Della Old Hag, la figura archetipica che si avvicina nottetempo al letto durante gli attacchi di paralisi notturna, ho già disquisito nel Superstite n° 232 e a proposito del libro KM 98 scritto a quattro mani con Edoardo Rosati.
Torno sull’argomento grazie a un testo americano, prezioso e sorprendente, Sleep Paralysis – Nightmares, Nocebos, dell’antropologa californiana Shelley P. Adler. Come ha evidenziato al riguardo l’instancabile ricercatrice Maria Teresa Carbone (Tra mente e corpo, Effetti alchemici di mondi lontani), la Adler sciorina in questo testo una tesi sbalorditiva: ovvero, “il rapporto tra fede e biologia è molto più intenso di quanto siamo portati abitualmente a pensare, e soprattutto non funziona soltanto in modo “positivo” (i miracoli, per chi ci crede), ma può avere conseguenze dannose, addirittura letali. Accanto al notissimo “effetto Placebo”, riconosciuto ormai da oltre due secoli, anche se in realtà non completamente indagato, esiste insomma un altrettanto potente “effetto Nocebo”, ancora da esplorare”.
Come sottolinea la Carbone, il termine non è del tutto nuovo perché coniato più di mezzo secolo fa, nel settembre 1961, da uno scienziato, Walter P. Kennedy, che prima di scivolare nell’anonimato, intitolò un suo studio pubblicato su «Med World» appunto “The Nocebo Reaction”. Che ci azzecca tutto questo con il testo della Adler e con la figura notturna della Hold Hag?
Presto detto: il saggio della studiosa americana non è affatto teorico come lo sono spesso tanti studi del genere, ma si basa, nell’esplorare i rapporti tra terrori notturni e fisiologia del corpo, sull’incredibile casistica delle morti nel sonno registratesi negli Stati Uniti all’interno della comunità degli Hmong, giunti dal Laos alla fine del conflitto vietnamita e dispersi a macchia di leopardo per tutto il nord America per colpa del governo americano che non volle gestire adeguatamente la loro migrazione. Eppure gli Hmong avevano appoggiato gli USA durante la guerra del Vietnam organizzando una dura guerriglia contro il governo centrale, ma alla fine persero la partita e molti di loro si rifugiarono in America, sparpagliandosi in oltre cinquanta città diverse.
È nei primi anni Ottanta che iniziarono le morti nel sonno, giusto un po’ qui e un po’ là, ma quel che ha notato la Adler a distanza di anni, nel tracciare le linee storiche del fenomeno, che i morti accertati furono 117 e che tutti tranne uno erano uomini sanissimi dall’età media di 33 anni.
Cosa li uccise? La Adler fa notare che gli unici dati comuni tra le persone perite nel sonno erano l’identica origine geografica e la condivisione della stessa cultura. Elementi di per sé per nulla letali. Ma all’interno di questa etnia – immortalata al cinema da Clint Eastwood in Gran Torino: sono i vicini di casa dello scorbutico Walt Kowalski – la morte si mise al lavoro in modo inspiegabile. A nessuna delle vittime fu riscontrata una “incontestabile” causa del decesso. Nessun medico sembrava capirci qualcosa. Le uniche prese di posizione ufficiali vennero dal regista Wes Craven che usò lo spunto reale per il film Nightmare e da una corrente marginale del mondo americano che propose di classificare la sindrome con l’acronimo SUNDS, un’etichetta-mostro scaturita dalle parole “Sudden Unexpected Nocturnal Death Syndrome”, che tradurremmo come “Sindrome da inaspettata e inattesa morte notturna”. Il che sta a significare che nulla si fece a livello di diagnosi e trattamento e che l’acronimo divenne soltanto un buon argomento per i periodici congressi dedicati alla comprensione del problema.
