Mayno della Spinetta, il Robin Hood della Fraschetta: la fine [Alessandria in Pista]

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Remottidi Mauro Remotti

 

 

A rafforzare la lotta contro il brigantaggio alessandrino, arrivò nei primi mesi del 1806 il colonnello Galliot[1]. L’ufficiale dimostrò sin da subito indubbie doti investigative e capacità organizzative. La sua tecnica consisteva nell’evitare lo scontro frontale, preferendo: «il pedinamento delle persone care all’uomo da catturare, l’appostamento assiduo vicino alle case in cui prima o dopo questi si sarebbe recato, l’incoraggiamento alla delazione»[2]

Il cerchio intorno a Mayno della Spinetta cominciò quindi a stringersi sempre di più. Venne posta sulla sua testa una grossa taglia[3], caldeggiata dal Verzoni, segretario dell’ufficio di polizia locale, poiché l’unico modo per catturare il pericoloso malvivente era quello di spingere qualche membro della banda a tradirlo. La vera forza del Re di Marengo stava infatti nella sua inafferrabilità, dovuta all’ottima conoscenza del territorio e a una fitta rete di parentele e conoscenze, oltre all’aiuto di complici fidati.

Mayno della Spinetta, il Robin Hood della Fraschetta: la fine [Alessandria in Pista] CorriereAl 1

Anche Mayno della Spinetta aveva però un punto debole. Essendo molto legato alla famiglia, non perdeva occasione di far visita alla moglie e alla figlia (o figlie) sfidando i gendarmi. Si racconta che avesse fatto costruire all’interno dell’abitazione un vano segreto dove si nascondeva per sfuggire alla cattura.

Venuto a conoscenza di questa preziosa notizia, Galliot la trasformò nella trappola ideale: il 12 aprile 1806, mentre si recava nottetempo all’abitazione della moglie Cristina[4], gli venne tesa un’imboscata favorita probabilmente da una spia[5]. Mayno, pur sorpreso, riuscì comunque a far fuori tre gendarmi (fra cui il luogotenente Gonin), e sarebbe anche riuscito a sottrarsi all’agguato se non fosse stato colpito a un tallone[6] da una soldato appostato su di un albero.

Secondo la tradizione popolare, non fu poi assassinato dai soldati. Infatti, piuttosto che cadere nelle mani francesi, Mayno si uccise con un colpo di pistola. L’ipotesi del suicidio trova elementi di veridicità nel fatto che il suo corpo venne praticamente tagliato a pezzi dai gendarmi[7].

Mayno della Spinetta, il Robin Hood della Fraschetta: la fine [Alessandria in Pista] CorriereAl 2

Da parte francese, il generale Jacques François Menou[8] informò il capo della polizia a proposito della morte del bandito attribuendone il merito ai militari e in particolare al colonnello Galliot.

Tra i documenti storici che parlano della fine di Giuseppe Antonio Mayno, vi è una lettera di un rappresentante della buona borghesia alessandrina, Francesco Carpani, che così scrisse al fratello, sottoprefetto a Tortona:
«Carissimo fratello, finalmente il famoso Maijno ieri alle ore cinque terminò le sue tragiche scene, essendo stato ucciso alla Spinetta in casa di un suo cugino, ma non ha però mancato di fare una terribile difesa, avendo ucciso un tenente dei Gendarmi, un gendarme, e tre feriti mortalmente, e questa mane fu tradotto in Alessandria sovra un carro. Attualmente trovasi nella corte del Prefetto, lascio a voi il considerare quale possa essere la folla del popolo che corre per vederlo, e le sentinelle stesse non bastano per impedir la folla che colà vuole entrare per vederlo, io però curioso come li altri sono entrate con un ufficiale e lo viddì, non essendo più conoscibile per li gran colpi che ha di sciabola, pistole e fucili, insomma è tutto tagliato a pezzi. Si dice che domani sarà formato un palco in piazza, e che sarà abbrucciato … ».

Mayno della Spinetta, il Robin Hood della Fraschetta: la fine [Alessandria in Pista] CorriereAl

La commissione militare di Alessandria fece esporre la salma del Mayno per tre giorni (o forse soltanto per 10 ore) in Piazza d’Armi con la scritta «Le brigand Joseph Mayno, de la Spinetta, a vécu» (così finisce Giuseppe Mayno della Spinetta, brigante).

