La vittoria di Pirro [Il Citazionista]

setola-giuseppedi Andrea Antonuccio.

«Il clan, prima dell’evasione di Setola, si trovava in un periodo stagnante; tutto cambiò con l’avvento di Peppe. Quel giorno prese il comando e dichiarò subito la sua intenzione di fare “a modo suo”; capimmo subito cosa intendeva»
Oreste Spagnuolo, pentito di camorra

Se martedì scorso vi siete persi il servizio de “Le iene show” (Italia 1) sull’ex camorrista (ora pentito) Oreste Spagnuolo, ebbene, vi siete persi qualcosa.

Oreste Spagnuolo, che dal 2008 è collaboratore di giustizia, è stato un componente del gruppo facente capo a Giuseppe “Peppe” Setola (nella foto), boss del clan dei Casalesi. Determinante il suo contributo per smantellare una “banda”, quella di Setola, protagonista di una lunga ed efferata mattanza in diverse zone della Campania. Una su tutte: la strage di Castel Volturno, in provincia di Caserta, in cui morirono un pregiudicato italiano e sei immigrati nordafricani. Era il 18 settembre del 2008. Spagnuolo era uno dei killer.

Intervistato dalla “iena” Giulio Golia, Spagnuolo ha raccontato come si organizzavano e realizzavano le esecuzioni decise da Setola. E dalle descrizioni emergono una crudeltà e un disprezzo della vita altrui che lasciano senza parole.

Quello che mi ha lasciato l’amaro in bocca è stato constatare, ancora una volta, come in certe zone d’Italia (specialmente al Sud) se vuoi fare qualcosa, dall’aprire un bar a trovare un lavoro, devi pagare un pedaggio a qualcuno. Che sia il classico pizzo, un regalo o una tangente, poco importa. Devi sottometterti, anche solo per stare tranquillo. Ai tempi di Setola, ma anche ben prima di lui, come sappiamo. E anche adesso è così, continua a essere così. La gente paga e tace, nessuno vuole farsi dedicare una via o una associazione alla memoria.

Alla fine dell’intervista con Golia, Oreste Spagnuolo, killer di camorra, ha avuto il coraggio di dire che “lo Stato vince sempre”. Ho pensato, rivedendo i morti ammazzati e le famiglie distrutte, che la vittoria dello Stato in questi casi è sempre una vittoria di Pirro. Che non consola, e non resuscita, chi nello Stato aveva provato a credere.