Dopo quasi tre decenni, il libro della Adler rimette assieme i frammenti di quel che accadde sulla base di interviste con la popolazione Hmong e analizzando l’esistente letteratura scientifica sulla Sleep Paralysis nonché le relazioni tra mente e corpo alla luce dell’effetto Nocebo. E la conclusione dell’antropologa è sorprendente: anche se clinicamente la causa di 117 morti sembra dovuta a un’oscura aritmia cardiaca congenita assai diffusa nel sudest asiatico, si può affermare che gli Hmong siano stati uccisi dal loro credo nel mondo degli spiriti.
Il fatto è che lo spirito notturno laotiano in grado di “uccidere”, dagli Hmong chiamato Tsog Tsuam, altro non è che la versione “locale” di un archetipo potentemente diffuso su tutto il pianeta in grado di visualizzare quelli che la stessa Adler definisce “Nocturnal Pressing Spirit Attack”, traduzione folclorica della patologia della paralisi notturna. Incubi, figure maligne che invadono la camera da letto nottetempo, quasi sempre streghe al femminile per motivazioni che la “psicoanalisi dell’incubo” (un testo esemplare al riguardo è stato scritto da Ernest Jones) ha ritenuto di poter spiegare ora associandole alla Grande Madre Uroborica ora alla vagina simbolizzata di Melania Klein.
Dall’isola di Terranova alla piana di Salisbury, passando dalla “Digeunton” indonesiana (colei che preme) alla “Bei Gui Ya” cinese (il fantasma che blocca), le modalità di attacco sono sempre le stesse: le vittime garantiscono di essere sveglie ma paralizzate mentre qualcosa di spaventoso sta comprimendo la loro zona toracica, inducendo una terribile sensazione di soffocamento. Molti scienziati forniscono un’ottima spiegazione di quel che succede: durante la Sleep Paralysis, la vittima sperimenta uno stato REM “fuori frequenza”. Nella fase REM noi sogniamo e la nostra mente non ha più il controllo fisico del corpo; quindi supponiamo di essere temporaneamente paralizzati. Ma noi non dovremmo esserne coscienti durante la fase REM. Eppure è quel che succede precisamente durante la paralisi notturna: un mix di stati cerebrali che normalmente dovrebbero rimanere separati.
E poi c’è questa cosa strana, la parte visiva che riguarda l’apparizione terribile, l’incubo. Le persone che hanno l’esperienza della Sleep Paralysis tendono a percepire qualcosa di orribile, una presenza maligna addosso a loro. «Mi sono reso conto che quella presenza era lì. Una presenza inquietante, non solo non potevo vederla, ma non riuscivo a difendermi, Non potevo fare nulla. Ce l’avevo sopra», ha dichiarato alla Adler una vittima Hmong sopravvissuta. Una percezione coerente a tutte le culture, anche se definita e qualche volta visualizzata in modalità diverse. Il fatto è che, quasi dappertutto sul pianeta, la Vecchia Strega è terrificante quanto innocua. Invece Tsog Tsuam, in America, ha ucciso 117 Hmong.
La Adler ne conclude, provvisoriamente, che ad attivare l’effetto Nocebo sia stato un collettivo senso di colpa alimentato dal potente credo folclorico della comunità. «Quando gli Hmong non adorano adeguatamente i loro Dei e i loro antenati, o non compiono nel modo corretto i rituali religiosi, oppure si dimenticano di effettuare i sacrifici o altro, ecco che gli spiriti ancestrali e gli spiriti del villaggio manifestano il loro disappunto e possono venirti a prendere di notte», spiegò un paziente laotiano alla ricercatrice.
Per più di un buon motivo gli Hmong alla fine degli anni Settanta e all’inizio del decennio successivo non erano in grado di gestire culti adeguati. Si trovavano dispersi e senza lavoro in una nazione straniera e ostile, demotivati e depressi, privati di quel senso di comunità che era base sociale nella loro patria. Non esisteva proprio più la possibilità pratica di onorare adeguatamente la memoria degli antenati, il che costituiva un noto fattore di rischio per subire la visita notturna di Tsog Tsuam. Così, 117 di loro morirono di SUNDS. Ovvero, effetto Nocebo, reale e potente. E mortale.