“Anteprima sagre ad Alessandria. Anteprima della crudeltà”

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Spettabile redazione,

 

ho appreso dai mezzi di informazione che il 26 e 27 naggio ad Alessandria tornerà l’annuale appuntamento con “Anteprima sagre. La prima supersagra di Alessandria”.

Partendo dalla buona notizia, questo evento non si fregia del patrocinio del Comune di Alessandria tuttavia non fa onore alla Città ospitare una kermesse mortifera e sanguinaria che forse torna comoda per stuzzicare il ritorno dell’annunciata fiera zootecnica.

Le perle di questa maratona gastronomica sono: grigliata mista, friciula con lardo, agnolotti con sugo d’arrosto, stinco con patate, panino caldo con salame cotto, gnocchi con ragù, gnocchi con salsiccia, battuta di carne cruda, pancia di maiale all’uovo di castelmagno, trippa, vitello tonnato, polenta e cinghiale, tagliatelle al sugo di cinghiale, fritto misto di pesce, fritto misto alla piemontese, lumaca monferrina fritta.

Non si comprende davvero che cosa spinga un’azienda a organizzare simili eventi ispirati a tanta crudeltà ingentilita da canti, balli e allegria.

La convivialità a tavola è una delle consuetudini più antiche. Con l’arrivo dell’Estate, complici le vacanze e il clima favorevole, le occasioni per ritrovarsi insieme a tavola si moltiplicano ovunque in feste gastronomiche e sagre di ogni sorta di cibo, quasi sempre animale.

La sagra è diventata un appuntamento fisso e immancabile di ogni località che fa del suo prodotto tipico un fenomeno di attrazione.

Ogni luogo d’Italia ha il proprio animale tipico con cui “fare festa” appositamente per queste occasioni. Neppure i cuccioli sono risparmiati: agnelli, maialetti e vitelli sono considerati una prelibatezza. Altrettanto vale per animali di piccole dimensioni: lumache, rane e ranocchi, che vengono “raccolti”, secondo un termine tecnico che riporta alla categoria merceologica, come fossero frutti che la terra offre generosamente. E poi i pesci, neppure degni di essere contati a numero, ma a peso.

E’ sorprendente che ai giorni nostri, nonostante l’informazione, la sensibilizzazione e la nuova coscienza di rispetto verso gli animali, vi siano ancora luoghi dove certi eventi che si basano sulla crudeltà di una pietanza derivata da uccisioni di animali siano pubblicizzati come grandi iniziative, come appuntamento culturale, con note di encomio e di apprezzamento per una tradizione che ha come radice l’uccisione degli animali.

Si piange per il proprio animale da compagnia: lo si elabora come un lutto e ciò è del tutto comprensibile ma, al contrario, è del tutto incomprensibile che l’animale della cui carne ci si nutre, non esista come animale ma solo come cibo, come attrazione gastronomica.

L’animale è un essere capace di provare dolore, paura, angoscia, condizioni necessarie e sufficienti per meritare il rispetto come essere senziente. Invece ogni anno nel mondo uccidiamo un numero indefinito di animali per mangiarli. Non esiste una fonte davvero attendibile per i numeri di questo massacro: le stime vanno dai 50 ai 170 miliardi, passando da una decina (di miliardi) all’altra con estrema leggerezza e drammatica disinformazione. Sono numeri inconcepibili e ciò che più sconvolge è l’agonia patita da quelle vittime negli allevamenti e nei macelli. Se partiamo dal presupposto che tutte queste pratiche siano perfettamente legali, ci troviamo di fronte a una legge schizofrenica che da una parte tutela in maniera abbastanza soddisfacente (quando viene rispettata) gli animali “da affezione”, dall’altra trascura visibilmente gli animali “da affettare” che invece come quelli d’affezione soffrono, sono intelligenti, provano e trasmettono emozioni. E’ ingiustificabile la sofferenza che infliggiamo agli animali per mangiarli, tanto più se su questa sofferenza organizziamo feste.

La loro vita non vale una sagra, non vale alcun pasto, e la fine dei pasti a base di cibo animale non è data da una riforma che regoli lo sfruttamento degli animali “da cibo”; non è neppure trovare metodi più “umani” per allevarli e ucciderli; non è neanche affidarsi a prodotti animali biologici che, anche se considerati umanamente accettabili (ma chi li conosce sa che non è così), non riusciranno mai a soddisfare la richiesta di tutti. La soluzione sta nell’educare la gente, soprattutto i bambini e le bambine, a capire che lo sfruttamento degli animali è sbagliato, da qualunque punto di vista lo si guardi e in qualsiasi forma lo si eserciti. La soluzione è anche quella di organizzare feste gastronomiche con cibo vegetale. Al di là del dolore e della morte che infliggiamo ad animali innocenti, è chiaro che il loro utilizzo per la produzione di cibo è un incredibile spreco di risorse planetarie ed è anche causa di molti casi di malattia e morte che colpisce gli esseri umani. Uno dei tanti studi sul futuro dell’alimentazione umana http://www.movimentoantispecista.org/dossier-alimentazione-umana-il-futuro-della ci fa capire che la strada da prendere è un’altra.

La scelta alimentare è il mezzo più potente che abbiamo per migliorare o peggiorare la nostra salute, quella degli altri umani, quella dei non umani e dell’ambiente. Forse è ancora lontana una presa di coscienza che rispetti la vita di tutti gli animali ma qualcosa sta cambiando. Quando il diritto al piacere del palato contrasta col diritto fondamentale alla vita di un essere senziente, qualcosa stride nel concetto di diritto. Il cibo non è solo cibo. Il gusto personale non giustifica il diritto di disporre di esseri senzienti e dell’ambiente come una risorsa a uso e consumo degli esseri umani. Il presunto diritto alla libertà di mangiare ciò che si vuole non è una prerogativa degli esseri umani, così come la Terra non appartiene solo a loro. Non può esserci libertà dove esiste prevaricazione e scegliere come nutrirsi è la scelta più semplice che può diventare la più rivoluzionaria.

Cordiali saluti.

Paola Re – Tortona