Un gatto fuori misura [Il Superstite 395]

ATO6: "Crisi idrica, i cittadini siano più parsimoniosi con l'acqua" CorriereAl 1di Danilo Arona

 

L’Acquese, bellissima terra in cui i misteri si confondono con le antiche suggestioni delle favole nere, ci regala una storia che risale agli anni ’90 e che, come spesso capita, molti garantiscono essere vera.

La vicenda inizia quando una sera, al ritorno del lavoro nei campi, due uomini – un giovane e un anziano, figlio e padre – transitano davanti al cimitero distante poche decine di metri da casa loro e vedono un enorme gatto nero uscirne attraverso la cancellata. Si tratta di un esemplare proprio bello, tronfio e pasciuto, che cattura l’attenzione per l’incedere regale, peraltro caratteristico della razza felina. I due, la cui famiglia abita nella zona da sempre, non hanno mai visto quell’animale e desumono dalle sue ottime condizioni fisiche che appartenga a qualche famiglia abitante verso il centro del paese.

Puntano verso casa dove li attende la meritata cena, ma i loro passi vengono bloccati da un inquietante mugolio. Non si tratta di una richiesta di aiuto, bensì della caratteristica nota bassa e ringhiante che i felini, soprattutto quando sono in amore, riescono a modulare con risultati sconfortanti per il riposo notturno. I due, incuriositi, si voltano e vedono il gatto nero fermo al centro strada che, ringhia, soffia e inarca il pelo all’apparenza al loro indirizzo.

«Brutto carattere» fa in tempo a mormorare il figlio. Quindi l’anziano si piega in due, come colpito da un improvviso e lancinante dolore all’addome. Il giovane gli chiede spiegazioni ma il padre non è in grado di fornirne. Si appoggia al figlio e raggiunge casa, dove si mette a letto senza toccare la cena. Una colica addominale non va certo a braccetto con gli agnolotti affogati nel Barbera. Il gattone ringhiante è stato subito dimenticato e in giro non si vede.

Un paio di giorni dopo, l’anziano in perfetta forma ripercorre il tragitto davanti al cimitero e scorge, questa volta in piedi sul muretto, il gatto nero. Dal momento che ne associa l’immagine al mal di pancia in un simbolico e improbabile rapporto di causa/effetto, il contadino indirizza al micio un bel paio di corna (Tié!) per mandarlo in cuor suo a quel paese. Ma, come in un déjà vu, il gatto prende a ringhiare e l’uomo stramazza al suolo, in preda a un nuovo e più violento attacco alle zone basse. Da queste parti non occorre una tera verifica: quel gatto, a detta di tutti i parenti della sfortunata “vittima”, è mandato da qualcuno per fare del male al capofamiglia. Che significhi “mandare” e chi sia “qualcuno”, sono poi bazzecole. Con la tesi è d’accordo anche il guaritore della zona, Luigi di Bubbio, che visita l’amico e prega poi la famiglia di chiamarlo se mai il gatto si facesse di nuovo vivo. E fu proprio Luigi che mi raccontò la fine, forse provvisoria, della storia:

«È domenica pomeriggio e mi trilla il cellulare. Senza il minimo preambolo, sento urlare che il gatto è sul davanzale e che l’uomo ha ripreso a contorcersi per il dolore. Salto in macchina e mi precipito a casa di questa gente. E sul parapetto della camera da letto scorgo il più grosso gatto nero che abbia mai visto mentre il padrone di casa si trova in un’altra a urlare per il dolore. Afferro una scopa e mi avvicino all’animale. Ed ecco una scena che non dimenticherò mai più: il gatto ‘cambia’, si allunga e si allarga, raggiungendo le dimensioni di un puma. Quindi, lanciando un ruggito poco felino, si lancia nel vuoto con un salto prodigioso e plana quasi con delicatezza sui rami di un albero che dista dalla casa parecchi metri. E, raggiunto il terreno, scompare all’interno del cimitero. Io corro subito lì, ispeziono dappertutto in lungo e in largo, ma non trovo proprio nulla. O meglio, qualcosa c’era: una tomba senza nome con la terra smossa e una puzza tremenda di piscio di gatto attorno. Ma non l’ho detto a nessuno…»