Ricordi dal Futuro [Novecento]

Ricordi dal Futuro [Novecento] CorriereAldi Pietro Mercogliano

 
Alle soglie dello scorso secolo la Letteratura Italiana compiva su sé stessa un’opera di destrutturazione del patrimonio lessicale e formale che le era stato proprio per seicento anni, la quale trovò nel Futurismo la sua piú programmatica espressione. Se – infatti – i Crepuscolari avevano per primi intrapreso in maniera netta tale strada, costoro non s’erano però mai associati in una Scuola né mai avevano stilato un loro canone; i Futuristi, al contrario, partorirono quasi piú manifesti che opere.

Quasi è un affronto parlare di Futurismo in un pezzo di tipo giornalistico o (peggio!) in un manuale di scuola: la tradizione dello studio di poetica e delle stesse scuole ed accademie era per i Futuristi ragione di disprezzo profondissimo. Poche cose avrebbero suscitato in loro un senso di fastidio tanto profondo quanto l’idea della dinamica poesia futurista ridotta a nozioni passatisticamente tramandate in lenti testi didascalici e argomentativi.

Chi avesse mai detto loro che le tavole parolibere che uscivano dalle loro officine sarebbero finite sui libri di Liceo come molli liriche classiche e cogitabonde ballate romantiche si sarebbe con tutta probabilità attirato tutti gli insulti di cui l’inventiva linguistica futurista fosse in grado. Pure, siamo qui; e dobbiamo ben fare il nostro lavoro.

D’altronde, i Futuristi non erano tutti uguali.

Vero è che Marinetti, primo alfiere del movimento e geniale ideatore del suo primo folgorante manifesto (nonché autore di opere come il celebre “Zang Tumb Tumb”), non si professava disposto ad accettare altro che la semantica asintattica delle parole in libertà e il rifiuto di ciò che la tradizione culturale aveva consegnato. Vero è però anche che altri autori che nel medesimo movimento si riconoscevano, e che Marinetti stesso riconosceva come suoi compagni di parte, professavano un’estetica che in alcuni profondi punti era ben diversa.

Per esempio l’inafferrabile Luciano Folgore, genialmente proiettato sempre un Ricordi dal Futuro [Novecento] CorriereAl 2poco al di là delle definizioni di scuola e di appartenenza, trova la sua via all’irrisione della tradizione in una sorta di raffinatissima ma schiaffeggiante ironia della forma piuttosto che nel rifiuto della forma stessa.

E d’altra parte i poeti che sono stati sia Crepuscolari sia Futuristi, come Govoni e Palazzeschi, non si sono mai del tutto staccati dalla loro formazione originaria.
Per Govoni il Futurismo era piú un modo per reagire al Romanticismo (che poi era un Tardoromanticismo) che un vero e proprio schieramento contro l’idea stessa di tradizione e di passato.

La questione di Palazzeschi è ancora piú complessa. Fondamentalmente, per lui il Futurismo era una via al raggiungimento dell’allegria. L’idea era quella di un movimento ilare, capace di distillare il ghigno e lo sghignazzo e di obliterare l’idea medesima del dolore nell’esplosione di una forza violenta e potente.

Da un lato le parole in libertà composte da Palazzeschi sono ancora piú estreme di quelle di Marinetti, dal momento che rinunciano anche a quella forma di senso poetico che avrebbero garantito l’analogia e l’onomatopea. Dall’altro però la poetica di Palazzeschi nel suo insieme rimane maggiormente legata a quella della tradizione proprio tardoromantica e crepuscolare, soprattutto dal punto di vista di un sentimentalismo spesso affiorante sotto forma di una stanca rassegnazione che apparirebbe estranea al virilista guerreggiare del Futurismo.

Ricordi dal Futuro [Novecento] CorriereAl 1Insomma, anche un movimento che si dia troppi manifesti è complicato da afferrare nel suo insieme. Forse il piú geniale contributo del Futurismo alla storia della Letteratura è proprio l’insieme dei suoi manifesti; la piú folgorante intuizione dei Futuristi è l’idea stessa del Futurismo.

Metterla su carta è mediarla e meditarla, abbandonandosi alla stessa torpida contemplazione pensosa di chi è venuto prima e di chi è venuto dopo.