Ultime cartoline dalla Russia [Lettera 32]

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di Beppe Giuliano

 

 

Noi non ci saremo

Inutile raccontarci il contrario, questi mondiali senza azzurri li abbiamo guardati un po’ così, “come si guarda un cugino” avrebbe cantato il Jannacci (in ‘Musical’, uno dei suoi tanti, amari, capolavori).

Noi il nostro capolavoro a rovescio lo abbiamo fatto nelle qualificazioni andando a farci massacrare dalla Spagna, consapevoli ancor prima di giocarcela che sarebbe andata così, prima di tutto grazie all’allenatore che ricorderemo giustamente come il più cretino che si sia mai seduto sulla panchina della nazionale.

Spagna che tra l’altro, boh, non è sembrata all’altezza della sua fama, difficile dire se per consunzione, stucchevolezza di un gioco (il tanto celebrato “tiki taka”) che per fortuna è nella fase discendente della sua parabola, o per la decisione di licenziare l’allenatore Lopetegui a pochi giorni del mondiale, scelta obbligata dopo l’annuncio che finito il torneo sarebbe andato ad allenare il Madrid che di suo, in queste estate, mosse di mercato assurde ne ha fatte pure troppe.

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Mi chiamo Luka

A proposito di consunzione e degli iberici, questi mondiali ci hanno detto che il più forte centrocampista dell’ultimo decennio, Andres Iniesta, ha fatto bene a salutare il calcio che conta, con tanto di spettacolare foto d’addio “social” nel Camp Nou deserto.

Lo scettro, come peraltro prevedibile lo ha passato al piccolo, straordinario Luka Modric, valore aggiunto sia del centrocampo del Real (non è che adesso vendono pure lui?) sia della Croazia, dove è in buona compagnia a proposito di giocatori dai piedi buoni.

Mi chiamo Luka è il titolo della traduzione italiana di una canzone della cantautrice Suzanne Vega. Da noi la canta Paola Turci. Racconta di un bambino molestato. In questi giorni sta circolando moltissimo la foto di Modric quando era un piccolo “rifugiato”. Ovviamente il ritorno al successo di una squadra dell’ex-Jugoslavia ha riaperto anche molte discussioni su una guerra che c’è stata, appena ieri, a due passi da noi.

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L’estate di Bobby Charlton

Croazia in finale battendo un’Inghilterra che pensava toccasse a lei. Battuta giocando meglio. Punto. Quell’ostinarsi dell’allenatore dei “three lions” Southgate, perlomeno elegantissimo, a mantenere la difesa a tre tendente al cinque qualunque fosse il risultato, comunque andasse il gioco, come un Mazzarri qualunque, è la chiave tecnica di un risultato decisamente deludente.

Che l’Inghilterra abbia un problema coi tecnici lo conferma una statistica cruda. L’ultimo inglese a vincere il campionato, ancora prima che nascesse l’attuale Premier League resta Howard Wilkinson con il Leeds. Stagione ‘91-’92. Dopo di lui nessuno, considerando giustamente nati altrove gli scozzesi sir Alex Ferguson e Kenny Dalglish.

Confesso che tifavo Inghilterra, anche molto suggestionato dalle maglie rosse che ricordano la nazionale campione nel 1966. Infatti ho perfino provato a riguardare ‘L’estate di Bobby Charlton’, e sono rimasto sinceramente deluso. Girato nel periodo in cui da noi andava molto il film nostalgico generazionale, “ci sono tanti caroselli, giornali, oggetti, automobili, canzoni” (di Mina) come ricorda il Mereghetti. “Ma poco o nulla” di più. Come alla fine il mondiale dei “three lions”.

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Gli eredi dei “plavi”

Quattro anni fa, quando tutte le nazionali dell’ex-Jugoslavia erano uscite nuovamente al primo turno, avevo scritto su un blog collettivo dedicato ai mondiali del Brasile, del declino di quel movimento erede di una tradizione gloriosa, dagli “ich-es” della squadra tutta serba che battè il Brasile ed arrivò terza nella prima edizione del 1930, alle squadre piene di talento degli anni cinquanta e sessanta, fino a una generazione potenzialmente fortissima interrotta (e divisa) dalla guerra. C’era un croato, Prosinecki, in campo anche nella molto serba Stella Rossa che vinse la Coppa dei Campioni nel 1991, la finale giocata a Bari e decisa dai rigori contro l’OM disputata dopo che già c’era stata la famosa rissa della partita contro la Dinamo Zagabria, fomentata dall’allora capo dei tifosi “Crveno-beli” il poi criminale di guerra Arkan, e in cui si diede molto da fare dal lato croato anche “Zorro” Boban; rissa che molti citano come la scintilla che fece definitivamente deflagrare il conflitto.

In quel pezzo dicevo: “forse il colpevole” del cambiare (in peggio) il destino delle nazionali ex-Jugo “è un giocatore molto forte, che tutti stimano anche come uomo serio e intelligente. Un difensore che in 142 partite giocate in nazionale ha fatto solo due gol. E nella stessa partita.” Il difensore, Liliam Thuram, “batté, praticamente da solo, la Croazia e portò la Francia in finale. Dovrebbero ringraziarlo, e parecchio, per quell’unico mondiale vinto, i “cugini”. Mentre dovrebbero detestarlo, e parecchio, i tifosi delle varie nazionali nate dalle guerre jugoslave. Da quella doppietta, segnata in una ventina di minuti, solo eliminazioni, per gli eredi dei “plavi”.”

Questo scrivevo, riferendomi alla semifinale mondiale del 1998. Vent’anni dopo si è giocata un’altra Francia-Croazia, ancora più importante.

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Ultima cartolina dalla Russia

Ovviamente l’ultima cartolina non può che essere la fotografia, mentre alza la coppa, della nazionale che i Mondiali li ha vinti. Io prima dell’inizio avevo scritto proprio qui su CorriereAL che sarebbe stata la Francia.

Comunque, come si dice, rimango modesto.

 


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