Cromo [Il Superstite 290]

Arona Danilo nuovadi Danilo Arona

 
La realtà italiana sul fronte ambientale abbonda purtroppo di orrori e di stragi rimosse. Ci sono capitoli che, se vengono aperti, corrono il rischio di diventare una lunga e macabra lista di luoghi e di contabilità funebre.

Una parola a caso, amianto. In Alessandria e dintorni ne sappiamo qualcosa e Casale Monferrato appare, sul fronte dei dati epidemiologici, in clamorosa concorrenza con Broni (Fibronit), Gela e Taranto. Non ci voglio neppure entrare nel merito. Si sappia solo che i casi di mesotelioma pleurico in provincia, ovviamente e soprattutto in zona di Casale, sono in aumento esponenziale e diventa difficile capire le motivazioni perché realtà ospedaliere proprio in quella cittadina vengano ridotte quando non eliminate. Poi, se qualcuno ha un pomeriggio a disposizione, può farsi un giro per le campagne alessandrine e farsi un’idea di come siano messe quasi peggio su questa fronte della città.

Un’altra, pesante parola d’ordine: cromo. Medicina Democratica si è occupata a lungo e bene della relazione tra l’incidenza tumorale a Spinetta Marengo e la tristemente famosa “emergenza cromo” nella zona della Fraschetta. A tutti consiglio l’acquisto e la lettura del libro Ambiente delitto perfetto di Barbara Tartaglione e Lino Balza, un testo sconvolgente per il quale varrebbe la pena di citare Finardi, “mollare le menate e mettersi a lottare”. Me ne occuperò in dettaglio a breve perché il Superstite oggi intende ricordare che anche un genere letterario di intrattenimento come l’horror – io preferirei dire “gotico contemporaneo”, ma so bene che è troppo lungo e accademico…- possa divenire nelle mani giuste un genere politico di denuncia ecologica.

E, restando in piena emergenza cromo, va ricordato che, come per l’amianto, il più che tossico cromo esavalente inquina allegramente la penisola da nord a sud con punte a Brescia e a Terni.  E a Cogoleto in Liguria. Qui c’era la fabbrica Stoppani che ha operato per 100 anni sino al 2003 provocando un enorme disastro ambientale con il cromo esavalente entrato persino nella catena alimentare. Ancora qualche mese fa, in gennaio, la gente di quelle zone ha visto riaffiorare sui bagnasciuga i cosiddetti “crostoni”, ovvero sabbia indurita dal cromo, che – come ricorda Giambattista Ferrari, tra i fondatori dell’Associazione “Amici di Arenzano” – non possono stare lì in eterno perché l’azione dell’acqua può eroderli con conseguenze immaginabili per l’ecosistema e la balneazione. E intanto la demolizione della Stoppani procede con drammatica lentezza.

Ma per tornare al genere, esiste uno scrittore di notevole bravura che si chiamaCromo Andrea Biscaro e che si dedica con vigore e coscienza a quello che si può definire eco-horror. E nel suo ultimo romanzo, Cromo (appunto), edito da La Ponga, ritiene di non inventarsi assolutamente nulla perché lo ambienta proprio a Cogoleto, nel cuore avvelenato della cittadina, dentro le rovine della Stoppani. Certo, gli sviluppi della fiction ossequiano il genere e i suoi luoghi, per così dire, comuni: la fabbrica è il mostro – il Male – che non vuole morire, lo scrittore-giornalista Antonio Brando è un Dylan Dog un po’ sfatto e con un pizzico di “sesto senso” a modo suo, di notte zombie e solidi fantasmi si aggirano (per lavorare!, eccelsa trovata…) tra le macerie dello stabilimento.

Però Biscaro indica con coraggiosa precisione una via che potrebbe divenire a breve tutta italiana: l’horror eco-ambientale o post-industriale, strada da seguire, persino da imitare, perché nella nostra nazione le mostruosità di ricaduta abbondano. E l’ambiente, da Alessandria a Cogoleto, uccide, non dimentichiamolo mai.

Biscaro mi aveva già colpito al cuore con il suo racconto Pezzi, ospitato nell’antologia Malombre curata da Nicola Lombardi, un asciutto e disperante apologo visto attraversi gli occhi di un “superstite” della bassa ferrarese che si trascina in un paesaggio polveroso, oscuro e deserto, location di una già avvenuta catastrofe in stile Bhopal che ha azzerato l’elemento umano laddove “il sempiterno mostro chimico” ha consumato una tragedia con migliaia di decessi nel convenzionale anno datato 2030; un quadro solo all’apparenza fantascientifico, ma invece reale ed estendibile al nostro presente nel quale continuano a proliferare, nel silenzio e nell’indifferenza, le mai risolte tragedie dei mancati smaltimenti (amianto, Terra dei Fuochi, Bagnoli, Spinetta, ILVA e la chiudiamo qui…).

Credo che i generi popolari (fantascienza, horror, thriller) debbano ormai farsi carico “morale” di denunciare senza filtri o paraventi, come fa Biscaro in Cromo, gli orrori ambientali, partoriti anche da un’orrida politica, che mietono vittime innocenti. Lo avevo già scritto, forse un po’ più timidamente, otto anni fa recensendo l’ottimo 32 di Michele Pastrello, un cortometraggio temerario e civilissimo che si serviva del thriller per protestare contro l’ennesima coltellata subita dall’italico territorio, nel caso in questione in Veneto: l’uso della fiction per parlare alla più vasta platea possibile dei mortali paradossi di una società industriale che prima distrugge e poi lascia a morire le vittime di tale distruzione (vedi Casale Monferrato).

Il rischio, oggi come allora, è che uno scrittore horror può facilmente essere scambiato per un pazzoide profeta che abbaia alla luna. Ma Biscaro non sbaglia: il suo cuore di tenebra si chiama Stoppani, ed è un mostro che uccide. È reale. E, pensa un po’, è horror.
Mi attendo a breve un Clive Barker nostrano in Val di Susa…