La cecità degli economisti

Soro Bruno 1di Bruno Soro
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“Dopo la crisi, criticare gli economisti è diventato uno sport di moda. Se alcune accuse possono essere dismesse, perché irrilevanti o intellettualmente volgari (ad esempio che gli economisti non hanno saputo prevedere le tempistiche della crisi o che i loro modelli e le loro teorie sono troppo astratti), ci si deve chiedere se vi siano responsabilità più serie. Anche se alcuni studiosi hanno avviato meditati esami di coscienza, l’umore prevalente sembra essere che continuare come se nulla fosse accaduto sia la migliore risposta alle critiche. Eppure è innegabile che questa crisi solleva seri problemi per la professione”.

Luigi Spaventa, La responsabilità degli economisti, La voce.info, 26 agosto 2009, in Contro gli opposti pessimismi. Per uscire dal declino e dalla crisi. Lit Edizioni, Roma, 214.

 
Di padre in figli. Francesco Sylos Labini, classe 1966, non è un economista, anche se suo padre Paolo, uno tra gli economisti italiani più influenti del secolo scorso, ebbe a scrivere di lui che “ormai, fa anch’egli l’economista” (1). Fisico teorico, ricercatore presso il Centro Studi e Ricerche Enrico Fermi di Roma e dell’Istituto per i Sistemi Complessi del Consiglio Nazionale delle Ricerche, Francesco possiede, tra l’altro, invidiabili doti di divulgatore scientifico. (2)

Consiglio vivamente a coloro che fossero interessati a comprendere le radici dellaSylos Labini crisi economica che il paese sta attraversando ormai da quasi otto anni, unitamente all’incapacità degli economisti nel prevederla, la lettura del suo ultimo libro “Rischio e previsione. Cosa può dirci la scienza sulla crisi” [Laterza, Bari, 2016]. Un libro che assembla in realtà quattro libri in uno. Ognuno dei quattro capitoli, infatti, dedicati rispettivamente alle previsioni, alla crisi, alla ricerca e alla politica, meriterebbe una apposita pubblicazione. Scritto in un linguaggio tecnico, ancorché accessibile anche ai non specialisti, molte delle affermazioni in esso contenute andrebbero riportate integralmente.

Mi limiterò pertanto a chiosare i primi due capitoli, quello sulle previsioni, incentrato sul metodo scientifico, sul modo in cui evolvono le idee ed il ruolo che in tale evoluzione rivestono i paradigmi, le osservazioni e gli esperimenti, e quello sulle crisi, capitolo nel quale l’autore si sofferma sui motivi per i quali gli economisti (che si rifanno al filone di pensiero dominante) non sono stati in grado di prevedere la crisi economica originata negli Stati Uniti dalla crisi finanziaria seguita allo scoppio, nell’autunno del 2006, della bolla speculativa sui titoli derivati (legati al mercato immobiliare) e culminata nel settembre del 2008 con il fallimento della banca d’affari Lehman Brothers.

CrisiLa scienza delle previsioni. “Il lavoro dello scienziato – scrive Francesco Sylos Labini – consiste nel congetturare delle ipotesi teoriche, cercando così di costruire un quadro logico coerente che sia in grado di interpretare le osservazioni sperimentali”. Ciò, nella consapevolezza che “più diventa complesso il sistema di cui si vuole spiegare il comportamento, e dunque di cui si vuole prevedere il futuro, più diventa fragile il terreno su cui le previsioni sono costruite”. In ogni caso, siccome una “seria politica di prevenzione, mirata a limitare i danni materiali e sociali di eventi catastrofici, comporta disagi e costi per la collettività”, nella società moderna la possibilità di disporre di previsioni attendibili viene ad assumere un’importanza rilevante. Fermo restando che “(i)l valore delle previsioni scientifiche per quel che riguarda il loro utilizzo nelle politiche pubbliche è (…) un complicato miscuglio di fattori scientifici, politi e sociali”. (3)

