Ho visto pochi giorni fa il recente “biopic” su Jesse Owens, intitolato ‘Race’, che immagino voglia essere un gioco di parole tra “corsa” e “razza” (per dire).
Il mio commento è stato: “Luoghi comuni ne abbiamo?”
Lui, Jesse Owens, è infatti ovviamente un Jackie Robinson, l’atleta che ha infranto la cosiddetta “barriera del colore” nel baseball grazie alla forza del carattere che gli ha sempre permesso di ignorare tutte le discriminazioni razziali.
Anche quando tradisce la donna della sua vita, lo fa per colpa di una seduttrice, cui pure vorrebbe resistere (ma lei insiste così tanto, svergognata). Ah, non preoccupatevi, comunque poi torna dalla mamma della sua bambina e, contrariamente a “Cesare perduto nella pioggia”, lei lo riaccoglie anche se fradicio.
Il suo allenatore è – non sto per sorprendervi – un ex atleta fallito e amareggiato, ma dopo un’altra caduta (qui pure letterale) si redimerà grazie al lavoro con il campione.
Poi nel ’36 si va a Berlino, a vincere tutte le medaglie possibili facendo infuriare il Fuhrer e… va proprio così, e anche a Berlino tutto è proprio come ve lo aspettereste: Goebbels è uno schifoso, l’amicizia di Owens con Luz Long è la definizione stessa di valori positivi (e di altri stereotipi), Leni Riefenstahl è la regista del regime, vero, ma è anche capace di opporsi ai voleri di quello schifoso di Goebbels (e che bei film che gira, la Leni).
Il tutto condito da buone prove attoriali e qualche cameo di lusso, per esempio Jeremy Irons invecchiato bene e William Hurt invecchiato male (astenersi dal riconoscerlo se ve lo ricordate in ‘Brivido caldo’).
Così mi sono detto: ci sono anche dei film belli sull’atletica leggera, vero?
E, senza molta fantasia, sono partito da ‘Momenti di gloria’, un perfetto film anni ottanta, che allora fu visto da milioni di milioni di spettatori, vinse centinaia e centinaia di premi, ispirò innumerevoli pubblicità mentre tutti si sentivano più forti e più veloci canticchiando la musica di Vangelis.
In fretta dimenticato, come molte altre cose del decennio più effimero.
Peraltro lo stesso anno uscì anche ‘Gallipoli – Gli anni spezzati’ dell’australiano Peter Weir. Ambientato nel decennio precedente rispetto a ‘Momenti di gloria’ (che racconta di due campioni britannici alle Olimpiadi del 1924), è ben più drammatico: uno dei due personaggi principali, Archy, le Olimpiadi le sogna solamente. Morirà, come tanti altri, in una delle battaglie più cruente e inutili della Prima Guerra Mondiale, sui Dardanelli.
Altro film che ora circola pochissimo, ma che mi sento vivamente di consigliarvi di recuperare.
Nel genere storie edificanti e solida trama che non scantona, con attore invecchiato ma che ancora si fa valere, a ‘Race’ personalmente ho preferito, e di molto, ‘Mc Farland, Usa’ con Kevin Costner (anche qui: astenersi dal riconoscerlo se ve lo ricordate in ‘Fandango’). La vicenda è la classica storia Disney di redenzione di ragazzi ai margini grazie allo sport, solo che per una volta lo sport non è il basket ma la corsa campestre.
Lontano nel tempo, e tra quelli che meriterebbe rivedere, ricorderei tre film.
Un altro biopic (allora non li chiamavano così, per fortuna) degli anni cinquanta, ‘Pelle di rame’. Burt Lancaster, attore che in Italia ha lavorato parecchio con grande successo, interpreta Jim Thorpe, il pellerossa – si diceva così allora – che vinse molte medaglie a Stoccolma 1912, salvo vedersele portate via per la pelosa regola del dilettantismo dei campioni olimpici. “Signore, lei è il più grande atleta del mondo” gli disse il Re di Svezia. Guardando il film (molto bello e necessariamente non a lieto fine) si capisce perché.
Il cinema arrabbiato inglese dell’inizio anni sessanta ha prodotto capolavori (ma li danno ancora, da qualche parte, quelli in bianco e nero?), tra questi ‘Gioventù, amore e rabbia’ del 1962. Rende molto meglio l’idea il titolo originale ‘The Loneliness of the Long Distance Runner’ (la solitudine del fondista, e il protagonista in particolare gareggia nelle campestri). Scritto da Alan Sillitoe, uno dei “giovani arrabbiati” che fecero alla letteratura inglese tra la fine degli anni cinquanta e i primi sessanta quello che un paio di decenni dopo i punk fecero alla scena musicale. Diretto da Tony Richardson (devo citare ‘Tom Jones’?) che aveva già diretto il capostipite del genere, ‘I giovani arrabbiati (Look Back in Anger)’ resta, oltre che un film bellissimo, insuperato anche nell’analisi psicologica di chi corre per molti chilometri, di fatto solo con se stesso.
A proposito di corridori, solitudine, e disagio, “l’altra Hollywood” ci offre ‘Il maratoneta’ del 1976, con Dustin Hoffman e sir Laurence Olivier. Il film per cui un’intera generazione, oltre ad alimentare la paranoia di cui quel cinema era intriso (temo non a torto), più che con la passione per la corsa è cresciuta con la psicosi del dentista.