“La vera soluzione per affrontare il futuro nel nostro settore si chiama aggregazione, e reti d’impresa per muoversi su mercati ampi. Posto che, fino a prova contraria, l’agricoltura rimane attività essenziale per tutte le economie del pianeta, e quindi si tratta di evolvere, ma sempre da protagonisti”.
Gian Piero Ameglio, presidente della CIA (Confederazione Italiana Agricoltori) di Alessandria, ma prima ancora coltivatore e allevatore (“di vacche di pura razza piemontese, mi piace ripeterlo sempre”) ha un sorriso aperto di una simpatia contagiosa, soprattutto quando parla del suo lavoro che, lo capisci subito, coincide con la sua passione. “La terra devi sentirla, devi averla nel sangue, come le stalle: un’ora fa ero ancora là, tra le mie bestie. Poi una rapida doccia e via per gli impegni sul territorio, consapevole che i problemi di chi lavora nel nostro settore sono enormi, e che miracoli non ne facciamo: ma il massimo dell’impegno è doveroso mettercelo sempre”). E allora abbiamo solo l’imbarazzo della scelta, con il presidente della CIA alessandrina: le recenti polemiche sul rischio cancro per i consumatori di carne, il ‘caos’ nel mondo del latte, gli agricoltori (in particolare quelle delle aree svantaggiate, collina e montagna, ma non solo loro) che sono costretti ai ‘salti mortali’ per sopravvivere, tra tasse e materie prime sottoposte sul mercato a veri e propri ‘cartelli’. Eppure per Ameglio quello dell’agricoltore/allevatore rimane il mestiere più bello del mondo, e ci spiega perché.
Presidente Ameglio, proviamo a fare il punto della situazione, alla fine di un anno ‘turbolento’ per il mondo agricolo…
(sorride, ndr) Basta che non mi chieda previsioni a medio lungo termine: per quello bisognerebbe saper leggere nella sfera di cristallo di un mago, perché ci cambiano così spesso scenario sia normativo che di mercato che qualsiasi vera programmazione diventa impossibile. Quel che è certo però, e anche Expo ce ha ricordato, è che l’agricoltura sarà sempre più al centro dell’economia mondiale, pur cambiando pelle, strumenti, regole.
Il punto è però, presidente, quale ruolo saprà ‘giocare’ su questo grande scacchiere l’agricoltura italiana, e quella piemontese ed alessandrina in particolare…..
Partiamo da quella italiana? Come CIA nazionale abbiamo affidato all’Università di Milano uno studio sulla percezione che del made in Italy agroalimentare hanno i consumatori degli Stati Uniti, ossia uno dei grandi mercati evoluti, e che possono spendere. I ricercatori hanno utilizzato il web, e non so quali algoritmi, e sa cosa ne hanno dedotto? Che la parola che negli Stati Uniti viene maggiormente associata al nostro cibo e al nostro vino è love, amore. Ancora prima che qualità. Il che significa che abbiamo di fronte a noi praterie potenzialmente sconfinate da conquistare.
Già, ma come?
Il nostro grande limite è oggettivamente sempre stato la mancanza di progetti ‘di sistema’, capaci di andare oltre la dimensione dei singoli ‘artigiani’ di talento. Oggi gli strumenti esistenti, legati soprattutto al web, consentono anche all’agricoltura di ripensarsi in termini di ‘reti di imprese’, ossia non pachidermi organizzativi, ma strutture snelle, finalizzate a determinati business, in determinati paesi o aree.
Però, arrivando alle questioni di casa nostra, gli agricoltori si devono poi confrontare, prima di tutto, con emergenze fiscali, e con prezzi del prodotto finale (dai cereali agli ortaggi, al latte, al vino) che in mancanza di politiche ‘di sostegno’ in molti casi neppure consentirebbero di pagare i costi di produzione……
Purtroppo è così: pensi che ho deciso di preparare alcune confezioni di prodotti tra quelli che lei citava, e di metterli in esposizione simbolica nella macelleria di famiglia, coi i prezzi pagati ai produttori: 7 centesimi per un sacchetto di mais, 8 per uno di grano e così via. Perché i consumatori si rendano conto quanto è bistrattato il primo anello della filiera: quello senza il quale non esisterebbero gli altri, peraltro…
Partiamo dal latte, presidente: in primavera si è concluso il regime delle ‘quote latte’, che pur con le sue ‘storture’ garantiva una certa stabilità al sistema. Ora molti produttori sostengono che al prezzo di mercato attuale del latte ‘in stalla’ non riescono a sopravvivere…
E’ un problema reale, particolarmente sentito in Piemonte, mentre in altre zone d’Italia, ad esempio l’Emilia, ci sono consorzi che producono latte biologico, e riescono a retribuire i produttori anche con 50 centesimi al litro, contro i 31-32 di casa nostra. E per il Piemonte parliamo ormai di stalle strutturare, con mediamente 120 capi da latte, e ovviamente una serie di parametri di qualità da rispettare e garantire. La qualità però va retribuita, o il sistema non sta in piedi. Lo stesso vale naturalmente per la filiera dei formaggi, dove il latte è l’elemento base da cui si parte.
