Mezzo secolo [Il Superstite 383]

ATO6: "Crisi idrica, i cittadini siano più parsimoniosi con l'acqua" CorriereAl 1di Danilo Arona

 

 

Rivedere 2001 odissea nello spazio di Kubrick nell’edizione in 70 mm curata da Christopher Nolan  è stato un piacere indicibile. La sala, appunto Kubrick, del cinema Kristalli era quasi piena pur essendo un martedì e nessuno dei presenti lo visionava per la prima volta.

Non si tratta banalmente di riaffermare che stiamo parlando di un “film della vita” quanto di constatare che noi tutti siamo invecchiati e il film no. Anzi, al di là del “trattamento” fotochimico di Nolan effettuato sul negativo della pellicola, il film – che è sempre e comunque una “cosa viva”- si è in qualche modo rigenerato non solo formalmente, ma è “ringiovanito” tematicamente, offrendoci a distanza di 50 anni degli spunti di riflessione (ancora) clamorosi.

50 anni, era il ’68 a avevo diciott’anni. Con il troppo senno del poi, potrei dire che ho avuto l’età giusta per il momento giusto. Per quel che riguarda il cinema non ne sono certissimo, ma ero distratto da mille altre cose. Il ’68 fu un grande trip mentale e fisico. Tutto mutava in fretta, nella società, nelle arti e nelle menti. Se si va a leggere qualche titolo di film di quell’anno, assieme a 2001 scopriamo Rosemary’s Baby, La notte dei morti viventi, Il pianeta delle scimmie e Je t’aime je t’aime di Alain Resnais, non meno importante anche se molto meno conosciuto.

Incarnando per poche righe il critico nuvolone che qualche volta, con ironia, mi piace essere, se ne ne deduce che è stato l’anno in cui  i generi pop tentano di uscire dalle loro gabbie. Di certo si può dire che il momento storico e politico si riflette su ogni forma artistica e che molti autori non hanno paura di “sporcarsi le mani”, per capirci, con film che sulla carta, fino a poco tempo prima, appartenevano a filoni produttivi “bassi” come la fantascienza e l’horror.

Ma 2001, pur rientrando ampiamente in tale contesto, lo trascende. Perché è il film di un genio ancora in parte da comprendere.  Perché, come il suo simulacro esibito per eccellenza, il monolito nero, 2001 resta un oggetto misterioso ma formativo ancora in grado di guidarci lungo i meandri delle arti visive in divenire.

Mezzo secolo. Sembrerebbe arduo dire qualcosa di inedito. Critici blasonati, uno per tutti Enrico Ghezzi, hanno sentenziato che 2001 è film che per sue caratteristiche ovvie non ha avuto un seguito perché, sic est, non potrebbe averlo. Si può anche non essere d’accordo perché – e lo sottolinea  Roberto Lasagna nel suo libro monografico edito da Gremese –  francamente ricadute e influenze sono invece molteplici e non sempre visibili.

Per chi conosce ad esempio l’ultimo Twin Peaks di David Lynch (il serial Twin Peaks – Il ritorno), i due terzi abbondanti del “famoso” episodio 8 sono infatti una riscrittura dello straordinario viaggio finale psichedelico dentro il multicolore “corridoio di luce”, quello che conduce l’astronauta David Bowman nella  stanza del ‘700 in cui morirà e rinascerà come “feto astrale”. Nella estrema rassomiglianza tra le due “odissee”, che induce a ipotizzare per Lynch una intenzionale e affettuosa citazione, la differenza è l’intenzione.

Come ha ben evidenziato Flavio Be Bernardinis, https://globusmag.it/levento/kubricklynch-2001-twin-peaks/, il finale di 2001 ci porta nel territorio dell’infinitamente grande. Il viaggio di Bowman (e dell’uomo per traslato) si snoda dalla Terra attraverso rituali iniziatici “violenti” (la clava, Hal 9000, la paura vibrazionale irradiata dal monolito), attraverso lo spazio, verso Giove e oltre i confini dello stesso spazio e del tempo. Una soglia da varcare verso la trasformazione (anche quella allora in atto, nel ’68). Invece Lynch ci porta nel regno dell’infinitamente piccolo: invece della scritta kubrickiana “Giove e oltre l’infinito”, leggiamo che ci troviamo nel deserto del Nevada nel giugno del 1945, al cospetto dell’esplosione atomica sperimentale cui seguì il lancio della bomba su Hiroshima. Dopo il count-down la macchina da presa, a volo d’uccello, parte da lontano e si avvicina al fungo in ebollizione, entrando direttamente nel magma. Al che cambia il cromatismo della pellicola, da bianco nero a colori, e inizia il viaggio di Lynch del corridoio dell’atomo disgregato.  Giusto dire che Kubrick attraversa gli spazi siderali e Lynch invece l’interno della materia con risultati estetici sovrapponibili. Perché il loro cinema, in estrema sintesi, è una Porta sul Vuoto. Insomma, in qualche modo, e più di un critico lo ha evidenziato, Twin Peaks –  Il Ritorno è una sorta di continuum – propaggine di 2001.

C’è un altro collegamento che val la pena rimarcare. Ed è, appunto, lo stesso Christopher Nolan, che durante una masterclass tenutasi a Cannes domenica 13 maggio, ha ribadito quanto il film di Kubrick abbia influenzato tanto strutturalmente che sostanzialmente il suo Interstellar. L’analogia più  evidente è quel “messaggio” che arriva da chissà dove e porta in un Altrove assoluto. In 2001 una scimmia tocca con terrore il monolito nero piazzato lì da un’intelligenza aliena. Quello che succede dopo è l’inizio di un salto evolutivo che fa arrivare l’uomo nell’era spaziale e che alla fine lo fa trascendere nel Feto Astrale, uno stato quasi divino che rimanda alle “tre metamorfosi” citate in Così parlò Zarathustra di Nietzsche). In Interstellar una forza  invisibile, venuta da chissà dove, fa cadere dei volumi dalla libreria e sembra voler comunicare qualcosa con i raggi del sole.  Si tratta di un codice misterioso che mette in moto gli eventi che, come ben sa chi ha visto il film, sono alquanto sovrapponibili alla trama di 2001.

Ma l’aspetto, a parer mio, più importante, e che allora stava al di là della comprensione di un diciottenne: 2001 è il perfetto film quantistico per l’anno in corso, a sottolineare che nel “dopo” del film, un flash infinitesimale di mezzo secolo, quantum leap, dimensioni parallele e panspermia cosmica hanno avuto il tempo per divenire anche argomenti per la cultura di massa. Il che non poteva accadere nel ’68 e ci tocca ripeterlo: Stanley Kubrick era un maledetto genio.