Come scrivono Stephen King e Peter Straub nel loro libro a quattro mani La casa del Buio, “nell’esperienza di chiunque, i brutti posti, quelli in cui non ti senti ben accetto, tendono a essere in zone di confine”. A mia conoscenza, l’esperta in assoluto di tali e tante “Zone Zero” in Italia si chiama Chiara Bordoni, Amica e Ombra con cui condivido parecchie cose della mia narrativa nonché ideatrice del fantastico e Piccolo Festival della Paura di Porto Potenza Picena, una storia che crescerà e diventerà di notevole importanza.
Chiara ne sa a tal punto che ho dovuto, spinto dalle forze delle sue intuizioni medianiche, chiederle una prefazione alla prima edizione di Malapunta, isola più che mai di confine tra questo mondo apparentemente reale e un altro soltanto immaginale. Non è di Chiara che voglio parlarvi oggi perché ne parlerò ancora a lungo in futuro (e la citerò di nuovo a fine articolo), ma piuttosto andrei a rivolgere l’attenzione proprio a Peter Straub, autore che sui confini e sui “brutti posti” ha scritto pagine memorabili. Tra queste ci sta Nel cuore oscuro del male, breve novelette gotica il cui titolo originale suona come A Special Place, laddove il luogo segreto dell’infanzia si trasforma, appunto, in un confine da travalicare per lasciarsi andare al sordido abbraccio dell’alterità oscura.
Purtroppo di Peter Straub non tutto è stato tradotto in Italia, segno di un mercato ondivago e inaffidabile in grado di penalizzare uno scrittore sfaccettato e complesso che sul tema dell’entità inalienabile e cosmica del Male ha prodotto libri fondamentali. Nel suo percorso sono imprescindibili Julia del ’75, Ghost Story (La casa dei fantasmi) del ’79 e Koko del 1988. Giacciono però in attesa di uscita tanti altri titoli, la cui assenza nel nostro paese nonostante i famosissimi duetti con Stephen King (Il talismano e La casa del buio), segna una mancanza non da poco, visto che The Throat, Lost Boy Lost Girl e In the Night Room hanno vinto altrettanti Bram Stoker Award nei rispettivi anni di uscita.
Lode quindi alle Edizioni Anordest che meglio non avrebbero potuto inaugurare una collana battezzata Criminal Brain, scegliendo per l’occasione un’iniziazione al Male tra un sinistro maestro e il suo ben degno quanto giovane allievo che risuona altrettanto inquietante, se non di più, del celebre Apt Pupil (Un ragazzo sveglio) di King. Ovvero, zio Till e nipote Keith Hayward che sono in verità una “scheggia” proveniente dal multiforme e quasi filosofico A Dark Matter (La cosa oscura, 2011), trasformatasi da “out take” in un romanzo breve di purissimo gotico americano: la provincia degli anni ’50 e ’60 che nasconde mostri e vittime “della porta accanto”, il contagio maligno che si estende come un’aura invisibile, l’indifferenza colpevole di una società di retroguardia a ricordarci che in quegli anni i baccelloni di Jack Finney e Don Siegel estromettevano le anime dei tanti Zio Till e nipoti-discepoli al seguito per creare lande desolate in forma apparentemente umana.
Al contrario di un autore come Jack Ketchum, Straub relega quasi sempre al fuori campo le cruente nefandezze dei due sociopatici, il vecchio Ladykiller e il nipote Keith che “coccola il coltello in un posto speciale”. Ma l’effetto, così capita con gli scrittori geniali, è quasi più disturbante. E, una volta conclusa la lettura, il viaggio nel cuore buio del Male continua per suo conto. Destinazione, le Cose Oscure fra Twin Peaks e il Milwaukee, tra il mito e la cronaca nerissima di un autentico Jeffrey Dahmer. Il tutto reso possibile dalla potenza evocatrice delle parole, perché in Straub le parole dette e raccontate dai tanti protagonisti sono “terribili” e quasi sempre letali.
Ma, sul crinale di questa constatazione, non mi resta che cedere, appunto, la parola ancora una volta a Chiara quando annota nella sua tesi di laurea Negoziare con la morte:
«Le parole possono essere terribilmente pericolose. Incredibilmente potenti e potenzialmente trasformatrici della realtà… La parola non è solo un elemento fondamentale di comunicazione, con un ruolo pratico e intellettuale molto preciso, ma è carica di valenze simboliche, dotate di una loro specifica forza evocativa. Proprio perché la parola permette di cogliere la realtà nella sua essenza, ha un valore simbolico determinato a estendersi oltre l’apparenza del significato, producendo immagini e suggestioni che stimolano il nostro immaginario… Il valore esoterico della parola sta nella sua capacità di suscitare immagini e creare dal nulla, abbattendo regole e imposizioni dello status umano. Esistono parole che hanno con l’universo dell’esoterismo un rapporto antichissimo, ancora oggi radicato nella cultura, ma spesso la loro primitiva funzione simbolica è stata in parte dimenticata, anche quando certe espressioni e modi di dire sono ormai parte integrante della quotidianità. Quindi la parola, intesa nel suo valore magico e performativo, è sì un “nomen-omen”, cioè un’entità che identifica sostanzialmente l’oggetto a cui si riferisce e di cui detiene il destino ineluttabile, ma è anche verbo, ossia potenza creatrice, qualcosa che può agire direttamente sulla realtà».
Da La Casa dei Fantasmi a Special Place, le parole dette dai demiurghi del Male si dimostrano in grado di abbattere i Confini, modificando la realtà e plasmando a propria immagine gli ignari viaggiatori. Dal film Pontypool di Bruce Mc Donald ai racconti notturni dei vecchi di Un brivido sulla Schiena del Drago, le parole dimostrano il loro potere nascosto e tremendo di “bucare” il Reale. Se poi vengono “fissate” in libri in grado di circolare nel mondo come Semi della Follia alla Carpenter, il loro potere corre il rischio di centuplicarsi.