La regina del sud [Lettera 32]

Giuliano Beppedi Beppe Giuliano

 

 

Mammì. 4 presenze, 0 reti. Un tabellino non memorabile per il centravanti, arrivato ad Alessandria nell’estate del 1972 e ripartito per Messina in quello che allora si chiamava il mercato di riparazione, e si faceva a novembre.

Peccato perché quella era una delle squadre più belle viste al Moccagatta, in quella favolosa prima metà degli anni settanta. Il giovane Pippo Marchioro ci aveva dato un gioco spumeggiante, alle colonne come Lorenzetti e Dolso si era aggiunto Gigi Manueli che si stava affermando, mentre Faina Salvadori si preparava a una gran carriera con la maglia granata. Squadra memorabile, che recitavamo iniziando con Pozzani Maldera Di Brino. Già, Flavio Pozzani, ma per tutti i tifosi grigi Pippo, anche lui arrivato nell’estate da Catanzaro ma, al contrario di Mammì, destinato a difendere la porta grigia per molte stagioni. Lo stopper era già Toni Colombo. I gol che non fece Mammì ce li garantí il piccolo Musa: 21 in stagione.

La regina del sud [Lettera 32] CorriereAl

Mentre nella finale della neonata Coppa Italia Semipro che portammo a casa battendo ai supplementari l’Avellino, al Flaminio di Roma, oltre a Lorenzetti (due volte) andarono a segno Maldera e Cini.

E pensare che Angelo Mammì ( al centro accosciato, tra Faina Salvadori e Lorenzetti) l’avevamo prelevato dal Catanzaro dove è tuttora ricordato e celebrato: suo il gol della prima storica promozione in A nello spareggio con il Bari, suo il gol della ancor più storica vittoria contro la Juventus. 30 gennaio 1972, il Comunale inzuppato d’acqua, partita decisa all’ottantaquattresimo con colpo di testa (la specialità della casa). “Fra tanto gioire – confessò Mammì (purtroppo scomparso neanche sessantenne) – ero rimasto senza parola, paralizzato dall’avvenimento. Mi misi a girare attorno al campo, a braccia tese come se dovessi urlare, ma non riuscivo ad emettere alcun suono”.

Il gol di Mammì contro il Bari dell’estate del 1971 portó non solo per la prima volta il Catanzaro in A, ma anche per la prima volta una squadra calabrese nella massima serie.
In un momento in cui della Calabria si parlava, molto, per altri motivi.

“Dal 13 luglio 1970 al 18 febbraio 1971, quando i cingolati dell’esercito italiano prendono possesso della città, Reggio Calabria è sede di una rivolta popolare. È l’unico caso in Europa e ha caratteristiche uniche. È stata la prima, e unica, rivolta nel Mezzogiorno; è stata l’unica di destra; è stato un laboratorio dove si è preparato un colpo di stato; ha avuto sull’Italia un impatto fortemente negativo: è, a mezzo secolo di distanza, ancora oggi molto misteriosa” scrive Enrico Deaglio in ‘Patria 1967-77’.

Pretesto della rivolta proprio la decisione di assegnare la sede della neonata Regione Calabria a Catanzaro anziché a Reggio.
Gli italiani imparano a conoscere il capopopolo Ciccio Franco, “uno sconosciuto sindacalista della Cisnal (il sindacato legato al Msi) che si mette a capo di un comitato di agitazione”.

Sulla manifestazione sindacale del ‘72 scrive una famosa ballata folk Giovanna Marini, “intitolata appunto I treni per Reggio Calabria: epopea musicale, senza pause per quattro minuti e mezzo, difficilissima prova vocale, è stata definita “la più grande ballata politica italiana”, o anche “la Spoon River dei metalmeccanici”.

Farà un paio di su e giù tra la A e la B il Catanzaro, la seconda volta la si ricorda perché nell’estate del ‘74 arrivò a indossare la maglia giallorossa Massimo Palanca, “l’imperatore”, quello dei 13 gol olimpici (come raccontavamo la scorsa settimana), protagonista anche quando, tra la fine degli anni settanta e l’inizio degli anni ottanta, il Catanzaro restò in A per cinque anni di fila.

La regina del sud [Lettera 32] CorriereAl 1

Gol olimpico e tripletta Palanca li fece nel marzo del ‘79 quando il Catanzaro andò a vincere 3-1 contro altri giallorossi, quelli della Roma, nella capitale.

In panchina per i calabresi, oltretutto, un grande tifoso romanista come il mitico Carletto Mazzone. E il tabellino di quell’incontro si colorò pure di grigio quando, con il Catanzaro già in vantaggio il “sor magara” sostituì (una mossa tipica del calcio difensivo di quegli anni) il centrocampista Piero Braglia con il difensore Giuseppe Sabadini.

La regina del sud [Lettera 32] CorriereAl 2

Due nomi che ritroviamo tra chi si è seduto sulla nostra panchina. Di Braglia non direi niente, lo scorso anno con le sue brucianti ferite è davvero, ancora, troppo vicino. Mi piace invece ricordare “Tato” Sabadini (anche una gran carriera da calciatore), qui da noi tra il ‘90 e il ‘92, eccellente allenatore e splendida persona.

Erano anni in cui le provinciali dicevano la loro, dal Vicenza al Perugia, si preparava lo straordinario scudetto del Verona di Bagnoli, e anche il Catanzaro stava con merito tra le più forti, anche perché se leggiamo le rose troviamo grandi nomi, partendo da Claudio Ranieri già protagonista della promozione nel ‘77-‘78 e ormai immortale manager col campionato vinto a Leicester (per restare in tema). E Turone (che invece ricordiamo per la battuta del presidente romanista Viola sulla “questione di centimetri”), Enrico Nicolini, un giovane Massimo Mauro, mentre nella foto assai baffuta del ‘79-80 c’è pure Vito Chimenti, altro idolo del calcio provinciale, con la sua “bicicletta” per alzare e portare avanti il pallone. Stava per esordire Edi Bivi che per un paio di anni sembrò destinato a diventare un grande bomber.

Catanzaro fu il primo palcoscenico di una splendida carriera per Antonio Sabato, anche lui molto amato qui quando lasciò il fútbol vestendo la maglia grigia, 79 presenze a inizio anni novanta.

Il campionato 81-82 vide il Catanzaro al settimo posto, migliorando di uno il piazzamento dell’anno precedente. Fu anche la stagione decisa all’ultima giornata quando Brady, che già sapeva di dovere lasciare il posto a Platini, segnò proprio a Catanzaro il rigore che diede lo scudetto alla Juventus.
Quella calabrese sembrava una squadra pronta a salire ulteriormente, magari ad affacciarsi all’Europa, invece la stagione successiva la rosa troppo rinnovata, in cui peraltro debuttarono Gigi De Agostini e Pietro Mariani (che s’era sposato a Quattordio), portò l’ultimo posto (quattro soli punti nel girone di ritorno!) e l’addio, per ora definitivo, al calcio che conta. Ogni bella storia deve finire, purtroppo, anche quella della squadra che all’epoca veniva definita “la regina del sud” e “il terrore del nord”.