Il gemito dell’ombra [Il Superstite 374]

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ATO6: "Crisi idrica, i cittadini siano più parsimoniosi con l'acqua" CorriereAl 1di Danilo Arona

 

 

 

Il dopoguerra alessandrino. La città disastrata e i suoi abitanti con i nervi a pezzi. Per la maggioranza non un soldo in tasca ma soltanto la volontà di risalire dall’abisso provocato dal conflitto. E spostamenti, traslochi, piccoli esodi dalla campagna in città, nuclei famigliari che erano sfollati e che ora tornano per provare a lavorare. L’energia elettrica che viene sospesa due volte la settimana. Il sindaco Giovanni Porta che fa distribuire la farina di mais per il consumo obbligatorio. Una città che lotta per ritrovarsi e che certo non è, pur se tra le rovine, grigia e decadente. In questo contesto ecco la famiglia Rossi, dotata del solito generico cognome che a noi serve per romanzare la vicenda, una delle più raggelanti del vasto e sotterraneo repertorio locale, perduto a metà strada tra cronaca e folclore.

La famiglia Rossi è formata da due sole persone, lui e lei. I figli verranno, oggi sarebbero un costo non sopportabile. Per adesso traslocano. Vecchie masserizie da un capo all’altro del centro storico. Ma si trasloca volentieri, come in un rito di purificazione. A guerra finita, un trasloco, anche se è una seccatura, svela un simbolismo al quale non si sfugge. Poi non c’è molta strada da fare. La nuova casa si trova, fingiamo, in via Modena. Cucina e camera da letto, null’altro. La cucina però è ampia e vivibile. Un capace lavandino, un armadio a muro per due scope. In poche ore l’esodo termina. I Rossi non dispongono di tanti mobili. E si comincia la nuova vita. Ambedue hanno un lavoro. Sono sottopagati e lui presto scenderà in piazza perché guadagna troppo poco. Ma meglio di niente.

Si ritrovano la sera. La cena – polenta che non manca mai, il latte che è meglio bollire – e poi a letto. Appena possibile si compreranno una radio. Al momento, giovani e sposati da poco, campano d’amore. Della radio non si sente la mancanza.

Le rogne cominciano dopo una settimana. Quella notte manca la luce e i Rossi vanno a letto prima del solito. Si trastullano un po’ quindi si apprestano a dormire. E, nella fase del dormiveglia che prelude al sonno, tutti e due odono qualcosa, un suono lamentoso che sembra provenire dalla cucina.

Che succede? Non lo so. Ma è un bambino che piange. Accidenti, sembra in casa. Ma no, non è possibile. Sarà il bambino di qualche vicino. Nessuno qui ha bambini, è di là, ti dico!

Un dialogo concitato nel buio. Ma in quel momento il mondo è immerso nelle tenebre. I ragazzi non si alzano, questione di strizza. E per qualche minuto il lamento prosegue, amplificato dall’oscurità, un pianto che non lascia dubbi ai tremebondi coniugi Rossi (la guerra ha reso chiunque più tremebondo): quello è il vagito, struggente e angoscioso, di un neonato.

Finalmente dopo un po’ il pianto cessa. I Rossi si addormentano a stento e non subito. Il giorno dopo si sentono rintronati per il sonno perduto e la paura provata. Giornata no, e verso sera si sorprendono di tornare malvolentieri a casa. Il copione è sempre lo stesso, o quasi.

Però potremmo uscire e fare una passeggiata.

E dove? Fa freddo, è scesa la nebbia, ci sono anche dei brutti ceffi.

Ma quella sera la luce non è stata sospesa. Si può stare volentieri a casa. Forse non accadrà nulla. Forse la sera prima i Rossi si sono sbagliati: il lattante piangeva da un’altra parte e loro, suggestionati dal buio, hanno commesso un bizzarro errore di valutazione. Sì, perché mai dovrebbe tornare?

Invece ritorna. E solo dopo qualche minuto che i giovani si sono coricati. Ritorna, ed è sempre il vagito disperato di un neonato che giunge dalla cucina. I Rossi si alzano e si scoprono ancora tremebondi. Ma stanotte hanno la luce elettrica dalla loro e oltrepassano la soglia. E la constatazione li riempie di orrore. Il pianto del neonato proviene dal muro dietro il lavandino. I Rossi si inginocchiano. Sono attimi spaventosi. Accostano l’orecchio. Il pianto cessa.

Il giorno dopo è domenica. Il signor Rossi inforca la bicicletta e va dal cognato, esperto muratore. Tralascia il particolare del vagito e si limita a dire che lui e la moglie sentono strani rumori dentro il muro dietro il lavandino. Topi? E chi lo sa? Basta togliere un po’ di mattonelle, si guarda e le si rimette a posto. Alquanto perplesso, il cognato si arma di attrezzi.

Sarà una domenica indimenticabile. Lo scalpello sbreccia il vecchio muro e la realtà viene dissepolta. Le piccola ossa, il cranio minuto, i resti di una creatura che pochissimo ha vissuto e ha trovato uno squallido fornetto nell’intercapedine di un lavandino. Non si saprà mai se trattasi di infanticidio né i Rossi sporgeranno denuncia. Raccolgono le piccola ossa in un sacchetto e vanno a seppellirle in campagna: è il 1946, la vita è già abbastanza complicata. Ma presto i due lasceranno quel piccolo alloggio e ogni volta sobbalzeranno al vagito di un poppante.

Chissà se sono ancora vivi? Chissà se credono ai fantasmi?