Il Tesoretto di San Giuliano [Alessandria in Pista]

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Remotti

di Mauro Remotti.

Gli Alessandrini hanno potuto ammirare gli argenti del Tesoro di Marengo[1] nel corso di un’esposizione temporanea[2] avvenuta presso Palatium Vetus[3] in piazza della Libertà. 

Sempre all’epoca romana – ma purtroppo assai meno noto al pubblico – appartiene il “Tesoretto di San Giuliano”, in merito al quale ho potuto apprezzare un interessante e dettagliato articolo di Alberto Ballerino, pubblicato sul numero 2/2007 della Rassegna Economica della Camera di Commercio di Alessandria, dal quale ho tratto preziose informazioni che ritengo senz’altro opportuno riproporre.

Apprendiamo, dunque – anche grazie ai ragguagli forniti dal direttore archeologico Emanuela Zanda – che il ritrovamento del tesoretto, consistente in un cospicuo numero di monete d’argento, è avvenuto poco più di una cinquantina di anni fa, precisamente nel mese di giugno del 1962, nel corso di alcuni lavori di drenaggio e di tubazioni (a una profondità di circa ottanta centimetri) in un terreno situato a San Giuliano Nuovo[4], piccolo sobborgo della “Fraschetta”[5], a pochi chilometri da Alessandria.

villa_ghilinaIl luogo della scoperta non è casuale: infatti, proprio nell’area di San Giuliano, pressappoco dove ora è ubicata la villa Ghilina[6], passava il cardine massimo della centuriazione tortonese. Secondo gli studiosi e i cultori di storia locale[7], San Giuliano avrebbe quindi origine romana. Lo testimoniava la presenza, all’incrocio delle due principali strade coloniche, di un piccolo centro abitato che diventò in seguito il sobborgo di San Giuliano, il cui nome potrebbe derivare da un tabernacolo eretto alla memoria del “Divo Julio”, vale a dire Giulio Cesare.

I primi cristiani che abitarono la zona trasformarono il culto pagano in quello della nuova religione e il piccolo monumento fu allora intitolato a San Giuliano. Come è accaduto per il Tesoro di Marengo, anche il tesoretto di San Giuliano, contenuto in una pentola di terracotta, ha dovuto attraversare diverse vicissitudini, tra le quali un tentativo di vendita di alcuni nuclei di monete. Fortunatamente tale patrimonio monetale è stato interamente recuperato e consegnato al Museo di Antichità di Torino[8] laddove sono esposte.

tesoretto_01Le monete (all’incirca 1700) – recuperate, peraltro, in un ottimo stato di conservazione – sono denarii repubblicani[9] che risalgono a un periodo compreso tra la fine del III e la metà del I secolo a.C. Tale ampio intervallo di tempo non deve però sorprendere, poiché riguardo alle monete d’argento il valore del metallo corrispondeva a quello nominale e di conseguenza continuavano a circolare anche a distanza di secoli.

Ma a chi erano destinati i soldi del tesoretto? A tale proposito si formulano alcune ipotesi. Tra le più accreditate, quella secondo cui sarebbe servito per pagare i legionari reduci dalle guerre civili che contribuirono alla vittoria prima di Cesare e poi di Ottaviano. Non si può comunque escludere che tale gruzzolo fosse stato occultato, giacché frutto di un furto o di una rapina. In conclusione, possiamo senza dubbio evidenziare che il tesoretto di San Giuliano rappresenta una significativa testimonianza della romanizzazione del nostro territorio, degno quindi di ulteriori studi e ricerche per meglio comprendere un periodo fondamentale della storia romana quale il passaggio dalla forma della Repubblica a quella autocratica dell’Impero.
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[1] Il c.d. Tesoro di Marengo è stato ritrovato nel 1928 durante lavori agricoli nei pressi della cascina Pederbona, nelle vicinanze di Marengo, lungo la Strada Alessandria – Tortona. E’ costituito da un complesso di ventiquattro oggetti d’argento di epoca romana risalenti al II – III secolo d.C. Tra essi, spicca il busto di Lucio Vero (imperatore dal 161 al 169) uno dei rarissimi ritratti in metallo prezioso conservati e sicuramente quello di dimensioni maggiori.

[2] La mostra, rimasta aperta dal 15 maggio al 31 luglio 2013, è stata promossa dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria, dalla società strumentale Palazzo del Governatore s.r.l. e dalla Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggi del Piemonte – Soprintendenza per i Beni Archeologici del Piemonte e del Museo Antichità Egizie, in collaborazione con Civita Arte.

[3] Palatium Vetus rappresenta la più antica testimonianza di edilizia civica, risalente alle origini di Alessandria, la cui struttura è rimasta pressoché autentica. Il manufatto è stato interessato da un accurato restauro su progetto del famoso architetto Gae Aulenti, ed è ora sede della Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria.

