L’assedio di Alessandria del 1657 [Alessandria in Pista]

Copia di Cento cannoni per Alessandria [Alessandria in Pista] 33di Mauro Remotti

 

 

 Nell’estate del 1657 (precisamente dal 19 luglio al 18 agosto) Alessandria fu oggetto di un epico assedio che vide scontrarsi sotto le sue mura gli eserciti di due grandi potenze: Francia e Spagna [1].

 

L’acuirsi della contesa per la supremazia continentale coinvolse anche la nostra città, che nel secolo precedente era entrata a far parte dell’orbita spagnola. Come è stato rilevato da Annalisa Dameri e Roberto Livraghi: «si consolida in questi anni il ruolo militare (ribadito anche nei secoli successivi), fondamentale per controllare da occidente ogni possibile attacco da parte dei francesi e dei Savoia»[2]. Alessandria fu infatti accerchiata da 15.500 soldati franco-sabaudi comandati dal principe di Conty e dal marchese Gianfranco Villa.

Gli Statuti di Alessandria [Alessandria in Pista] CorriereAl 3

Gli assedianti potevano contare anche sul supporto di Francesco I d’Este, duca di Modena, che provò a conquistare Alessandria con l’inganno: chiese aiuto a un ebreo[3], al quale promise 1500 doppie se avesse incendiato le polveri della città, e una somma ancora più allettante qualora fosse riuscito ad aprire una delle porte di accesso. L’uomo finse di accettare la proposta, ma in realtà rivelò tutto al capo del presidio, che riuscì così a predisporre al meglio il piano di difesa.

Tutti i bastioni furono difesi da tanti alessandrini, tra i quali si distinse Guarnero Guasco[4], valoroso maestro di campo.

Gli Statuti di Alessandria [Alessandria in Pista] CorriereAl 2

 

Si diffuse inoltre una leggenda popolare secondo cui uno dei bastioni venne protetto da un gruppo di trecento donne guidate da Francesca Trotti, moglie del conte Galeazzo ovvero del governatore spagnolo don Fernando Garcia Ravanal[5]. «Divife in fei Compagnie, ciafcuna con la fua Capitaneffa. Alcuni Officiali le fecero efercitare a tirar del Mofchetto: Havevano Vefte corta (con Calzoni fotto) beniffimo veftite, ma senza alcuna pompa»[6] difesero coraggiosamente il bastione degli Orti vicino a porta Rezolia[7], che da allora venne denominato «las Damas», ossia «bastione delle dame»[8].

Gli Statuti di Alessandria [Alessandria in Pista] CorriereAl 1

L’episodio che ha visto protagoniste le donne di Alessandria è stato celebrato dal poeta Alessandro Cassola[9] in un poema epico di sei canti e tremila versi dal titolo: La briglia del furore, ossia Alessandria difesa (1658). Composto sul modello della Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso, descrive Francesca Trotti come Clorinda, l’affascinante e valorosa «donna guerriera».

Senza nulla togliere al fascino del racconto tradizionale, è tuttavia plausibile pensare che si sia trattato di un atto di ossequio alle alessandrine, le quali, in tempo di pace, erano solite passeggiare lungo le mura della città.

Gli Statuti di Alessandria [Alessandria in Pista] CorriereAl

 

Gran parte del merito per il potenziamento del circuito fortificato è da attribuire all’ingegnere militare Pompeo Robutti[10], che si era già adoperato brillantemente per la difesa di Alessandria nel 1643. L’anno seguente progettò i bastioni di S. Barnaba e di S. Giuliana in Borgoglio, e poi la mezzaluna a difesa della Porta di Marengo.

Durante l’assedio Carlo Guasco annotò che «l’ingegnoso Robutti» inventò «alcune Micidiali Macchine da guerra, colle quali si fece orribile strage degli Aggressori» e delineò «una Carta Tipografica […] delle Fortificazioni di Alessandria assediata, con i differenti Quartieri Francesi, le Trinciere, le Linee di controvallazione, e gli approccj nimici, come pure la situazione dell’esercito Spagnolo venuto al soccorso di essa Città, co’ suoi avvanzamenti verso la Bormida, la quale meritò in appresso, per la sua grande esattezza, di esser data alle Stampe»[11].

Non riuscendo a espugnare Alessandria, gli assalitori decisero di ritirarsi a causa del sopraggiungere dei rinforzi (muniti di ben 18 pezzi di artiglieria) condotti dal duca di Mantova Carlo II e dal conte di Fuensaldana, insieme a Galeazzo Trotti. Si narra che in quell’occasione un contadino di Cuccaro abbia attraversato audacemente il campo nemico per recare la notizia dei prossimi soccorsi.

 

 

 

[1] La guerra franco-spagnola venne combattuta tra il 1635 e il 1659. Il conflitto fra i due più importanti eserciti d’Europa si protrasse per undici anni oltre la pace di Vestfalia, che aveva posto fine alla guerra dei Trent’anni, per poi terminare con la pace dei Pirenei.

[2] AA.VV., Atlante storico dell’Alessandrino, Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria, 2013.

[3] Salvatore  Foa,  Gli Ebrei nel Monferrato nei secoli XVI e XVI, Forni, 1965.

[4] Guarnero Guasco, valoroso condottiero, fu anche consigliere della giunta suprema di Stato. Morì nel 1664 e venne sepolto nella cappella della chiesa dei minori osservanti nel quartiere di Bergoglio.

[5] Fernando Garcia Ravanal, governatore spagnolo di Alessandria, nel 1658 fece realizzare una porta che prese il suo nome, ossia porta Ravanale (incorporandovi l’antica porta Rezolia), poi demolita nel 1868.

[6] Gregorio Leti, Raguagli historici e politici delle virtù…”, Appresso, T. Boeteman, 1699.

[7] Secondo Ugo Boccassi, Claudio Zarri, Roberto Piccinini e Franco Rangone, potrebbe trattarsi di una traslitterazione di Arzola, quartiere popolare antistante a porta Rezolia, il cui termine dialettale “ersu” (argine) deriverebbe dalla vicinanza al fiume Tanaro in una zona costellata da piccoli terrapieni.

[8] Vedi: Mauro Remotti, Il Bastione delle dame, La Voce Alessandrina, n.28 del 19/07/2018.

[9] Alessandro Cassola è ricordato da Girolamo Ghilini anche come valente giureconsulto e autore di un erudito panegirico di San Tommaso da Villanova, vescovo agostiniano di Valenza.

[10] Pompeo Robutti nacque nel 1604 da Marc’Antonio e Margherita Inviziati. Famoso ingegnere di guerra e trattatista, venne sepolto nella cappella di famiglia in Santa Maria di Castello nel 1668.

[11] Voce Alessandria, in C. Orlandi, Delle città d’Italia e sue isole adjacenti compendiose notizie sacre, profane […], tomo primo, Perugia 1770, pp. 295.