Se ciò vale per le previsioni meteorologiche, vale soprattutto per quelle riguardanti gli effetti dei mutamenti climatici. Infatti, nonostante che l’accuratezza delle prime sia “progredita con l’aumento della potenza massima di supercalcolo digitale disponibile”, la possibilità di prevedere “con un anticipo anche di soltanto dodici ore l’esatta localizzazione nello spazio e nel tempo di un temporale estivo (le cosiddette «bombe d’acqua») o di una tromba d’aria è oggi impossibile, esattamente come lo era quarant’anni fa”.  Per quanto riguarda invece gli effetti dei mutamenti climatici, la loro misurazione può avvenire solo su scale temporali “relativamente lunghe, dell’ordine almeno di decenni”, la loro previsione è un inestricabile intreccio tra il mondo degli scienziati (cui spetta il compito di “spiegare i limiti e le incertezze delle loro previsioni”), quello dell’informazione (“che ha il dovere di fornire elementi all’opinione pubblica cercando di riportare correttamente il senso dei risultati scientifici”), e quello dei decisori politici (“che devono trasformare le previsioni in protocolli d’intervento”). (4)

La «domanda della regina». Il capitolo sulle crisi si apre con una affermazione Regina Inghilterrache merita di essere riportata integralmente: “Il compito di prevedere il futuro per assicurare la sussistenza del popolo, affidato nella società maya ai sacerdoti-astronomi, è oggi assegnato a chi si propone di interpretare i grandi movimenti della società, organizzare la sua economia e orientare di conseguenza la sua politica. Questo dovrebbe essere, dunque, il compito degli scienziati sociali e degli economisti in particolare”. E allora perché, si chiede l’autore, Sua Maestà la regina Elisabetta, durante la sua visita alla London School of Economics (LSE) due mesi dopo la presentazione dell’istanza di fallimento della società di servizi finanziari Lehman Brothers, rivolgendosi agli economisti della più prestigiosa “istituzione accademica per gli studi economici del Regno Unito”, pose la seguente domanda: “Perché nessuno se n’è accorto in tempo?” Con quella domanda, passata alla storia come “la domanda della regina”, la regina d’Inghilterra ha messo a fuoco “il problema delle previsioni in economia”. Nessuno si è accorto che stava per scoppiare la più grave crisi finanziaria del dopoguerra per due ragioni fondamentali: in primo luogo perché, scrive Francesco Sylos Labini, pur nei limiti illustrati in precedenza circa le difficoltà che si incontrano nel prevedere l’evoluzione dei sistemi complessi, a “differenza delle previsioni dei terremoti, degli eventi meteorologici estremi o anche del meteo ordinario, in cui si conoscono le leggi deterministiche, in economia queste leggi non sono note né hanno carattere universale e immutabile come le leggi di natura”.

Secondariamente perché, “l’economia neoclassica, a differenza della fisica, non ha raggiunto attraverso l’uso della matematica alcuna spiegazione precisa o previsione di successo”, dal momento che “non ha beneficiato delle più importanti idee scientifiche sviluppate nell’ultimo cinquantennio”, essendosi limitata esclusivamente a fornire “le basi teoriche per sostenere che, al fine di aumentare l’efficienza del mercato, i governi avrebbero dovuto privatizzare le proprie industrie e deregolamentare il mercato stesso”.

Per tornare alla «domanda della regina», “nessuno se n’è accorto in tempo” semplicemente perché la teoria dominante, costruita sulla visione del sistema economico basata sul “paradigma di Wall Street”, come se il mondo si potesse descrivere come un unico e grande “mercato finanziario”, concepisce la crisi “come un evento intrinsecamente imprevedibile, causato da shock esogeni che non possono essere modellizzati dalla teoria economica”. In altri termini, la crisi non è stata prevista semplicemente perché, concentrando l’attenzione sul momento dello scambio, ed essendo incentrata sul “mito dell’equilibrio” (anziché sullo studio di ciò che accade “fuori dall’equilibrio”), la teoria neoclassica esclude a priori che le crisi possano accadere.

