Il fuorigioco mi sta antipatico. Per tacer del Var [Lettera 32]

di Beppe Giuliano

 

Mediamente, se scrivo Luciano Bianciardi i due pensieri dominanti temo siano:

1) Boh?

2) Certo, ha scritto ‘La vita agra’. Poi: boh?

La gloria degli scrittori italiani del dopoguerra è decisamente passeggera, soprattutto di quelli che hanno sempre avuto l’abitudine di stare “fuori dal coro” (quanto ci abbiamo messo a scoprire Fenoglio?). O hanno commesso il grave errore di morire presto (quanto poco oggi viene ricordato Tondelli?).

Bianciardi era amaro e amareggiato, in quello che sarà il suo ultimo anno di vita cioè nel periodo in cui collaborerà col ‘Guerin Sportivo’.

Il Guerino era una cosa seria, allora, eh. Un foglione, zeppo di scrittura sportiva. Diretto da un grande scrittore, anche di cose sportive, come Gianni Brera.

Che a un certo punto, nel 1970, si stufò di rispondere alle lettere dei lettori.

Cedette così la rubrica appunto a lui, un grande scrittore che nelle sue risposte volentieri inserì non solo lo sport, ma molto altro.

Bianciardi era comparso per la prima volta sul Guerino il 6 luglio 1970, una terza pagina in cui subito rivoltava la storia sportiva con “Il secondo risorgimento del cavalier Facchetti”. Immaginava “che cosa sarebbe accaduto se l’Italia avesse vinto i mondiali”.E si presentava descrivendo “le lagrime segnare il volto fiero e buono, ascetico e a un tempo virile di Giacinto Facchetti.”

Per chi ha risposto 1) alla domanda sopra, ma anche per chi ha risposto 2) ricordo che era una gran penna, Luciano Bianciardi.

Curò la rubrica della posta dei lettori dal 28 settembre 1970 al luglio 1971, quando Brera smise di essere stufo di rispondere alle lettere, e ne riprese la titolarità.

E lì, colpo di genio, non so se dovuto all’uno o all’altro, ecco “Il salotto letterario”: continua a rispondere alle lettere, ma questa volta a quelle (vere o molto più probabilmente presunte) scritte da personaggi celebri, e troviamo firme che vanno da Enzo Tortora (peraltro già gli aveva scritto varie volte, e gli scambi tra i due sono piacevolissimi da leggere) a sportivi come Fausto Gardini, Giorgio Ghezzi o Bruno Pesaola, oppure a Maurizio Arena (un tempo lontano bello di bulli e pupe) o Arnoldo Foà che sinteticamente chiede: “Illustre maestro, la crisi del dollaro avrà influenza sulla sua produzione?”, Gianrico Tedeschi o Valeria Fabrizi.

Una collaborazione presto terminata, e nel più tragico dei modi:

“Chiudo con una notizia che stringe il cuore – dovrà scrivere Gianni Brera. È morto improvvisamente Luciano Bianciardi, nostro collaboratore e amico. Aveva quarantotto anni e pareva destinato a onorare sé e le lettere per altri moltissimi. L’ha spento un morbo implacabile, sicuramente insorto da una prostrazione sentimentale che il suo scanzonato cinismo avrebbe escluso agli occhi di chiunque non lo conoscesse nell’intimo. In realtà, il povero Luciano aveva un animo dolce e spesso indifeso, talché il cinismo non era in lui che una finzione, una sorta di schermo dietro al quale si consumava in una sensibilità quasi morbosa. La sua morte ci ha dolorosamente colpiti nell’affetto non meno che nel lavoro. Il ‘Guerino’ sentirà a lungo la sua mancanza: e valga questa ammissione sincera a esprimere la stima che nutrivamo per così buono e geniale collega. Addio, Luciano Bianciardi, non ti dimenticheremo mai.”

Un saluto affettuoso. Mi ha ricordato quello che, non molti anni dopo, Brera seppe scrivere per Giuseppe “Pepinoeu” Viola, lui pure andato troppo, ma davvero troppo presto.

Restano le risposte ai lettori di Bianciardi, raccolte anni fa in libro da “Stampa alternativa”, appunto titolato ‘Il fuorigioco mi sta antipatico’.

Non di solo sport, come detto:

– ‘Cuore’ è molto, molto più crudele di Diabolik. È un libro fatto apposta per far piangere, un secolo fa, i ragazzi italiani.

– Allora, leggi ‘Lamento di Portnoy’ di Philip Roth, divertentissimo. (mi permetto di chiosare: era appena uscito, a confermare l’occhio di Bianciardi, che era anche un signor traduttore dall’inglese) Spiega fra l’altro, ma qui non te lo posso riferire, che uso si può fare di un guantone da baseball.

– Venti anni or sono, Pavese morì suicida, pagando di persona colpe che non erano sue, ma nostre. Dunque Pavese fu eroe, e un grande scrittore, e un insigne traduttore dall’inglese. Legga il suo ‘Moby Dick’.

La storia del risorgimento, grande passione, rivisitata senza troppi pudori:

Vittorio Emanuele II, suo figlio. O meglio, il figlio del mugnaio, perché ci fu uno scambio di lattanti, al tempo della balia mugnaia. Basta guardare i ritratti e si capisce come stanno le cose. Vittorio Emanuele II era un piccolotto, come Garibaldi e come il figlio Umberto e il nipote, ahimè, Vittorio Emanuele III, mentre Carlo Alberto aveva un fisico da pivot. Misurava due metri e quattro. Lei lo sapeva?

Giuseppe Mazzini era un solenne menagramo, confusionario, approssimativo.

E giudizi, sempre schietti, anche sui contemporanei:

Moro è un uomo molto triste e molto aggrovigliato. (Ne prenderemo coscienza noi tutti con le lettere scritte dalla prigionia, anni dopo)

Indro Montanelli è il nostro maggiore giornalista: riesce a dire esattamente quello che pensano i suoi lettori. I quali poi dicono: hai sentito, come le conta giuste, quello lì?

Oriana Fallaci è una carica di tritolo. Almeno 50 chili di esplosivo. Pare, come dicono in Toscana, un ‘donnino’, in realtà è un soldato di ventura travestito da donna.

– No, gli astronauti sono soltanto dei super-tranvieri. Anziché a Baggio, hanno il capolinea nel mare della tranquillità. Ma non vedo la differenza. Anzi, da quelle parti il traffico, che io sappia, è meno ingorgato.

E, non diversamente, sui personaggi dello sport:

– Vittorio Pozzo fu un buon alpino, che sapeva parecchie canzoni di montagna, le insegnava a Rosetta e a Ferrari gliele faceva cantare, e in questo modo vinse due campionati mondiali, a stento però.

Merckx sta a livello di Binda e di Coppi, che ai tempi loro vincevano tutto. Solo che Merckx non è un personaggio: ha la faccia di quello che ti controlla le gomme al distributore di benzina.

Fino al giudizio definitivo, perché i grandi scrittori anche quando maneggiano lo sport sono decenni avanti:

La moviola non è un mezzo davvero obiettivo per giudicare una partita di calcio e poi io credo che l’uso di tale mezzo sarebbe quanto mai impaccioso. No, le partite devono arbitrarle gli arbitri, non i mezzi audiovisivi.

Sostituite al desueto “moviola” l’attuale “Var” e, voilà, il giudizio è perfetto. Sì, certo, il Var mi sta antipatico, proprio come il fuorigioco a Luciano Bianciardi: “come tutte le regole che limitano la libertà di movimento e di parcheggio”.