Amici di cinema: un ricordo di Roberto Prigione [Il Superstite 360]

ATO6: "Crisi idrica, i cittadini siano più parsimoniosi con l'acqua" CorriereAl 1di Danilo Arona

 

 

Un Superstite ‘speciale’, purtroppo, con cui Danilo Arona ricorda, da par suo, un amico che è mancato nella notte fra venerdì e sabato. Il dottor Roberto Prigione, medico e figura pubblica molto nota ad Alessandria anche per il suo impegno politico nei decenni passati, “ma per me – sottolinea Arona – rimane soprattutto un grande intellettuale, esperto di cinema e spettatore militante: Bergman e Bunuel li ho scoperti grazie a lui. Ed ebbe un ruolo di primo piano nel dibattito culturale cittadino che portò alla nascita dell’Ata, l’azienda teatrale alessandrina”.

I funerali del dottor Prigione si terranno lunedì alle 15 in via Parini 6 al Cristo, alla Sala del Commiato della Casa Funeraria Bagliano.

 

In Alessandria diminuiscono gli alessandrini e spariscono i cinema tradizionali. Ha Amici di cinema: un ricordo di Roberto Prigione [Il Superstite 360] CorriereAlchiuso anche l’ultimo rental di video che stava in Pista. Siamo di fronte a una mutazione antropologica che a me, buon vecchio, non piace affatto. Ma tant’è, non è esattamente di questo di cui vorrei parlare oggi. Piuttosto vorrei rievocare – nel giorno in cui è deceduto un mio fondamentale “amico di cinema”, Roberto Prigione – quel pianeta meraviglioso che era l’alessandrinità espressa dentro la sala cinematografica. Perché era, sul serio, una favola.

Io la conobbi al Giason. Se non sapete di che sto parlando andate a rileggere il Superstite 296 e gustatevi l’esempio pratico lì riportato. Ovvero, passaggio finale dello spot allora celeberrimo brandy Stock 84 dove un cameriere con la faccia da super-pirla si rivolgeva al tipo che aveva appena fatto la giusta ordinazione con la frase ancora impressa nell’immaginario collettivo: «Il signore sì che se intende!», e dalla platea un maschio alessandrino tanto verace quanto pronto alla risposta gli ribatteva, quasi urlando con perfetto tempismo: «Va a cà, marsòn!», provocando nel locale un’incontenibile valanga di risate.

Insomma, come in un film di Tornatore, molti alessandrini doc hanno amato dialogare con lo schermo ad alta voce e in rigoroso dialetto mandrogno, proiettandosi alla lettera all’interno della cornice con una smisurata consapevolezza della propria perfezione contrapposta alla corruttibile deficienza esteriorizzata dal cinema. Sono esistiti spettatori  in grado di svolgere fitti colloqui con i protagonisti dei film o delle pubblicità, proponendo ad alta voce insospettabili suggerimenti o percorsi alternativi, scoprire gli assassini dopo cinque minuti dall’inizio di un “giallo” e urlare i loro nomi nel buio e inscenare gazzarre a dir poco epiche, sempre in dialetto, se il film non era di gradimento.

Ho due ricordi indelebili stampati nella mente. Il primo proviene ancora dal Giason. Nel passaggio di un film americano di cui proprio non ricordo nulla (se non la scena in questione), a un certo punto la sconsolata protagonista, dopo una serie micidiale di sfigatissime esperienze sentimentali, guardava direttamente in macchina – quindi verso gli spettatori – esclamando: «Ma possibile che non esista da nessuna parte l’uomo che intendo io? Bello, forte, intelligente, che mi sappia amare come dico io?». La domanda, ovvio, era retorica e la sceneggiatura non prevedeva risposte. Ma nel buio della sala una giubilante e un po’ beffarda pensò bene di porre una seria candidatura, ululando nel nostro rotondo dialetto: «VEN AD ALISANDRIA!».

Amici di cinema: un ricordo di Roberto Prigione [Il Superstite 360] CorriereAl 1Tumultuante coro di risate e magari qualcuno, nel 2018, potrà dire che allora ci si divertiva con poco. Verissimo, e quel poco era straordinario. Nel corso degli anni poi ebbi la ventura di conoscere il tipo che aveva dialogato con la protagonista al vecchio Dante. Si chiama Roberto, anzi Robertino come stradinom. Lo incrociai in una sera del 1970. Proprio nel cinema che aveva sostituito il Giason. Si proiettava Il gatto a nove code di Argento e la sala alle 22 era gremitissima. Sullo schermo da mezz’ora il Darione stava facendo di tutto per farci credere che l’assassino di turno fosse la gnocchissima Catherine Spaak, seminando qua e là falsi indizi nei confronti della bella attrice e del suo personaggio. Ma nessuno degli alessandrini ci cascava. A un certo momento, il protagonista riceve una telefonata anonima dal presunto killer: una voce artefatta che, sussurrando, tentava di parlare in falsetto, spacciandosi per donna. Devo dire che l’effetto fuorviante funzionava. In una frazione di secondo Robertino – ne riconobbi al volo la voce – espose il suo parere con volume roboante e naturalmente in dialetto: «A L’È CULA BAGASA!», riferendosi va da sé alla Spaak.

Il cinema crollò. Una selva fragorosa di risate, non meno di un minuto ininterrotto, seppellì l’interesse per il film e solo un finale particolarmente teso, tra i migliori del regista romano, ristabilì un equo feeling tra Dario Argento e il suo pubblico. Robertino aveva colpito ancora. Anche lui, molto a suo modo, un amico di cinema.

Di questa categoria, speciale per me, scriveremo un’altra volta. Purtroppo il mio personale capobanda, Roberto Prigione, se ne è andato – in silenzio, senza disturbare, come ha scritto il figlio Guido – con lo stile che gli era proprio. Gli devo la scoperta folgorante di Luis Bunuel e tante belle serate a ciacolare, proprio, di cinema.

Perché gli amici di cinema, persino quelli che interloquiscono con lo schermo, sono un mondo a parte. Per dirla con Godard, bande à part.