Il cocchiere della morte [Il Superstite 396]

ATO6: "Crisi idrica, i cittadini siano più parsimoniosi con l'acqua" CorriereAl 1di Danilo Arona

 

Come scriveva più di mezzo secolo fa l’inesauribile ricercatore e  giornalista Emilio de’ Rossignoli, “secondo una leggenda assai popolare ampiamente diffusa in Europa, l’ultima persona che muore in peccato alla mezzanotte di San Silvestro, assume l’incarico di condurre per tutto l’anno il carro della morte, raccogliendo le anime di tutti coloro che muoiono durante i dodici mesi successivi”.

“È la punizione più crudele – continua De Rossignoli – perché mette colui che è divenuto cocchiere della morte davanti allo spettacolo angoscioso dell’umana agonia per un tempo che è esso stesso un concentrato di dolore, di miseria e di tormento. La leggenda, che ha origini contadine, descrive il veicolo dell’ultimo viaggio come una carretta sbilenca e sgangherata, simile a quei carri di fieno che s’incontrano ancora, di tanto in tanto, sui sentieri di campagna; colui che guida il carro trainato da uno scheletrico cavallo nero, è un figuro intabarrato in una cenciosa palandrana, con un cappello dalla vasta ala calata in modo da tenere in ombra un volto che si può solo immaginare, funereo e ghignante, un teschio vivo. Ma esistono diversificazioni che rivelano altre fantasie, già contaminate dalla vita cittadina. Ed ecco il carro fantasma diventare una carrozza e talora un cocchio, e il conducente trasformarsi nella Morte stessa, avvolta in un nero mantello e con l’inesorabile falce”.

Non so quanto e se c’entri la dotta introduzione, ma una storia un po’ stramba e macabra, accaduta nella notte di San Silvestro di molti anni fa nelle campagne alessandrine, sembrerebbe richiamarla in tutto.

Prendete una compagnia di una dozzina di persone, uomini e donne, che vanno a festeggiare l’ultimo dell’anno in una casa in mezzo al verde e alla nebbia. Osservateli, mentre attendono la fatale mezzanotte, mangiando cotechino con lenticchie e tutti i soliti piatti rituali della festività. Bene, ai dodici rintocchi, si stappano le bottiglie, si scambiano i baci, si mangia il panettone. Poi i tre o quattro più discoli se ne vanno di fuori, dove c’è un bel prato che costeggia una strada secondaria, perché possiedono un bell’arsenale di razzi e castagnole. E comincia la sarabanda.

Poco dopo, però, il lancio di mortaretti s’interrompe bruscamente, perché l’attenzione di tutti (anche il resto della compagnia si è aggregato agli sparatori) è calamitata da una strana apparizione sulla strada: un carro trainato con assurda lentezza da un cavallo, o forse da un mulo, e sul calesse una figura maschile avvolta in una coperta. La visione è singolare, perché tutt’intorno, nonostante ci si trovi in aperta campagna, risuonano i rumori della festa, che sono in modo sinistro simili ai suoni della guerra, e ci si chiede chi mai sarà quell’uomo solitario dall’aria così lugubre che viaggia su quel percorso proprio la notte di Capodanno. Le sparatorie, quasi per una sorta di doveroso rispetto dell’altrui tristezza, sono sospese sino a quando il buio non inghiotte il carro dal lento incedere. E allora si rinnova lo spazio alle ultime cartucce.

Quando finiscono i proiettili e la compagnia si appresta a rientrare nel tepore casalingo, le orecchie di ognuno percepiscono un sinistro schianto seguito immediatamente dal rumore di vetri e lamiere fracassate. La fonte sonora sembrerebbe trovarsi a qualche centinaio di metri dalla casa, laddove la strada secondaria s’immette sulla più ampia provinciale. Senza dubbio si tratta di un incidente stradale e, mentre qualcuno schizza in casa per formare il numero della Croce Rossa, qualcun altro corre verso il luogo dell’ipotetica calamità. Purtroppo i peggiori sospetti sono reali: una macchina è accartocciata contro il tronco di un albero. Provenendo dalla provinciale, il guidatore sembra aver perso all’improvviso il controllo. Seguono attimi di smarrimento. Nessuno sa cosa veramente fare. Si prova a parlare con le due persone a bordo, che sembrano incoscienti. Per fortuna l’ambulanza in pochi minuti è sul posto.

Il giorno dopo uno dei due occupanti l’auto morirà per le lesioni. L’altro, una volta ristabilitosi, dichiarerà di aver dovuto frenare di colpo per evitare di finire contro un carretto con cavallo apparso all’improvviso in mezzo alla strada. Invano se ne cercheranno le tracce. Anche gli ospiti della festa, che pure lo hanno visto passare, una volta a conoscenza delle modalità dell’incidente, non si capaciteranno di come il carro non potesse essere più in zona, data la sua assoluta lentezza.

Emilio De Rossignoli sosteneva in quel vecchio articolo che molte cronache “nere” assomigliano troppo alle antiche leggende del carro per non pensare che ancora la Morte si diverta, nel suo quotidiano raccolto, a inserire una nota d’ironica, atroce fantasia. Comunque la pensiate, a Capodanno, evitate di viaggiare. Soprattutto intorno alla mezzanotte.