[4] A partire dal XV secolo, le carte geografiche riportano la presenza di un borgo denominato San Giuliano della Frasca. Occorre però osservare che tale toponimo si riferiva a un’intera area che comprendeva anche l’odierna frazione di San Giuliano Vecchio. Le testimonianze storiche riguardanti San Giuliano Nuovo sono legate alla costruzione di una “nuova” chiesa, dedicata alla Madonna del Rosario, avvenuta nella prima metà del XVIII secolo per volere del marchese Fabrizio Ghilini IV. La chiesa fu edificata a causa di un incendio (scoppiato il 25 febbraio 1700 e forse di matrice dolosa) che distrusse la precedente (una delle più antiche della Fraschetta) dedicata a San Giuliano Martire, posta nel territorio dell’attuale San Giuliano Vecchio. La zona in cui venne costruita la chiesa “nuova” – prima conosciuta come “Cassinaggi dei Ghilini” – fu da allora denominata San Giuliano Nuovo. Tra le caratteristiche della nuova parrocchiale spiccava quella di avere la facciata orientata a est in asse – ed esattamente prospiciente – alla Villa Ghilina, distante qualche centinaio di metri. Secondo la tradizione locale, questa soluzione era stata adottata per consentire al marchese Ghilini di poter assistere alle funzioni religiose direttamente dalla propria sala da pranzo tramite un cannocchiale.

[5] Il primo studioso a dare un nome a questo lembo di terra è  stato il famoso geografo greco Strabone (60 a.C.  – 23 d.C.). All’interno del settimo libro della sua monumentale opera intitolata “Geografia” così descrive la Fraschetta: «Al di là dei monti, c’è una terra piana e verde, coperta da frasche di bosco, abitata da uomini forti, domatori e allevatori di cavalli». Dopo la caduta dell’Impero romano, la pianura di Marengo, prima fiorente colonia, divenne ben presto disabitata e si trasformò in una fitta boscaglia, da qui il nome di “Fraschea” o “Frascheta”, ossia dalle diffuse frasche, con cui viene denominata nel Medioevo e che diventò ben presto luogo preferito di caccia dei re longobardi. Nei secoli successivi ha inizio un’inesorabile opera di disboscamento che ha portato la vasta “Silva Urbe” a scomparire quasi del tutto.

[6] La villa Ghilina era la residenza estiva dell’antica famiglia nobile dei Ghilini di Alessandria che nel XVIII decisero di lasciare un segno tangibile della loro ricchezza mediante la costruzione di due edifici: il primo, nello spazio più prossimo alla platea maior, è l’omonimo palazzo Ghilini (oggi sede della Prefettura e della Provincia), il secondo, nella campagna della Fraschetta, è appunto la Ghilina Grossa. La villa divenne famosa per la presenza di un bellissimo parco con giardino all’italiana ricco di specie floreali esotiche, importate da ogni parte del mondo. A tale proposito, si rileva che presso l’Archivio di Stato di Alessandria è tuttora conservata la corrispondenza epistolare tra l’ultimo marchese Ambrogio Maria Ghilini e i suoi giardinieri appartenenti alla famiglia sangiulianese dei Capella. In epoca successiva, a seguito della cessione del terreno, il parco della Ghilina subì una conversione all’agricoltura, confondendosi così con i campi coltivati circostanti.

[7] Tra i quali, Paola Bocca autrice del bel libretto intitolato: “Ricerche storiche sulla Frascheta”, Tipografia Ferrari-Occella & C Alessandria, 1967

[8] Il Museo di Antichità di Torino (sito internet: museoarcheologico.piemonte.beniculturali.it) rientra a buon titolo tra le più blasonate istituzioni museali europee. E’ possibile prendere visione di diverse Collezioni e apprezzare il materiale archeologico rinvenuto in diversi parti del Piemonte. In particolare, i visitatori possono pianificare un vero e proprio “itinerario alessandrino”, ammirando gli oggetti ritrovati nel nostro territorio tra i quali, oltre al tesoretto, il Tesoro di Marengo.

[9] Il denario era la moneta d’argento che costituiva, di fatto, l’ossatura dell’economia romana. I denarii erano emessi e marchiati dai consoli annualmente in carica, consentendone, quindi, una facile datazione. Se sul diritto della moneta si trovano simboli fissi (ad es. la dea Roma o la quadriga) sul rovescio sono invece molto vari poiché ogni singola autorità emittente poteva decidere discrezionalmente quali immagini far apporre. Il denario aveva frazioni quali il quinario (1/2 denario) ed il sesterzio (1/4 di denario).