Prima gli italiani!

Per fine anno 2 ai politici, ma anche a noi cittadini! [Le pagelle di GZL] CorriereAlQuale significato dare a questa forte affermazione di principio? Cosa si vuole dire quando si proclama “prima gli italiani!” quando si tratta di usare denaro pubblico a vantaggio di qualcuno?

A prima vista non ci sarebbe nulla di male a sollecitare un interessamento, o un aiuto in denaro per qualche nostro compatriota in difficoltà, con precedenza su altri secondo canoni ben precisi e chiari per tutti, sempre che la stessa idea non nasconda pregiudizi corporativi o peggio ancora razzisti. Infatti come spiegare che il nero che lavorava presso i laminatoi delle acciaierie rimaste senza materia prima a causa della crisi dell’ILVA non ha altrettanti diritti di precedenza rispetto al bianco che lavorava fino a ieri all’Alitalia ed ora rischia il taglio del posto?

Chi sono gli italiani che vengono avanti in prima fila? Quelli che possono far sentire di più la loro voce oppure quelli che soffrono di più? E poi chi sono gli italiani autentici? Quelli che lo sono da più generazioni o gli ultimi arrivati costretti a lavori umilianti e mal pagati? Sì, poiché anche loro sono cittadini residenti che pagano regolarmente le tasse ed hanno una tessera sanitaria ed un codice fiscale simile al mio.

Poi se vogliamo andare a fondo della questione, ci sono quelli che vivono in città come Milano, dove il costo della vita è altissimo e solo per l’affitto di due stanze non basta loro lo stipendio di un lavoratore, oppure quelli che vivono in paesini sperduti e solo per recarsi sul posto di lavoro devono viaggiare per ore su treni scassati e alzarsi al mattino prima del sorgere del sole?

Sono tutti “italiani” fino a prova contraria (l’unica prova contraria sarebbe l’indegnità, prevista dalla legge fondativa della Repubblica, che ne fa forse l’unico caso per motivare la perdita del diritto di cittadinanza) , ma ci sono italiani che hanno un orgoglio particolare e vogliono sfogare la loro rabbia senza porsi molte domande. Vagheggiano di un passato che non hanno neppure conosciuto, ma che viene loro presentato come la mitica epoca di un tempo in cui volevamo far pesare la nostra presenza fra le nazioni occidentali e andavamo avanti pettoruti e fieri della nostra povertà che qualcuno aveva vestito di potenza fasulla. Ce l’hanno poi fatta pagare e l’orgoglio nazionale è finito sotto i piedi.

Come cliente Fiat sono rimasto in un certo senso deluso quando ho visto che tutti e quattro i pezzi da novanta che avranno in mano il destino dell’industria dell’auto italiana, compresa la Ferrari che molti (non io) seguono con spirito da tifosi più che con spirito sportivo, tutti risultano essere stranieri e l’unico italiano sopravvissuto ha preferito dare le dimissioni il giorno dopo la morte di Sergio Marchionne.

Bisogna farsene una ragione e capire che a suo tempo abbiamo sbagliato a fidarci dei cosiddetti “patrioti” chiamati a raccolta dai politici di allora per raddrizzare le sorti di quelli che credevamo fossero i gioielli dell’Italianità, le bandiere tricolori del nostro mondo produttivo creato dal dopoguerra in poi: le Ferrovie dello Stato, l’Alitalia, la Tirrenia, la Telecom, l’Olivetti, l’Ilva, la Lanerossi, la Zanussi, Merloni e tutto il resto delle aziende degli elettrodomestici e delle televisioni che abbiamo conosciuto. Tutto a ramengo, un pezzo dopo l’altro e sbagliamo nel dare la colpa soltanto alle delocalizzazioni ed alla concorrenza straniera, dal momento che nello stesso tempo i colossi tedeschi si attrezzavano per reggere la concorrenza e proprio noi che sembravamo trasudare italianità da tutti i pori eravamo i primi a preferire una macchina tedesca ad una italiana.

