Il terremoto della globalizzazione: è il momento di ricostruire [Piemonte Economy]

di Cristina Bargero

 

Tutto va per il meglio, nel migliore dei mondi possibili’: così Candide e Pangloss si ripetevano a fronte ad ogni nuovo disastro che si abbatteva sugli esseri umani, mentre Lisbona veniva distrutta dal più terribile terremoto della sua storia.

Con lo stesso ottimismo ci siamo posti di fronte a globalizzazione, nuove tecnologie, robotizzazione: fino ad alcuni decenni fa eravamo convinti che fossero le leve di sviluppo delle economie avanzate. Oggi invece, a fronte di dati di crescita del PIL deludenti, e al contempo registrando l’aumento delle sperequazioni tra classi sociali e l’impoverimento della classe media, se ne colgono soprattutto le criticità, e ci si interroga sui possibili strumenti di soluzione.

A lungo si è ritenuto che i paesi avanzati potessero reggersi sul terziario e sulla finanza, trascurando il valore dell’economia reale (ed in particolare dell’industria): solo negli ultimi quindici anni a livello mondiale il peso dell’industria sul PIL è passata dal 31% al 28%, quello del manifatturiero dal 19% al 15%.

Tale tendenza è comune a quasi tutti gli Stati, con l’eccezione della Germania (dove è rimasto sostanzialmente invariato) e della Cina, dove la flessione del manifatturiero è stata di soli due punti percentuali, ma l’incidenza sul totale del valore aggiunto supera ancora il 30%.

In Italia, dal 2010 al 2015, il peso dell’industria ha mostrato una flessione del 3%, quello del manifatturiero in senso stretto del 4%, sebbene dopo la Germania il nostro resti il secondo paese manifatturiero in Europa.

Il Piemonte, regione dal passato fortemente manifatturiero, produce l’8% del valore aggiunto totale e il 10% circa del valore aggiunto manifatturiero italiano, mantenendo un peso rilevante sull’economia nazionale, con una diffusione a macchia di leopardo sul territorio regionale e divari provinciali e settoriali, per cui soprattutto nella nostra regione diventa necessaria una promozione dell’innovazione (capitali pazienti) e degli investimenti mirata ad aumentare la produttività aggregata dell’economia.

L’economia moderna infatti è anche un’economia della conoscenza, che impone cambiamenti delle nostre realtà produttive anche dall’interno.
Per occupare i nuovi spazi aperti dalla globalizzazione, le nostre imprese devono confrontarsi con processi continuativi di innovazione: modificando i prodotti e il modo in cui vengono fabbricati, valorizzando quelle core activities sulle quali si fonda il loro vantaggio competitivo.

Occorre una nuova politica industriale in grado di costruire rapidamente infrastrutture (banda larga e trasporti), sostenere le imprese innovatrici, con attenzione alla qualità del prodotto e alla sostenibilità.

Dopo il terremoto, nonostante il pessimismo di Voltaire, Lisbona venne ricostruita e oggi è una capitale brulicante di colori e di vita. Così anche si può ricostruire il tessuto produttivo italiano e piemontese.