Sul versante carne rossa, invece, c’è stato addirittura l’allarme lanciato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, rispetto al rischio cancro. Con quali conseguenze, fino ad ora?
(sorride, ndr) Se dovessi risponderle in base alla mia esperienza personale, le direi che addirittura noi abbiamo riscontrato un aumento di clientela, ma non è detto sia significativo. La realtà è che quando si la caccia alle streghe, in qualsiasi settore, bisogna sempre chiedersi a chi giova, chi ci guadagna. In ogni caso, è evidente che fare di tutt’erba un fascio non ha senso. E negare che la carne rossa, quella buona e a qualità certificata, abbia notevoli qualità mi sembra ridicolo: certo, non è che puoi alimentarti solo di carne, ci mancherebbe. Ma provate a cercare in rete come viene preparato un würstel, cosa ci mettono dentro, a livello di materie prime: come è possibile paragonarlo ad una bella bistecca di vacche di razza piemontese? Dai, impariamo a distinguere…
Come va invece il mercato dei cereali? L’alessandrino è sempre uno dei ‘granai d’Italia’, come vuole la tradizione?
In realtà siamo sempre stati grandi produttori di grano tenero, al secondo posto dopo la provincia di Bologna. Oggi però il grano tenero viene pagato 11 euro al quintale, contro i 30 del grano duro. E’ pur vero che la produzione ad ettaro è molto diverso, e che di grano tenero se se produce mediamente il 50% in più, però i conti non tornano ugualmente. Peraltro la nostra agricoltura negli ultimi anni è andata verso un percorso di forte diversificazione: non più solo cereali insomma, ma anche ortaggi e altre colture.
E poi ci sono le nocciole, presidente Ameglio: anche quelle sono in crescita come coltivazione dalle nostre parti. Ma è un mercato che durerà?
E’ una scelta che stanno facendo in diversi, soprattutto in collina. Ma indubbiamente è un mercato di fatto in mano ad un duopolio di operatori, e in questi casi il rischio, in prospettiva, è innegabile.
L’enologo Lanati, che abbiamo intervistato qualche tempo fa, un po’ polemicamente ci ha detto: “ormai in Monferrato ci sono più nocciole che vigneti”. Come va il mercato del vino?
L’annata è stata certamente eccezionale, dal punto di vista sia meteorologico che agronomico, quindi ci si aspetta una qualità molto alta. Ovviamente i conti vanno fatti con la remunerazione del prodotto, e lì la situazione è diversificata. Ci sono realtà, come il Moscato e il Gavi, che riescono ad avere riscontri interessanti, a livello di prezzi delle uve. Altre, dal barbera al dolcetto, fanno molta più fatica. Ci sono cantine sociali che faticano, ma anche altre che si sono ritagliate un loro mercato. E anche nuovi piccoli consorzi, dall’Ovada al Grignolino, che provano a puntare sulle loro specificità di territorio. E’ indubbio però che il valore aggiunto nel settore lo fai con la bottiglia, non con il vino: e che il mercato locale e nazionale e saturo, e occorre avere la capacità organizzativa, oltre alla qualità del prodotto, per guardare ai mercati esteri. Su questo fronte, certamente la Camera di Commercio da qualche anno mostra un’attenzione nuova e forte verso il mondo agricolo, e non possiamo che esserne lieti.
Chiudiamo con una riflessione sulle aree svantaggiare presidente, che tra collina e montagna, nella nostra provincia, hanno un peso rilevante: gli ultimi ‘alleggerimenti’ fiscali preannunciati dal Governo Renzi sono sufficienti?
Ovviamente no: di fatto semplicemente si ripristina il regime fiscale di qualche anno, riconoscendo l’ezenzione Imu per terreni e capannoni agricoli in determinate aree. Ma la questione è molto più ampia: gli agricoltori in collina e montagna svolgevano, e quelli che ancora ci sono ancora svolgono, una funzione fondamentale in termini di tutela e salvaguardia del territorio. Ovviamente se la loro attività diventa antieconomica, la scelta obbligata non può che essere il progressivo abbandono di quelle aree. Ma i risultati già stiamo cominciando a vederli, ogni volta che c’è un’ondata di maltempo: e in mancanza di scelte politiche e strategiche chiare, la situazione non potrà che peggiorare.
Ettore Grassano