In fin dei conti all’inizio della storia, cioè dal 1946 in avanti, sia l’Italia che la Germania erano partite con le pezze al culo e tanto la lira che il marco tedesco valevano zero, anzi da noi erano state stampate le A.M. Lire, tanto per darci la possibilità di andare a fare quel poco di spesa che serviva per non morir di fame. Qualche burlone fra il popolo diceva che am-lire valesse tanto come il verso di chi mangia un pezzo di pane, cioè gnam-gnam.

Poi ad un certo punto scoprimmo che il marco valeva 180 lire, perché lui si era rivalutato nel corso degli anni mentre la lira continuava imperterrita sulla strada della svalutazione, fino al punto che nel periodo in cui noi credevamo di essere diventati ricchi il marco aveva raggiunto la quotazione di circa 900 lire. Come era stato possibile un tale miracolo?

Noi dicevamo: sì, perché loro sono tedeschi e non hanno la palla al piede del nostro meridione, ma poi dopo anche i tedeschi hanno dovuto fare i conti con l’assorbimento delle regioni orientali della DDR ex comunista, dove sarebbe stato impensabile partire con lo stesso valore del marco occidentale rispetto a quello orientale.

Ci hanno messo oltre quindici anni, ma loro ce l’hanno fatta a bilanciare i due sistemi economici, mentre noi italiani è da ben 150 anni che lottiamo senza successo, ma proclami e parole ne abbiamo fatte tante e soldi buttati pure. Ma non è ancora finita.

Rassegniamoci quindi a portare la croce, sudando e lavorando senza vantare a danno di altri una potenza che non abbiamo e di certo non abbiamo mai avuto.
Guardiamoci piuttosto da chi vuole illuderci ancora una volta e ci promette rivoluzioni impossibili e incominciamo a capire di quali mezzi disponiamo e come possiamo farli valere. Prendiamo esempio dallo sport. Nella prossima formazione tipo della Juventus ci sono nove stranieri su undici giocatori titolari ed in alcune squadre concorrenti la situazione non è certo migliore. Il campionato italiano è pieno di personaggi importati. Anche nelle squadre dei dilettanti gli organici ormai pullulano di nomi stranieri, albanesi, romeni, neri e di ogni colore. Abbiamo il diritto di gridare allo scandalo? Mi pare proprio di no.

Guardiamoci in casa proprio ad Alessandria. Perché dovrei riempirmi la bocca di falso “orgoglio Grigio” quando nella formazione dei grigi non c’è magari non solo neppure un alessandrino, ma forse neppure più un ragazzo piemontese. Viva dunque lo sport senza barriere di orgoglio locale e senza distinzioni di etnia o di razza.

Noi di Castelceriolo, che un tempo abbiamo dato allo sport del calcio ben tre nazionali (Brezzi, Baloncieri e Riccardi) ed abbiamo tuttora un impianto sportivo molto bello e funzionale, non possiamo avere l’orgoglio di vedere neppure un piccolo gruppo di ragazzini del paese giocare su questo campo. Non c’è più nessuna squadra di ragazzi o di giovani ed addirittura per la festa patronale di San Rocco non si riesce neppure più ad organizzare la vecchia tradizione della sfida fra celibi ed ammogliati. Figuriamoci dove possiamo ficcarci l’orgoglio del “prima gli italiani!”

Magari venissero a giocare sul nostro bel campo i neri che sudano sotto le serre dell’Olliana a zappare verdure per conto dei cinesi! Ne ho adocchiato uno che ha un fisico niente male per un centravanti di valore, come era Guglielmo Brezzi, che raccontavano i nostri vecchi avesse una legnata così secca da strappare le reti. Magari questo negrone dai denti bianchissimi e alto quasi due metri potrebbe rimpiazzarlo con onore, mentre i nostri giovani si trastullano con lo smart-phone ed il verde del campo di calcio non li interessa più.

 

Luigi Timo – Castelceriolo