Tie-break [Lettera 32]

Giuliano Beppedi Beppe Giuliano

 
Quando fanno un film su una sfida sportiva che ti ha appassionato da ragazzo, capisci che sei avviato rapidamente verso la vecchiaia.
Quando fanno il secondo, acceleri.
Non è che lo capisci solo dai film sullo sport, sia chiaro. Però anche quelli aiutano, diciamo.

Prima c’è stato il film sul duello tra Lauda e Hunt, l’ottimo ‘Rush’ diretto da Ron Howard (a proposito di ragazzi e invecchiare, quando aveva ancora i capelli rossi Ron Howard era Richie Cunningham, devo aggiungere altro?).

Ora, sulla falsariga, almeno a giudicare dal trailer che sta circolando, è in arrivo (uscirà a metà settembre) quello sul duello tra Borg e McEnroe.

Borg, quando ho visto il trailer, è interpretato da Borg, ho pensato. Tie-break [Lettera 32] CorriereAl 1
L’attore sembra lui, è lui ho pensato, non può che essere lui, dall’impugnatura inconfondibile della Donnay, al gesto altrettanto inconfondibile del rovescio bimane, al mezzo sorriso controllato che compariva sul suo viso serio assai di rado (sorride solo quando lancia male la pallina e deve lasciarla cadere senza battere, commentavamo con l’Antonio guardandolo giocare).

E un attore straordinariamente somigliante è anche Lennart Bergelin, il padre padrone dell’orso svedese, quello che lo comanderà durante tutta la carriera (visto cos’ha combinato Bjorn dopo, Bertè compresa, direi che quel comando ferreo era un bene, non una prigione).

John McEnroe è Shia Labeouf. John McEnroe non avrebbe potuto essere altri che Shia Labeouf ho pensato quando ho visto il trailer. Infatti Shia Labeouf ha fortemente voluto essere John McEnroe, ho letto.

Tie-break [Lettera 32] CorriereAlSabato ha compiuto trent’anni: è un bravo attore ma anche un tipo proprio strano, forse un matto o forse un genio (Il Post, 11 giugno 2016)
Quello che ha compiuto trent’anni “sabato” è Shia Labeouf, non SuperMac. Anche se “un tipo proprio strano, forse un matto o forse un genio” è una definizione che starebbe bene al tennista.

John McEnroe invece ha compiuto trent’anni il 16 febbraio 1989. Quella sera a festeggiarlo c’ero anche io, davvero. A Milano. Lui giocava il secondo turno del torneo indoor che allora si faceva ogni inverno, prima al Palazzone, quello dalle parti di San Siro crollato per la neve (per dire che da noi non è che ci siamo messi a costruire male di recente, c’abbiamo una tradizione che risale a parecchio tempo fa), poi ad Assago. C’ero anche io, nonostante un piede rotto (se ho guidato fino a Milano col piede rotto l’ho rimosso, e comunque lo negherei) e una fidanzata con cui ci stavamo lasciando (questo non l’ho ancora rimosso, invece, ma farei meglio a non scriverlo).

“Per avere 30 anni, LaBeouf ne ha fatti di film, ed è considerato un ottimo attore, capace di alternare film drammatici a grandi blockbuster d’azione (sempre Il Post). Oltre che per i suoi film – e forse pure di più – ha però fatto parlare di sé perché negli ultimi anni è stato protagonista di una bizzarria dopo l’altra. Per alcuni è un mezzo matto che non ha retto a fama e successo, per altri è un mezzo genio che è stato capace di essere originale, creativo, atipico e artistico.”

Mentre scrivo queste righe lo hanno arrestato, di nuovo. Shia LaBeouf a trent’anni è un McEnroe riuscito persino peggio dell’originale.

A trent’anni SuperMac era stato numero uno al mondo, aveva vinto regolarmente in singolare ed in doppio, ultimo grande del tennis a farlo, batteva, giocava la volée, tirava il rovescio in un modo unico, inimitabile e bellissimo. Aveva suonato male la chitarra elettrica in pubblico, si era sposato con Tatum O’Neal ed era entrato a far parte del jet-set, con tutti i pro (immediati) e i contro (parecchi, a lungo andare). A trent’anni giocò la sua ultima grande partita, perdendo la semifinale contro Edberg a Wimbledon, il torneo per cui l’avremmo comunque ricordato anche se non ci avessero fatto un film.

Peraltro Borg, di tre anni più vecchio di John, si è ritirato molto prima di compierli, i trent’anni, dopo avere vinto moltissimi tornei, sempre sotto il comando ferreo di Bergelin, dimostrando di essere bravissimo a vincere molto meno a perdere (quello che lo batteva più di sovente, prima che iniziasse a farlo SuperMac, era il nostro Panatta, l’altro che a talento lo sovrastava), bravissimo a giocare molto meno a vivere.

Alla fine gli è successa la stessa cosa di Joe Frazier con Cassius Clay. La finale di Wimbledon del 1980, che nel film vedremo a lungo immagino, quella del tie-break 18-16 che anche senza il film sarebbe rimasto nella storia, ha segnato molto più lui che l’ha vinta che SuperMac che pure alla fine l’ha persa.

(No, io la storia di quel tie-break non ve la racconto, guardate il film se non avete avuto la fortuna di vederlo in diretta, mentre lo giocavano. Io l’ho visto. Un altro motivo per cui “capisci che sei avviato rapidamente verso la vecchiaia”).

Ps: le due foto sembrano uguali ma non lo sono, la prima è vera la seconda del film. Evidentemente a Tacchini e Fila non han pagato i diritti perché l’unica differenza è la mancanza dello stemmino sulle tute)