Commercio alessandrino in rivolta: ma contro chi? [Controvento]

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di Ettore Grassano

 

 

 

‘Monta’ la rabbia fra i commercianti alessandrini. O meglio, per stare alle cronache, fra un gruppo di ‘autoconvocati’ in un negozio del centro, che parlano a nome proprio, e non si sa bene di chi altro. Non risulta al momento un’adesione delle associazioni di categoria, tanto per capirci.

Comunque: questi commercianti si sentono abbandonati, traditi, e chiedono alla politica, se non ‘il miracolo’ comunque un’inversione di marcia, rapida e incisiva.

Fino ad arrivare, segno dei tempi, a chiedere di essere essi medesimi ad indicare non il nome dei loro rappresentanti di associazione (ammesso che siano iscritti), ma del prossimo assessore al Commercio. Se abbiano anche già un candidato non è dato sapere, ma è probabile, e sui social un nome circola con particolare insistenza.

Ma perchè la collera dei commercianti ‘monta’ proprio adesso?
Davvero la vicenda Boano (un negozio del centro, certo un simbolo dell’alessandrinità, ma anche una scelta di ‘riposizionamento’ di business famigliare, come ha evidenziato lo stesso Gigi, ex presidente Ascom: non certo un dramma socio economico insomma) ha fatto da detonatore così potente, rispetto ad un disagio evidentemente radicato e diffuso? O c’è dell’altro che non si vede?

Proviamo ad essere seri: il commercio tradizionale agonizza non solo ad Alessandria, ma anche in tutto il resto della provincia (fatevi un giro nei centri storici di Tortona o Novi, e Corso Roma vi sembrerà Las Vegas), e in buona parte delle province italiane. Fanno eccezione Milano (centro), Roma (super centro), e qualche città d’arte.

Le cause sono di lungo corso: imputabili prima di tutto al mercato, e poi certamente a scelte politiche nazionali che di strategico hanno sempre avuto poco, e di miope molto. A partire dalle famose liberalizzazioni del centro-sinistra vent’anni fa, all’incapacità di tutti quanti di ripensare un modello di città capace di far coesistere residenzialità e commercio.

“Sai, negli Stati Uniti è facile – mi diceva un amico commerciante l’altro giorno – là da loro le città costruite proprio sulla base della dicotomia abitazioni/centri commerciali. Da una parte ci abiti, dall’altra vai a fare shopping. Ma da noi se svuoti i centri storici dei negozi rimane solo degrado, abbandono, insicurezza”. Verissimo.

Aggiungiamoci le dinamiche del mercato. Uno studio pubblicato nei giorni scorsi sul Sole 24 Ore preannuncia la chiusura, nei prossimi 12 mesi, di un numero ragguardevole di catene della grande distribuzione, in stato fallimentare o pre-fallimentare. E’ il mercato, appunto: se tutti noi quando abbiamo necessità di acquistare un computer, dei mobili o persino un vestito (si salva, per ora, il comparto alimentare), scopriamo che Amazon e affini ci offrono gli stessi prodotti dell’ipermercato al 20% in meno, con consegna gratuita a domicilio, in quel momento ragioniamo da consumatori che ottimizzano il proprio utile: e compriamo on line.

Il risultato finale è, appunto, che anche gli ipermercati (male assoluto fino a ieri l’altro, ricordate?) saranno tra un po’ un altro pezzo di archeologia commerciale, e un ricordo dei bei tempi andati. Li ‘coccoleremo’ a quel punto, nella memoria, quei ‘non luoghi’ duramente vituperati solo a ieri?

Ad Alessandria peraltro, con ‘tempismo’ tutto mandrogno, ne stanno costruendo altri, e altri ancora. Buona fortuna: vedremo tra qualche anno che fare di tutte queste cattedrali di prefabbricati, considerato che abbiamo ancora lì, alle porte della città, il ‘rudere’ dello zuccherificio dismesso da cinquant’anni.

Bene. Ma se questo è lo scenario, cosa possiamo imputare ad un sindaco, o ad un assessore al commercio? Cosa possiamo realisticamente esigere che facciano?

Che tengano la città pulita e sicura, assolutamente sì. Che magari cerchino modalità per parcheggi gratuiti (assai più complicato, per motivi noti), almeno per la prima ora, per agevolare l’accesso al centro. Ma che altro? In realtà in questi mesi l’assessore Molinari, neo deputato, ha messo in moto una serie di altri progetti, dalla riqualificazione di alcune fra le principali vie del centro, a importanti sostegni (in termini di rimborsi, non di sgravi fiscali perchè sarebbe impossibile) per chi deciderà di aprire nuove attività, o di ampliare quelle esistenti.

Certo, tutti progetti che andranno ‘misurati’, e completati, nel corso dei prossimi anni. Così come importante appare la scelta strategica del sindaco Cuttica di Revigliasco, che in più riprese e chiaramente ha affermato: “Se devo scegliere se investire sul centro, o sulla Cittadella, scelgo il centro”: da cui l’idea di puntare, in particolare, su tutta l’area attorno all’ex Ospedale militare/complesso di San Francesco, trasformandola in una grande ‘agorà’ coperta, in pieno centro.

Neanche poco, se ci pensate, in nove mesi di mandato. Posto, naturalmente, che ora occorre passare ‘dalla potenza all’atto’.

Però su un punto occorre essere onesti: il commercio nasce con l’uomo, e finchè ci sarà l’uomo, ci sarà commercio. Ma le modalità, inevitabilmente cambiano nel tempo, secondo logiche e dinamiche che prescindono completamente dalla volontà di un sindaco, di un assessore, di una comunità locale.

Stiamo vivendo una rapida e non indolore fase ‘rivoluzionaria’, che riguarda il commercio come tutte le altre attività produttive. Come sempre nella storia dell’evoluzione, sopravviveranno non i migliori (in base a quali parametri peraltro?), ma i più adatti al nuovo.

E, se è vero che alla politica (internazione e nazionale, prima che locale) spetta definire regole e linee guida, rimane pur vero che il commercio lo devono tener in piedi e far crescere i commercianti. Quelli bravi, e capaci di stare al passo con i tempi.