di Pier Luigi Cavalchini
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I “fatti di Roma”, con tutto quanto ne conseguirà in termini di terremoto del centro-sinistra, visto che anche un bambino (come me) intuisce che la questione è l’indirizzo futuro del PD o quello che ne deriverà, stanno offuscando una notizia passata praticamente in sordina.
A breve, per avere un piatto di trenette al pesto ligure o una ribollita toscana o un caciucco alla livornese oppure una pastiera napoletana, dovremo sborsare ben più dei 25 euro (in media) spesi dagli italiani nell’arco del 2015 per un pranzo decente (secondo uno dei dati ISTAT ricavabili dal sito nazionale).
Mangiare sano, mangiare con i sapori di una volta, mangiare italiano – con la solita manfrina in aggiunta di “quanto è buona la dieta mediterranea” – sarà sempre più un privilegio di pochi. Già ora è così nei ristoranti italiani di qualità all’estero (qui vale la mia testimonianza per quanto riguarda Lione, Digione, Parigi, Amsterdam, Berna, Colonia, Amburgo, Istanbul e – ultimamente – anche Erbil in Iraq) con proposte classiche regionali a costi proibitivi, mai sotto i 60-70 dollari. In sostanza, anche nell’arte del mangiar bene, se vuoi continuare ad avere certe abitudini le dovrai pagare di più, altrimenti puoi accomodarti ai “fast food”, ai falsi di qualità (tipo “EatItaly” del faccendiere Farinetti), oppure rassegnarti ad ingurgitare carne di capra scadente (in discutibili kebap-house) o – ancora – provare i cibi del futuro: larve di mosconi, cavallette fritte, scorpioni thailandesi al tamari o formaggi sintetici al gusto di formaggio/latte.
Questa bella prospettiva deriva dal fatto che, ormai, manca solo il via libera dell’Agenzia Europea per la Sicurezza Alimentare, e poi insetti e alghe, ma anche “nanomateriali per industrie alimentari”, vale a dire “cibi costruiti in laboratorio con nuovi additivi e coloranti” (così la dizione ufficiale), potranno finire sulle tavole degli europei. La plenaria del Parlamento Europeo ha, infatti, già approvato in prima lettura l’accordo sul cosiddetto “novel food”, con 359 sì, 202 no e 127 astenuti.
Protestano i Verdi, sconfitti di misura in Commissione (323 no contro 317 sì) in una battaglia di emendamenti: “il Parlamento non è stato all’altezza delle preoccupazioni degli europei”, affermano. Notizia che arriva a pochi giorni dal caos sulla carne scatenato dalla notizia che l’Oms ha inserito insaccati e carni lavorate tra i cancerogeni di categoria 1.
Ma non solo, perché potrebbe cadere anche il divieto – per gli Stati membri – di vietare la commercializzazione (ma non la coltivazione) degli Ogm, visto che il Parlamento ha respinto a larghissima maggioranza (577 voti contro 75) la proposta della Commissione Ue di adottare per la commercializzazione degli Organismi Geneticamente Modificati lo stesso approccio utilizzato sul fronte della coltivazione, sostenendo che “la proposta potrebbe rivelarsi impraticabile, come portare alla reintroduzione dei controlli alle frontiere tra i paesi pro e anti-Ogm, affossando il mercato interno”.
In modo molto chiaro ed esplicito si può leggere su www.europarl.europa.eu, “gli Stati membri dovranno decidere se continuare le negoziazioni per permettere il divieto sulla commercializzazione a livello nazionale, o mantenere le attuali norme in vigore: una maggioranza degli Stati membri potrebbe votare l’autorizzazione o il divieto della commercializzazione in tutta l’Ue. Se non ci sarà la maggioranza per entrambe le opzioni, la decisione dovrà essere presa dalla Commissione”.
Nella loro comunicazione, debitamente diffusa via media, social e conferenze stampa, i Verdi Europei hanno anche ricordato che “per la maggior parte gli Ogm autorizzati nell’Unione Europea sono destinati ai mangimi per gli animali d’allevamento ma, alcuni alimenti importati – normalmente commercializzati per uso comune – possono contenerne alcuni. Il sistema di etichettatura alimentare dell’Ue impone alle aziende di indicare se gli alimenti o i mangimi che producono contengono Ogm (quando la presenza è al di sopra di 0,9% del prodotto) “ Inoltre, le aziende possono anche, ma senza obbligo, indicare sulle etichette se un alimento o mangime non contiene Ogm. Una colossale presa in giro che costituisce una vera inversione ad U rispetto a precedenti prese di posizione che hanno caratterizzato la maggior parte dei “Popolari Europei” e dello stesso PSE. Proprio una “bella prospettiva” …
Ma di cosa stiamo parlando esattamente?