Una folla di curiosi accorse numerosa. Molti contadini della Fraschetta si rifiutarono di riconoscere in quel cadavere sfigurato Maijen, il loro paladino[9]. Immediatamente, si diffusero voci incontrollate secondo le quali Mayno sarebbe stato visto in diversi luoghi, segno di un rifiuto collettivo di riconoscere la definitiva scomparsa dell’eroe. Inoltre, iniziarono a fiorire leggende e racconti che daranno vita a filastrocche, romanzi, poesie, canzoni popolari, barzellette, spettacoli con i burattini, pièces  teatrali e persino a un soggetto cinematografico a cura di Armando Mottura e Pinin Pacòt.

La gendarmeria francese, soddisfatta di questo clamoroso successo, si lanciò alla caccia degli altri componenti della banda, che con la scomparsa del capo finì per sfaldarsi.

Ben presto 49 mainotti furono catturati e rinviati a giudizio. Il processo, senza appello, ebbe inizio il 23 gennaio 1807 e si concluse soltanto undici giorni più tardi con quattro condanne a morte (mediante ghigliottina) e diverse dure pene detentive. In particolare, la moglie di Mayno, pur non avendo partecipato personalmente ad alcuna azione di brigantaggio, fu condannata a 24 anni di reclusione dopo essere stata esposta per sei ore, legata a un palo, sulla pubblica piazza. Inizialmente venne rinchiusa nelle carceri di Alessandria per poi essere trasferita a Torino. Ad avviso di alcuni autori, Cristina Ferraris e una figlia morirono subito dopo la condanna. Secondo altri, scontò la pena e condusse una vita travagliata ovvero, una volta ottenuta la grazia, si risposò con il carrettiere Stefano Mayno.

La fama di Mayno indusse tutti  gli omonimi, per non incorrere in problemi con la polizia, a spostare l’accento tonico del cognome semplificandone anche la grafia in Maino.

 

(fine)

 

 

 

[1] Comandante del cinquantaseiesimo squadrone della gendarmeria imperiale. Aveva sgominato i briganti della Francia occidentale.

[2] Silvino Gonzato, Briganti romantici, Neri Pozza editore, 2014

[3] Anche un tal Faccio, funzionario delle carceri di Torino, propose al prefetto di Marengo di affidargli l’incarico di prendere il Re di Marengo: vivo o morto.

[4] Secondo altre fonti, Mayno si era recato a casa di suo cognato, Luigi Ferraris, sita alla periferia del paese in una regione denominata «Betale».

[5] Per la tradizione popolare si trattò di un garzone di fornaio che confessò alla polizia che Mayno, approfittando dell’oscurità, si recava di notte a trovare moglie e figlia

[6] Il tallone è da sempre il punto deboli degli eroi: Achille morì perché colpito da una freccia, Orione perché punto dallo Scorpione, Ercole fu morso dal Cancro mentre combatteva contro l’Idra, infine, Talos (il gigante di bronzo) era vulnerabile in questo punto dove si poteva vedere scorrere il suo sangue. D’altronde, il tallone è la prima parte del corpo che appoggiamo a terra quando camminiamo e di conseguenza è considerata la più esposta al pericolo.

[7] Nel caso in cui i criminali non venissero catturati vivi per essere processati, era purtroppo prassi diffusa infierire barbaramente sul loro cadavere. Al riguardo, esisteva un proverbio che recitava: « ammazzato dopo la morte, come un brigante dalla polizia».

[8] Il generale Jacques François de Menou, barone di Boussay (Boussay3 settembre 1750 – Carpenedo di Mestre13 agosto 1810), ebbe diversi importanti incarichi, tra i quali il comando del  corpo di spedizione francese in Egitto.

[9]Il corpo di Mayno della Spinetta venne gettato in una fossa comune con l’impossibilità quindi di rintracciarlo. Il becchino che aveva effettuato la sepoltura, tale Giacomo Sala, fu successivamente arrestato poiché aveva sotterrato il cadavere  completamente nudo. La polizia ritenne che i vestiti del brigante fossero stati venduti o conservati come reliquie.