Si può prevedere il futuro? Fermo restando che non è vero che TUTTI gli economisti non hanno previsto la crisi, in un’ottica interdisciplinare appare sempre più convincente l’analogia tra il funzionamento dei mercati finanziari e i fenomeni sismici. (5)

La loro evoluzione, infatti, “mostra (…) una successione di epoche piuttosto stabili scandite da rapide, imprevedibili e grandi variazioni. Come avviene nel caso dei terremoti, durante le epoche di relativa stabilità si accumula l’energia potenziale che verrà rilasciata al momento della scarica”. Contrariamente all’opinione di coloro che hanno sostenuto di non conoscere “nessuno che abbia predetto il corso degli eventi” (6), la crisi del 2008, invece, “è stata un risultato atteso per una serie di economisti aderenti ad altri paradigmi teorici che avevano correttamente individuato, in maniera molto precisa, i fattori di fragilità finanziaria e instabilità del sistema economico”. (7)

In conclusione, e sorvolando su altri aspetti approfonditi nel libro che meriterebbero di essere richiamati, come le critiche che Francesco Sylos Labini muove alla “dittatura neoclassica”, favorita dal modo in cui avviene la selezione degli studenti e di chi si avvia al mestiere dell’economista (ignorando o considerando “inferiori o irrilevanti per la «scienza» economica” i filoni di pensiero estranei a quello dominante), vale forse la pena di richiamare l’attenzione sul paragrafo dedicato a “Economia è politica”, nel quale il fisico-non-economista esprime il suo giudizio sulle cause della crisi economica tuttora in corso (quanto meno nel nostro paese).

“La crisi economica – scrive Sylos Labini – è scoppiata inizialmente come una crisi bancaria e finanziaria innescata da una crisi di debito privato dovuta a un’incontrollata creazione di «denaro dal nulla» (…). Il settore finanziario ha spinto l’indebitamento poiché le banche ricavano lauti interessi dal denaro altrui. Inoltre, in un sistema a crescenti disuguaglianze e con bassi e precari redditi le persone normali possono acquistare una casa o un’automobile o possono andare in vacanza solo indebitandosi. (…) la crisi finanziaria che fino all’inizio del 2010 era una crisi delle banche private e non si era tramutata in una catastrofe mondiale, è stata caricata sui bilanci pubblici, che così hanno salvato i bilanci privati. (…) E come conseguenza è stato fatto passare senza grandi difficoltà il messaggio che lo Stato spende troppo e dunque è necessario tagliare le spese pubbliche: asili, scuole, sanità, istruzione ricerca, pensioni e così via”.

Forse non aveva tutti i torti Paolo Sylos Labini nel sostenere che il figlio Francesco, fisico teorico, “ormai, fa anch’egli l’economista”. Specialmente quando, rivolgendosi agli economisti che non hanno saputo prevedere la crisi, nell’articolo sul Fatto Quotidiano (citato nella nota 5) egli scrive che “non si può pretendere di avere il prestigio di una scienza esatta senza pagare il dazio della bontà delle previsioni: per questo presentare l’economia come neutra disciplina tecnica è sostanzialmente una truffa”. Condivido.

 

(1) Forse a causa della mia pigrizia, ho faticato non poco (e peraltro inutilmente) a trovare nella rete le date di nascita di Stefano e Francesco, rispettivamente primo e secondogenito di Marinella (Maria Rosaria Azzone) e Paolo Sylos Labini (1920-2005). Le ho però trovate nel libro-intervista, a cura del giornalista Roberto Petrini [Un paese a civiltà limitata. Intervista su etica, politica ed economia, Laterza, Bari 2001], nel quale il grande economista, oltre a fornire l’informazione che cercavo, ci mette in guardia dal rischio che si corre quando si effettuino previsioni basate sulla meccanica estrapolazione dei dati: “quando nacquero i miei due figli – Stefano nel 1961 e Francesco nel 1966 – mi divertii a disegnare un grafico con l’aumento della loro statura. Ebbene, se la crescita si fosse mantenuta come nei primi mesi, oggi sarebbero alti fra i trenta e i quaranta metri” (pag. 32).

