I quindici minuti di notorietà [Lettera 32]

Giuliano Beppedi Beppe Giuliano

 

 

Come succede con le frasi diventate famose, e molto citate, a un certo punto gli si attribuisce un autore (in passato era G.B. Shaw o Oscar Wilde), che sia o meno chi davvero l’ha detta.

“All’artista Andy Warhol, personaggio tra i più influenti del XX secolo, si è soliti attribuire la famosa frase «in futuro tutti saranno famosi per 15 minuti» (leggo sul sito “lettera43”, tanto per restare in famiglia). Una frase così simbolica da essere stata incisa sulle mura del New York Museum of modern art nel 1970 e, in tempi più recenti, da finire stampata su magliette, tazze e poster dedicati al genio della pop art. Eppure, a detta dell’esperto di critica d’arte Blake Gopnik, la frase, simbolo di un’intera ideologia artistica, potrebbe non essere altro che una falsa attribuzione: non sarebbe stato infatti Warhol a pronunciarla per la prima volta.”

Sia o no di Warhol, la frase sui quindici minuti di notorietà m’è venuta in mente questa  I quindici minuti di notorietà [Lettera 32] CorriereAl 1  settimana quando ho letto che ha compiuto 40 anni Fabio Grosso. Buon giocatore, uno dei quattro che il Palermo (sempre a proposito dei “quindici minuti”) mandò in nazionale per i mondiali del 2006.
Perché alla fine Fabio Grosso, un’onesta carriera prima dei mondiali, una carriera tutt’altro che luminosa dopo, quando arrivò all’Inter e diventò presto riserva di Maxwell (l’amico che Ibra si portava quasi sempre con sé), ora agli inizi da allenatore e gli auguro successi con il Bari per cui ho spiccata simpatia, ecco Fabio Grosso tutti noi ce lo ricordiamo per quel rigore, sì quello lì che appena segnato tutti correvano a braccia alzate, e urlavano, e insomma facevano le cose che si fanno quando hai appena vinto il mondiale, e in primo piano in tv c’era Pirlo (che invece di “15 minuti” ne ha impilati parecchi, in una carriera fantastica appena conclusa), mentre Barthez se ne stava sconsolato appoggiato al palo a guardare nel vuoto, e a rivederla oggi anche quell’immagine del (non simpaticissimo) portiere francese ci fa godere, diciamocelo.

Insomma, nello sport di personaggi da “15 minuti” ce ne sono un’infinità, e a ognuno leggendo ne vengono di sicuro in mente (anzi, mi piacerebbe che chi ne ha voglia mi raccontasse i suoi).

I quindici minuti di notorietà [Lettera 32] CorriereAl 2Per esempio, fuori dal calcio, e scavando se non nella notte del tempo lì vicino, furono proprio “15 minuti” quelli di Giancarlo Baghetti, il pilota milanese che esordì in Formula 1 con la Ferrari, nel 1961, e vinse le prime tre gare cui partecipò, due fuori campionato (allora c’erano), i GP di Siracusa e Napoli, e il primo GP mondiale cui prese parte, in Francia sul circuito di Reims, unico pilota finora a vincere all’esordio nella storia quasi settantenaria del campionato. Successo immediato, talento e freddezza al volante ma poca grinta, così le sue vittorie terminarono dopo quell’esordio, peraltro rendendolo l’unico dei nostri piloti degli anni sessanta a sopravvivere alle corse, mentre i Bandini, Scarfiotti, lo stesso re delle formule minori Geki Russo, tutti perdevano la vita in pista.

Furono in realtà 1’43”7 i “15 minuti” di Marcello Fiasconaro, sudafricano che I quindici minuti di notorietà [Lettera 32] CorriereAl 3dell’Italia sapeva pressappoco solo che ne veniva suo padre, prigioniero di guerra degli inglesi. Modesto rugbista in una terra piena di campioni della palla ovale, subito “importato” e naturalizzato quando capimmo che i suoi rozzi mezzi atletici erano straordinari per l’epoca.
Fiasconaro diventò la nostra speranza sul giro e sul doppio giro di pista, purtroppo mai compiuto per limiti tecnici e tendini fragili, tranne che nella magica notte dell’Arena quando batté con una corsa da non crederci il primato mondiale degli 800 di sei decimi in un colpo solo, un’enormità, e per toglierglielo ci volle uno dei più grandi mezzofondisti di sempre (e forse il più bello in assoluto da veder correre), Alberto Juantorena.

E poco più di 50 secondi per manche quelli di Paquito Ochoa, lo spagnolo campione olimpico a Sapporo 1972 battendo il favoritissimo, leggendario Gustavo Thöni. Primo spagnolo oro ai giochi della neve (ancora mi sfugge perché si debbano fare gare di sci in estremo oriente, dove torneremo tra poco per altre Olimpiadi, comunque), Francisco Fernandez Ochoa, per subito tornare a essere solo il miglior sciatore della Sierra de Guadarrama.

I quindici minuti di notorietà [Lettera 32] CorriereAlVenendo ai nostri grigi, il primo che mi viene in mente è “Pasqualone”, come tutti lo ricordiamo. Anche lui visse i suoi quindici minuti di notorietà con un rigore, quello contro il Pavia della promozione in C1, quando il giugno del 1981 era già iniziato, la partita stava finendo, la stagione anche, il pallone sembrava proprio non volerne sapere di entrare in porta e di nuovo ci sentivamo d’essere lí lí per portarci a casa una gran delusione.
Ci pensó lui, Primo Pasquali: fisico molto imponente, mezzi tecnici… insomma, intelligenza calcistica… ehm, bomber ma non troppo (mai in doppia cifra in carriera, dodici centri in 60 partite nei due anni da noi, insomma statistiche da poco più di Marconi). Di lui ricorderò sempre un episodio della stagione successiva, 81-82 sciagurato e finito con l’immediato ritorno nella D che allora aveva il nome addolcito in C2, con una squadra mal assemblata in cui spiccava solo il piccolo Claudio Di Prete (ancora oggi idolo pisano, anche perché segnava spesso e volentieri al Livorno). E dunque: non ricordo contro chi, ci danno una punizione contro, sotto la curva dal lato della circonvallazione (la Nord era chiusa per lavori) dove stiamo tutti noi. Pasqualone esce dalla barriera, si butta a terra a peso morto col suo corpaccione e blocca il tiro. Boato! Lui, carichissimo, si rialza come una molla e si rilancia, stavolta a piedi uniti sull’avversario a cui nel frattempo è arrivato il fútbol. Avversario abbattuto. Inevitabile cartellino rosso. E non sai se insultarlo o sghignazzare di fronte a una delle più stupide giocate mai viste.