Mi chiamo Poldo [Il Flessibile]

 CorriereAldi Dario B. Caruso

 

Il mio nome è Poldo.

Almeno credo, visto che il tizio che mi trascina al suo fianco sembra pronunciare una parola con quel suono quando mi guarda.

Mi guarda spesso.

A volte mi guarda anche quando non vorrei, per esempio mi osserva intensamente quando alzo la zampa posteriore destra per orinare sul cerchione dell’auto di turno; oppure quando in mezzo al viale mi soffermo, eseguo la mia cacatina a regola d’arte e lui la raccoglie per gettarla nel cestino.

Poi mi guarda mentre stringe la mano (la stessa mano della raccolta) a mezzo vicinato.

Mi guarda quando a casa riposo tranquillo sul tappeto, nelle lunghe giornate d’autunno.

Mi guarda e apre la bocca pronunciando suoni a cui non so dare un valore: chissà cosa mai vorrà comunicare, cosa mi racconterà – assolutamente incompreso – per colmare la sua solitudine.

L’unico momento in cui sono davvero felice è quando mi guarda e mi accarezza delicatamente.

Allora penso: se avesse regalato alcune di queste carezze a suo figlio, probabilmente avrebbe altro da guardare, oltre me.

Potrebbe passeggiare con lui, parlare e dialogare con lui, sorridere e scherzare con lui.

Senza neanche il bisogno di raccogliere cacatine per strada.

Ormai mi sono abituato, continuerò a vivere con una persona che mi guarda e che crede di parlarmi.

Ma io riconosco solo Poldo, o qualcosa con quel suono.

Bau a tutti.