Alessandrine coraggiose come Gabe [Lettera 32]

di Beppe Giuliano

 

 

Lo scorso anno alle qualificazioni statunitensi per i mondiali di atletica leggera Gabe Grunewald è arrivata ultima nei 1500 metri, corsi col termometro che superava i 100 gradi Fahreneit. Lei peraltro è un’ottima atleta: aveva mancato di un soffio la qualificazione alle Olimpiadi di Londra (quarta, e ci andarono le prime tre), e non aveva potuto gareggiare a quelle per Rio.

I 1500 sono forse la più affascinante in assoluto tra le gare di corsa, almeno lo sono per me.

Intanto la misura è particolare. C’è il giro di pista dei 400 metri, il mezzo giro, il doppio giro di pista e poi, chissà come, si passa ai tre giri e trequarti.

Peraltro manco una traduzione corretta al sistema metrico della misura imperiale del miglio, che corrisponde a poco più di 1600 metri, quattro giri giusti delle piste di atletica che ne misurano 400.

Il miglio resta comunque una corsa importante, ne abbiamo scritto poche settimane fa quando è scomparso Roger Bannister, primo a correrlo in meno di quattro minuti (https://mag.corriereal.info/wordpress/2018/03/12/miglio-sir-roger-lettera-32/)

Mentre i 1500 sono stati teatro di tradizionali rivalità, la più accesa e nota quella tra Sebastian Coe e Steve Ovett (https://mag.corriereal.info/wordpress/2016/05/16/i-rivali-perfetti-ovett-e-coe-lettera-32/)

In Italia, dove l’atletica attraversa una enorme crisi, il primato femminile resta (dal 1982) alla Gabriella Dorio, che vinse l’oro olimpico a Los Angeles 1984, la seconda migliore prestazione è tuttora dell’altra nostra grande mezzofondista Paola Pigni, bronzo a Monaco 1972, ed è peggiore del record personale di Gabe Grunewald.

La corsa di Gabe, che emozionò tutto il pubblico, e venne raccontata dai giornali di mezzo mondo (da noi ne ha scritto la bravissima Giulia Zonta su La Stampa) mi è tornata in mente l’altra sera, leggendo il post di un’amica di facebook.

Scrivo amica di facebook perché non posso dire che siamo amici nella realtà ma, contrariamente a quel che succede con molte persone incrociate solo sui social, la conosco “di persona”, conosco il suono della sua voce, so l’intensità con cui ti guarda mentre ti parla.

Racconta (scegliendo per privacy che il post lo vedano solo i suoi amici, cerco di rispettarla non citandone il nome) la sua vicenda personale degli ultimi mesi, da quando cioè le è stato “diagnosticato un cancro”, e lo fa condividendo l’iniziativa cui partecipa, “Modelle per un giorno!”.

Copio dal sito “chemiomamma” che la racconta: (https://www.chemiomamma.com/blog/modelle-per-un-giorno)

“Domenica 15 Aprile 2018, undici Donne.
Ci siamo riunite per dare un segnale forte, che paradossalmente è quello della normalità.
Abbiamo chiuso fuori dalla Galleria Guerci di Alessandria tutte le nostre preoccupazioni, le nostre stanchezze, e ci siamo lasciate coccolare l’una dall’altra.
Abbiamo brindato alla vita, chiacchierato di tutto e riso tanto.”

Cito di nuovo La Stampa, che ne ha scritto: “Un servizio fotografico con protagoniste mamme che si sottopongono a chemioterapia”.

A Gabe Grunewald, mezzofondista americana, il cancro è stato diagnosticato nel 2009, quando aveva 22 anni. Una forma particolarmente rara, che tuttora non si arresta. Quando le sue colleghe correvano alle Olimpiadi di Rio le stavano asportando un pezzo di fegato. Nei giorni in cui è arrivata ultima nei 1500 metri alle qualificazioni si stava sottoponendo a un ulteriore ciclo di chemio, dopo che il fegato era stato nuovamente attaccato dalla malattia.

Lei sta vivendo in modo pubblico la sua lotta e la sua sincerità con gli intervistatori al termine della gara è stata assoluta: “Sono una giovane donna con il cancro. Non è che mi piaccia parlarne. Non è un tivù movie, è reale. E fa paura.”

Per aggiungere una cosa molto importante: “I love when people reach out to me, because it helps me get out the door.” Mi fa piacere quando le persone mi cercano, mi aiuta ad uscire di casa.

Lo scrivo letteralmente, perché credo che abbia molto senso per chi ogni giorno deve affrontare la medesima sfida.

C’è  in rete il video di una sua intervista recente che si conclude così: Sono Gabriele Grunewald, ho 31 anni, “and I am beautiful”.

Nel post che racconta le “modelle per un giorno” c’è scritta, di fatto, la stessa cosa: “Né eroine, né super donne, siamo #fighepazzesche o meglio #donnepazzesche.”

Sull’Instagram di Gabe – che merita di essere seguito: @gigrunewald – ci sono le foto di corsa, quelle della vita di una giovane donna con un marito e un cane, e in più anche il racconto della terapia (che purtroppo al momento non sta ottenendo grandi risultati).

C’è anche una iniziativa di supporto alla ricerca: “Brave like Gabe”.

Ecco, di nuovo credo si possa dire la stessa cosa per le giovani donne di Alessandria che hanno scelto di raccontarsi e di lottare anche con un servizio fotografico: coraggiose come Gabe, coraggiose come le “modelle per un giorno”.