Io e Danilo Arona ci conosciamo da molto tempo.
Anzi, ci frequentiamo da molto tempo.
Ma anche così non è corretto.
Danilo e io ci vogliamo bene da molto tempo, questo è il modo giusto di ragionare.
Credo che Danilo abbia di me, come primo ricordo, l’ immagine di un diciassettenne un po’ ricciolone che scende le scale della cremeria Nancy di Piazza Garibaldi, un locale oggi scomparso.
Il mio primo ricordo del Conte (lo sapete, vero, che lo chiamano così in Alessandria e dintorni?) risale, invece, a una nebbiosa serata di autunno in cui io ero stato chiamato a sostituire l’ottimo tastierista dei Privilege, Vito Oliva che aveva cessato l’attività, in una villa a Valmadonna di proprietà di Gianmaria Bolognini. Lì, ricordo vagamente onirico dovuto al lungo tempo trascorso, rammento una presenza massiccia dotata di chitarra basso che pareva minuscolo nelle sue mani: Enzone Bezzi.
Gianmaria appunto, un ragazzino minuto con una batteria luccicante e un chitarrista con dei baffi alla Gengis Khan poco dotato di espansività naturale, diciamo un po’ sulle sue (ma era logico, io ero un pivello di cui poco si sapeva anche sul piano musicale): Danilo.
Da lì iniziò il sodalizio amical-musicale che dopo più di quarant’anni ci vede ancora qui a parlare però dell’altra attività straordinaria di creatore di storie, di affabulatore dell’incubo, di narratore di paure ancestrali che quest’uomo ha saputo inventare in anni e anni di lavoro.
Intanto dovete sapere che Danilo è un lettore compulsivo grazie anche a una sua particolarità che non tutti conoscono: legge velocissimo. Ricordo una volta di avergli passato un foglio A4 con un inizio di racconto e di avergli chiesto di leggerlo. Me lo restituisce dopo pochi secondi e alle mie rimostranze mi snocciola esattamente quello che c’era scritto. Ma non si tratta solo di questo, ovviamente. Ad esempio in più riprese il Conte ci ha fatto sapere come la persona che ha determinato la trasformazione della sua inclinazione naturale per l’ignoto, il non detto, l’incubo, la paura e a volte l’orrore, in una professione di scrittore è stata una zia che lo portava a vedere da ragazzino film inquietanti tipo Psyco per intenderci, vietatissimi ai minori.
In Danilo, come in molti scrittori del suo genere, deve di necessità albergare una sensibilità molto aguzza alle stranezze del mondo, l’occhio dello narratore di storie vigile 24 ore su 24. Anzi, il mio consiglio è di stare molto attenti a come parlate in sua presenza perché rischiate di ritrovare su carta stampata delle parole o delle considerazioni che magari fate così alla membro di segugio!
Danilo poi in più ha la particolarità di conservare in un suo misterioso archivio notizie di tutto il mondo lette sui giornali, e non solo, che rimandano a un oscuro disegno delle forze che governano questo mondo, tant’è che molti dei racconti e dei romanzi di Danilo Arona hanno come base LA CRONACA.
Oltre a questa, l’altro enorme tema nei suoi plot è, come sappiamo, LA MUSICA e qui bisogna un po’ andare in profondità. Intanto l’esperienza radiofonica a Radio Alessandria International, una lunga militanza in gruppi musicali della provincia, una memoria vivida e una curiosità a tutto campo, permettono a Danilo di spaziare in un vasto periodo temporale relativamente alla musica Rock, Blues, Dance, ecc. La Musica è forse il vero motore di tutta l’esistenza del nostro, la linfa, l’energia che tiene insieme tutto il baraccone, a partire dall’adolescenza fino a oggi . E questa verità si manifesta, anzi trasuda da ogni pagina scritta fin dagli esordi con il romanzo Rock – I delitti dell’Uomo Nero.
La Musica si trascina dietro l’Inconscio e la Notte. Nei romanzi del Conte le cose non sono mai come appaiono. C’è sempre un non detto, un non visto che altera la percezione della realtà: che sia un vento improvviso e caldo, un attacco di gatti, un sogno, una spirale nel cielo, un fantasma che sembra umano o un umano che sembra un fantasma. In questi piani paralleli di esistenza i protagonisti si muovono con circospezione o addirittura proprio nel buio notturno, quasi tradendo una sorta di fatalismo cupo sul fatto che è impossibile governare le nostre vite in questo mondo caotico. E più le azioni quotidiane sono banali e scontate, più è angosciante il contrasto con la paura che scaturisce dall’irruzione del demoniaco nella vita di tutti i giorni.
Da qui all’orrore della quotidianità o alla quotidianità dell’orrore il passo è brevissimo. Nel romanzo Morgan e il buio la Musica è la traccia sulla quale si dipana il racconto del protagonista, un uomo che vive al confine tra un mondo quotidiano, solare, popolato di canzoni rock, di birre (preferibilmente rosse) e di belle squinzie (il cui colore non è rilevante) che rendono accettabile la vita su questa terra, e un universo ctonio, sotterraneo governato da creature terribili e spaventose.
Morgan ha un ponte nell’occhio destro, testimonianza di una memoria sciamanica che gli permette di entrare in contatto con fantasmi di persone decedute per crimini violenti. E questo ponte è talmente forte da permettergli addirittura di avere contatti fisici con queste creature, fino a farci all’amore! Il romanzo tra le tante cose è anche una riflessione sul tempo che passa, sulla “saudade” di una giovinezza perduta, sul patetico tentativo di fermare il disgregarsi delle energie e delle forze.
Forse anche una riflessione tangenziale su come solo la bellezza di alcune cose del mondo (le donne, in primis) sono in grado se non di fermare almeno di rallentare il processo entropico dell’Universo. L’incedere del tempo è cattivo, maligno, perché la più grande beffa del tempo è l’impermanenza. “Cogli l’attimo” è una solenne e grottesca battuta di cui Morgan il chitarrista è assolutamente consapevole. Perciò lui non coglie mai l’attimo, nella speranza fantascientifica che l’attimo colga lui.
Nel capitolo finale Variante di valico il rovesciamento dimensionale sembra dargli ragione, ma le ultime righe rimettono in gioco la sua vana lotta contro le angherie del cosmo e lasciano presupporre un necessario sequel all’altezza di questo.