Radford, Pelé e i canarini [Lettera 32]

di Beppe Giuliano

 

Radford, Pelé e i canarini hanno qualcosa che li collega tra loro, per me, e tutti hanno qualcosa che me li collega con Alessandria, e con i grigi. Inizierei dai canarini.

 

 

I canarini

La prima volta che ho visto una partita in notturna era il giugno del ’73, semifinale di quella edizione della Coppa Italia Semipro che vincemmo. Adesso si gioca quasi tutti i giorni, a ogni ora, il famigerato “spezzatino”. All’epoca si giocava la domenica pomeriggio, rigorosamente. Quella semifinale estiva no, si giocò di sera, una rarità.

Il ricordo più forte che ne ho sono i colori, il verde del prato, tanto più acceso sotto le luci artificiali fortissime. Il giallo delle maglie e il blu dei pantaloncini dei nostri avversari che, l’ho letto perché onestamente non lo ricordavo, battemmo 2-1, e il secondo lo segnò Toni Colombo, stopper non certo così abituato al gol, una vita coi grigi tanto da rimanere ad Alessandria anche dopo la fine della carriera. Quella partita la vincemmo (e al ritorno andammo da loro a pareggiare 2-2 guadagnandoci la finale) contro il Modena. Ancora adesso la divisa dei “canarini” (come sono soprannominati) è per me una delle più belle in assoluto. Per via di quella sera al “Mocca”, sotto tante luci come non ne avevo mai viste prima.

Radford

Claudio ha qualche anno più di me, e da tempo sta in America, direi che ha un incarico molto prestigioso in una università, là. Ogni tanto ci scriviamo su twitter, soprattutto a proposito dei grigi.
Da bambini, più o meno nel periodo di quella Coppa Italia (che i grigi vinsero) facevamo atletica insieme.
Fu lui a insegnarmi per la prima volta la formazione della nazionale dell’Inghilterra. Io continuavo a dimenticarmi il cognome del centravanti. Correvamo, e ogni volta che mi passava di fianco me lo chiedeva nuovamente, finché non l’ho imparato. Radford, lo ricordo ancora adesso, dovesse mai chiedermelo all’improvviso su twitter sarei pronto a rispondere.
(Centravanti dell’Arsenal John Radford, che Nick Hornby ricorda in Febbre a 90’: “La Coppa d’Inghilterra 71/72 fu uno schianto, una fonte apparentemente inesauribile di meraviglia e di domandine alla Trivial Pursuit”, compresa la partita contro lo Stoke in cui proprio Radford dovette subentrare al portiere “portato fuori a metà di un pareggio per 1-1”).

Qualche sera fa Claudio ha risposto a un mio tweet, fatto a caldo dopo il gol di CR7, il secondo, quello in rovesciata di cui si è parlato parecchio: “Io purtroppo non ricordo Pelé, ma dobbiamo iniziare a chiederci se era forte come CR7“, ho scritto. “Io invece lo ricordo bene. Era molto più forte di C. Ronaldo. Questo è un cyborg, quello un artista già a 16 anni” mi ha risposto. (Io resto dell’idea che in Cristiano ci sia l’artista, sotto la corazza del cyborg, certo si fatica a vederlo anche perché lui non risulta immediatamente simpatico, il nostro giudizio sul giocatore viene influenzato dai muscoli oliati, dalle foto in mutande, dai capelli troppo pettinati, insomma dal pedaggio del personaggio CR7 al moderno marketing).

 

Pelé

Intanto che con Claudio ci scrivevamo, mi sono ricordato che, sotto le luci artificiali fortissime del Moccagatta, una volta giocò perfino il brasiliano, pensa te, giusto cinquant’anni nel giugno del 1968.

Sempre Nick Hornby fa capire bene quanto i giocatori, anche i più forti, fossero poco conosciuti ai tempi in cui il calcio di tutto il mondo non era lì, ventiquattr’ore al giorno in tivù e sul web: “Fino al 1970 – scrive nel paragrafo dedicato ai mondiali del Messico – le persone della mia età e anche quelle di parecchi anni più vecchie conoscevano meglio Ian Ure che il più grande calciatore del mondo.”(Sfido ora anche i più esperti a ricordare chi fosse un Ian Ure, mentre tutti sanno subito bene di chi si parla nominando Pelé).

Sul web c’è un bel racconto di quella serata, scritto da Gigi Poggio, che quell’incontro tra i grigi (per una volta in blu) e il Santos lo vide, e che spiega il motivo di quella partita: “Il Santos, il mitico Santos era arrivato ad Alessandria nell’ambito dei festeggiamenti previsti per l’ottavo centenario della città. Il Comitato organizzatore, pur tra le polemiche e la dietrologia, anche allora imperanti in città, aveva pensato a una serie di appuntamenti di grande suggestione: prima il Santos e poi, a metà luglio, sempre al Moccagatta, gli Harlem Globetrotters, straordinari interpreti di un basket che mischiava tecnica, spettacolo e comicità”.

Io invece ero troppo piccolo perché mi ci portassero, accidenti, quindi non ho avuto la fortuna di essere tra gli ottomila (così scrive Gigi, ma per La Stampa di allora erano “quasi ventimila”) spettatori ad ammirare quello che ancora adesso è considerato da molti il giocatore più forte di tutti i tempi, e non importa se quella era solo un’amichevole, temo sia inimmaginabile oggi che un Real Madrid venga con CR7 a celebrare qui, sotto i riflettori del Moccagatta, un nuovo anniversario della mia città che allora compiva gli ottocento anni, quest’anno ne fa 850 (Presidente Di Masi, locali amministratori, se vorrete smentirmi ne sarei felicissimo, naturalmente).

Peccato. Perché di nuovo, per citare quel che il giorno dopo scrisse addirittura Vittorio Pozzo, parrebbe “di vederla risorgere… la vecchia Alessandria, che noi conoscemmo da giovanissimi, quando essa era uno dei capisaldi del vecchio quadrilatero piemontese”.