, belgi, italiani”. Dice: “lavoro volentieri, ma il lavoro è sporco. Lavoro sei ore al giorno per fare strada. Sempre freddo. E fame.” Poi in febbraio la situazione precipita: “mi fanno molto male le mani, per le piaghe. Non ricevo notizie né pacchi, non posso nemmeno più scrivere. Piove, ritorno dal lavoro tutto bagnato”. Le piaghe lo preoccupano per il freddo e mancanza di medicinali per curarle.

Poi le annotazioni si fanno sibilline. L’8 dice: “si allargano le piaghe”, il 9: “visita…,, non posso per il matto (?), il male cresce, pazienza.” Il 10 febbraio scrive : “legnate da cani”. E’ la fine. Non scrive più, forse muore come un cane. Non tornerà mai più a casa dalle sue bambine e dall’amata moglie.

Nota a margine datata 2010:

e pensare che Giovanni era tornato dall’Argentina per andare a fare la guerra, per difendere il proprio paese, riportando in Italia la moglie e le sue tre figlie. Poteva starsene tranquillo in Argentina a fare mattoni (lavorava in una fornace) ed aspettare la fine della guerra. Ci sarebbe stata l’amnistia per tutti i renitenti alla chiamata e anche per molti che in guerra si sono macchiati di colpe anche gravi. Ma il destino suo era quello, peraltro comune ad altri, come per il Sergente Maggiore Succio Giovanni Battista, anche lui tornato dall’Argentina per combattere e rimasto là disperso sul campo di battaglia. Appena quindici giorni prima di morire aveva ricevuto l’onore della medaglia d’argento al valor militare. Anche di Poggio  nulla si sa più. La zona di Sedan è famosa  per le ripetute carneficine di soldati, che si sono succedute non soltanto nella Grande Guerra. Speriamo che se qualcuno in tutti questi anni ha gettato dei fiori, qualche fiore sia caduto anche sui resti di Giovanni.

Nota a margine datata oggi 2018:

Non posso fare a meno di aggiungere una mia considerazione legata all’attualità: quelli che oggi giorno gonfiano il petto e minacciano di impugnare le armi (si fa per dire)  per marciare su Bruxelles, mi sembrano quasi come D’Annunzio e gli squadristi dell’epoca che chiamavano i prigionieri italiani caduti nelle mani degli austro-tedeschi “gli imboscati d’Oltralpe” e d’accordo purtroppo con lo Stato Maggiore e col Governo del Re impedivano l’invio di pacchi di vestiario e di viveri ai nostri soldati che si trovavano nei campi di prigionia. I prigionieri francesi e inglesi ricevevano da casa la posta e fra mille difficoltà qualche pacco, ma ai nostri poveri soldati in grigioverde niente. Il povero Giovanni continua ad illudersi, vedendo magari quello che capitava ai prigionieri francesi e scrive: spero arrivi presto pacco e notizie. Dopo un po’ di tempo scrive ancora sul suo diario: Non ricevo notizie né pacchi, non posso nemmeno più scrivere. Poi alla fine le ultime parole prima di morire sono: “legnate da cani”.

Ma per il divino poeta quelle erano le parole di uno dei tanti che si erano macchiati della vergogna di Caporetto e non meritavano altro che l’insulto di “imboscati d’Oltralpe”. Aggiungo che, solo grazie alle faticosissime ricerche di una nipote attualmente residente in Sardegna, la salma di Giovanni Poggio è stata recentemente rintracciata in un cimitero di guerra a Verdun, per cui il nostro compaesano ha potuto ricevere quanto meno l’affetto dei suoi cari, se non proprio gli onori al soldato caduto da parte della Patria nella quale aveva creduto.    

          

Luigi Timo – Castelceriolo