(2) Oltre ad occuparsi di cosmologia, astrofisica e sistemi complessi, Francesco Sylos Labini è autore di numerose pubblicazioni scientifiche nonché di diversi libri. Il fratello Stefano, invece, classe 1961, Geologo e ricercatore presso l’Enea, si occupa di economia ambientale, scrive su quotidiani nazionali, nonché su riviste economiche in materia di innovazione, economia industriale, moneta e finanza. Recentemente ha pubblicato, assieme a Giorgio Ruffolo, per i tipi di Einaudi, Il film della crisi, Torino 2012.

(3) Non è la prima volta che Francesco Sylos Labini affronta, con intento divulgativo, il tema delle previsioni. Il saggio di apertura del dossier di Le Scienze del giugno 2013, scritto assieme ad altri due fisici dei sistemi complessi, Fabio Cecconi e Massimo Cencini, è dedicato a “La scienza delle previsioni”. In esso, dopo aver passato in rassegna le difficoltà che si incontrano nell’effettuare “previsioni utili a guidare le decisioni da parte di un’autorità governativa”, con riguardo ad eventi non riproducibili sperimentalmente in laboratorio (come ad esempio gli uragani, i terremoti, ma anche eventi economici sul tipo delle crisi finanziarie), gli autori sottolineano il fatto che i limiti di questo tipo di previsioni “non sono sempre compresi o correttamente trasmessi a chi deve tramutare le previsioni in decisioni o protocolli di sicurezza per le popolazioni”. Pertanto essi auspicano la necessità di “una discussione interdisciplinare su queste tematiche che coinvolga sia i decisori politici che gli organi di informazione”.

(4) Molto interessante, anche per le analogie che si possono cogliere con la possibilità di prevedere le crisi economiche, è la parte di questo capitolo dedicata alla prevedibilità dei terremoti, con riguardo ai quali il problema consiste essenzialmente nella elaborazione di una “carta probabilistica di pericolosità sismica”.

(5) L’analogia tra le crisi economiche e i fenomeni sismici è stata colta anche da qualche economista, come ad esempio il Premio Nobel Paul Krugman, il quale, in un libro del 1996, incentrato sulle proprietà dei sistemi complessi [uscito in edizione italiana quattro anni dopo con il titolo “Economia e auto-organizzazione”, Giuffré, Milano 2000], dedicava il primo capitolo proprio al tema: “Embrioni, terremoti ed economia”. Analogamente, lo stesso Francesco Sylos Labini, in un breve articolo pubblicato sul Fatto Quotidiano nel giugno del 2013 (disponibile sul sito dell’Associazione Paolo Sylos Labini), richiamava l’attenzione sul fatto che “in economia, al di là della capacità di prevedere un singolo evento catastrofico, (…) il problema è identificare le cause e le condizioni dell’instabilità del sistema economico. Facendo un’analogia con la scienza che studia i terremoti, il problema prima di tutto è identificare quale sia una zona sismica mentre prevedere il momento preciso in cui un sisma accade al momento è impossibile”.

(6) Francesco Sylos Labini, pag. 109, attribuisce tale affermazione al governatore della Banca Centrale d’Australia Glenn Stevens.

(7) Per i riferimenti bibliografici degli economisti che hanno previsto la crisi, rimando alle pagine del libro di Francesco Sylos Labini. Basti qui ricordare il lavoro teorico di Hyman P. Minsky [“Keynes e l’instabilità del capitalismo”, Bollati Boringhieri, Torino 1981], nel quale l’autore illustra come l’incertezza, la speculazione e la complessità del sistema finanziario favoriscano la destabilizzazione del sistema economico. Merita una citazione anche il preveggente articolo di Paolo Sylos Labini [“Le prospettive dell’economia mondiale”, Moneta e Credito, n. 223, settembre 2003, pp. 267-295], nel quale, dopo avere evidenziato come all’inizio del nuovo secolo si stessero creando nell’economia statunitense condizioni simili a quelle che avevano provocato la Grande Crisi degli anni ’20 del secolo scorso, individuava chiaramente i fattori di crisi che qualche anno dopo avrebbero provocato l’instabilità del sistema finanziario americano.