Le consuetudini di Alessandria: i restanti 11 capitoli [Alessandria in Pista]

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Remottidi Mauro Remotti.

Portiamo a compimento l’approfondimento relativo alle Consuetudini di Alessandria del 1179[1] attraverso l’esame dei restanti undici capitoli.

XII CONSUETUDINE: prende in considerazione la possibile situazione di premorienza della moglie. In tal caso, la dote non ritorna alla famiglia della donna, come invece prevedeva la tradizione romanistica, ma viene incamerata dai figli, e in mancanza di questi dal vedovo.

XIII CONSUETUDINE: tratta del problema delle inondazioni dei fiumi. I materiali trasportati dalle acque in piena su di un fondo altrui spettano al proprietario del predetto fondo per il principio dell’accessione, escluse però le cose appartenenti agli abitanti degli octo loca cofondatori di Alessandria. Questi ultimi, in virtù di un privilegio locale, hanno infatti diritto di recuperare gli oggetti, salvo che si tratti di legname che invece spetta al proprietario del terreno su cui si è fermato.

XIV e XV CONSUETUDINE: hanno come oggetto i mulini natanti[2] sistemati su apposite chiatte legate alla riva del Tanaro. In base a tali usi, non si possono recare turbative ai mulini in opera, né ai viottoli di accesso. Inoltre, il proprietario, laddove il luogo in cui questo si trova sia indicato da pali o da rami, mantiene comunque un diritto su quel luogo anche nel caso in cui il mulino non sia più esistente.

Le consuetudini di Alessandria: i restanti 11 capitoli [Alessandria in Pista] CorriereAl XVI CONSUETUDINE:  prevede che il bottino di guerra venga assegnato per metà ai comandanti (capi spedizione). In caso di vendita, spetterà loro la somma di 12 denari per ogni lira realizzata.

XVII CONSUETUDINE: si riferisce ai tributi comunali, ossia alle decime[3] sui terreni circostanti. Intorno ad ogni “porta” (quartiere) esisteva un insediamento di persone a cui era stato attribuito lo sfruttamento di determinati terreni, sui quali i soggetti pagavano i balzelli raccolti da un decimaius della porta.

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XVIII CONSUETUDINE: stabilisce che il creditore pignoratario possa vendere autonomamente il pegno trenta giorni dopo aver chiesto inutilmente al debitore la restituzione[4]. La regola è tipica della città di Alessandria, in quanto nel territorio lombardo-tosco solitamente si pretendeva che la vendita a vantaggio del creditore venisse attuata con certe formalità (ad es. il giuramento a Milano) oppure con l’intervento dell’autorità pubblica (come a Verona).

XIX CONSUETUDINE: dispone che ad Alessandria i muri di confine siano costruiti a carico dei due confinanti in proporzione dell’estensione del rispettivo sedime. Nei casolari di campagna la stessa prescrizione ha valore soltanto per i muri di confine fra due luoghi abitati Si rileva un trattamento diverso tra l’area cittadina (vale l’obbligo della comunione forzosa) e quella esterna (la regola vige soltanto se ci sono case). Questa differenza può essere spiegata con la necessità di predisporre apposite recinzioni per fissare i confini, ma soprattutto per contrastare i pericoli esterni.

XX CONSUETUDINE: gli affittuari e i coloni dei campi dovevano corrispondere “bono modo” (ossia correttamente) una prestazione ai proprietari. Si trattava di una parte del raccolto (nella misura di 1/4 o di 1/5), o di un canone fisso annuale ovvero di eventuali appendici (ad es. un cappone a Natale, uova, vino, formaggio, ecc.). Una volta effettuata la corresponsione, non vi erano altri doveri in capo al conduttore. Tale consuetudine era invalsa da undici anni (vale a dire dalla fondazione della città) e mette in risalto il rifiuto verso ogni prestazione che non derivi da terra libera.

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XXI CONSUETUDINE: nel medioevo lo straniero era sottoposto a un trattamento molto sfavorevole. I signori feudali sottoponevano spesso il forestiero a vessazioni, tanto che venne sviluppato il c.d. “diritto di albinaggio”[5] del nobiluomo locale nei confronti dello straniero. Nella nostra città viene comunque riconosciuta allo straniero la piena capacità di testare. Nel caso in cui lo stesso fosse deceduto senza lasciare testamento, il Comune succedeva nella metà dei suoi beni mobili, mentre l’alessandrino che lo aveva ospitato riceveva la restante parte.

XXII CONSUETUDINE: contiene l’elenco degli otto luoghi che hanno contribuito a fondare Alessandria: Gamondio, Marengo, Rovereto, Bergoglio, Quargnento, Solero, Foro e Oviglio. Non si tratta soltanto di un ricordo storico: la loro enumerazione ha un preciso valore giuridico. Nel corpus delle Consuetudini osserviamo, infatti, un trattamento normativo diverso a seconda che i soggetti risiedano in città piuttosto che abitino nei casales sparsi attorno.
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[1] Vedi gli articoli pubblicati su CorriereAL_Blog Alessandria in Pista: 2 luglio 2017 e 19 luglio 2017.

[2] A differenza del mulino tradizionale ad acqua, il mulino natante (denominato anche mulino fluviale) è un impianto di macinazione galleggiante. Nasce in stretta relazione con la figura del mugnaio, vero e proprio artigiano della macina dei cereali. I mulini natanti erano presenti sui corsi d’acqua della pianura italiana.

[3] Le decime medioevali venivano pagate a titolo di canone o tributo sia al signore feudale che allo Stato o alla Chiesa. Erano principalmente suddivise in prediali (legate ai frutti della terra), personali (legate al lavoro) e miste (riferite al prodotto del bestiame).

[4] La norma è posta a garanzia del debitore contro il patto leonino, ossia l’appropriazione diretta del pegno da parte del creditore

[5] Lo straniero era “alibi natus”: tra le principali limitazioni si registrava l’invalidità del testamento.  In caso di morte dello straniero il suo patrimonio era incamerato dal signore del luogo. La disposizione, assai dura, appare ispirata al principio della deterior condicio del forestiero e trova riscontro, anche più grave, in altri Statuti del territorio lombardo-tosco.