“Finisce la fiera in poesia”. Poi si va al mattatoio

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Ho appreso dai mezzi di informazione che l’8 Dicembre a Montechiaro d’Acqui si svolge la “15esima Fiera del bue grasso e altri capi di razza piemontese” patrocinata da Comune di Montechiaro, Regione Piemonte e sponsorizzata da enti e banche; «si potranno ammirare i capi bovini in esposizione, i quali saranno infine valutati e premiati con gualdrappe, coppe e riconoscimenti (…) si svolgerà il pranzo del “Bue Grasso”, durante il quale si potrà gustare e degustare la cucina tipica piemontese con il bue grasso al centro dei piatti e in tutte le sue declinazioni.»

A Montechiaro hanno pensato anche a chi preferisce mangiare a casa propria; ci sarà infatti la «possibilità di gustare il Bollito anche a casa con le confezioni da asporto». Nel pomeriggio ci sarà la distribuzione della tipica “busecca”, piatto ricavato dalle diverse parti dello stomaco del bovino: il rumine, il reticolo, l’omaso, l’abomaso.

Ci saranno eventi collaterali come la tavola rotonda sull’allevamento bovino con produttori e allevatori, il torneo di bocce, il mercatino natalizio, e, dulcis in fundo, “Finisce la fiera in poesia” con musiche e poesie.
Non basta vedere buoi legati nelle stalle a ingrassare fino all’inverosimile.
Bisogna condurli al mercato degli schiavi in attesa che a Natale appaiano sulla tavola trasformati in cibo.
Bisogna fare una festa attorno a tutto ciò e terminarla con la poesia.
Quale poesia può esserci nell’allevamento, nell’ingrasso, nella vita segregata, nella macellazione?
Sono definiti capi, esemplari, merce, prodotti, carne, cibo ma sono animali che hanno diritto a vivere e a morire naturalmente, non con un proiettile che fracassa il loro cranio e una lama che taglia la loro gola.

Gli animali in libertà hanno una loro vita relazionale, sono gratificati dalla ricerca del cibo, sono felici. Non è giusto ridurli al nostro servizio per soddisfare i desideri del nostro palato perché soffrono la schiavitù e la morte come la soffriamo noi.
La pratica di mangiare animali è sempre più messa in discussione: quando a essa fanno da corona eventi festaioli… come a dire “oltre al danno, la beffa”… si tocca il fondo.
C’è poco da festeggiare quando muore una disgraziata vittima sacrificata sull’altare di una tradizione obsoleta e sempre più difficile da accettare.
Bisognerebbe invertire la tendenza e finanziare attività economiche che non prevedano sfruttamento animale perché il futuro del pianeta non è certo assicurato dal consumo di cibo animale.
Avremmo una distribuzione più equa delle risorse e soprattutto avremmo meno crudeltà sulle nostre tavole.

“Fa parte del destino della specie umana, nel suo graduale progresso, smettere di mangiare animali, proprio come nelle tribù selvagge hanno smesso di mangiarsi a vicenda.” Henry Thoreau (1817-1862), “Walden ovvero vita nei boschi”

Cordiali saluti.
Paola Re – Tortona