Viene definite “novel food” quel genere di cibo che non è stato preparato e consumato in modo significativo prima del 1997, anno in cui fu introdotta una prima regolamentazione di questo tipo di alimentazione. Anche rispetto alla definizione – sostanzialmente asettica – di “novel food” i Verdi europei hanno da esprimere più di una perplessità… Vorrebbero, infatti, una definizione più chiara e precisa.
E’ noto, anche ai profani, che non vi sono certezze rispetto alla compatibilità di questi cibi (dalle cavallette, agli scorpioni, fino alle larve e, passando ad un altro “mondo” alle meduse e alle alghe) con le modalità di digestione e assunzione da parte del genere umano. Se ne raccomanderebbe, pertanto, una attenzione insita – appunto – nel “principio di attenzione”. Oltre a ciò viene segnalato – sempre nella dura presa di posizione dei Verdi europei – che anche procedure basate sull’utilizzo di “nanomateriali” sono usate normalmente nella produzione di alcuni cibi…Purtroppo tali pratiche sono – per lo più – sotto vincolo di segreto industriale, per cui è praticamente impossibile – per il consumatore – avere indicazioni chiare in merito.
Quando si tratta di “nanotecnologie”
si fa riferimento agli Organismi Geneticamente Modificati che, a partire da questa triste data del 28 ottobre, avranno definitivamente la possibilità di circolare in tutta Europa. Per il momento non ne è concesso l’impianto e la coltivazione da zero ma, con il provvedimento di oggi, siamo ormai al via libera alla commercializzazione di prodotti provenienti da Argentina, USA, Australia e molti altri Stati con legislazioni differenti dalle nostre. Una storia che è iniziata circa un anno fa in Commissione Lavori sulle Tecnologie in Agricoltura e che, nonostante la schiacciante negatività dei membri della commissione stessa rispetto ai “novel foods” e all’uso di “nanotecnologie” (il documento finale di indirizzo dell’aprile 2015 ha visto l’unanimità dei presenti concordi nel mantenere la legislazione precedente) vede oggi arrivare all’approvazione un provvedimento non solo discutibile, ma pericoloso per la salute e per le economie dei vari Paesi d’Europa. “Proveremo ancora, come Verdi, ad opporci a tali provvedimenti ma i margini di manovra si stanno assottigliando sempre di più” questa la posizione del Green/EFA”.
Una conferma autorevole ci viene dalla Coldiretti “Unione Europea: via libera degli insetti a tavola, che interessa 8% degli italiani”. (fonte Coldiretti, ottobre 2015)
Sono appena l’8% gli italiani che assaggerebbero gli insetti, mentre il 7% si farebbe tentate dai ragni fruiti mentre ben il 19% non esiterebbe a mettere nel piatto la carne di coccodrillo. Emerge da una analisi Coldiretti/Ipermarketing divulgata per l’approvazione da parte del Parlamento Europeo, riunito in plenaria dell’accordo sul “novel food” con 359 si’, 202 no, 127 astenuti.
Un antipasto delle stranezze a tavola si è avuto in Italia grazie alle speciali deroghe concesse per Expo anche se – sottolinea la Coldiretti – solo una risicata percentuale si è avventurata nell’assaggio delle curiosità piu’ strane offerte, dall’ hamburger di alligatore a quello di zebra dello Zimbawe fino al pesce palla giapponese che tuttavia hanno conquistato una certa notorietà. Meno fortunati gli insetti che sono stati oggetto di una breve degustazione autorizzata dal Ministero della Salute alla fine dell’esposizione. Ad organizzarla la Società Umanitaria e Coop che li ha tenuti in esposizione nel Future Food District, il Supermercato del Futuro di Expo.
Per il via libera al consumo – continua la Coldiretti – c’è stato addirittura un importante endorsement della Fao che in un recente studio li classifica come il cibo del futuro perché stima che fanno parte delle diete tradizionali di almeno due miliardi di persone e che potrebbero quindi essere essenziali per combattere la fame.
“Una corretta alimentazione non può prescindere dalla realtà produttiva e culturale locale nei Paesi del terzo mondo come in quelli sviluppati”, ha affermato il presidente Coldiretti Roberto Moncalvo nel sottolineare che “a questo principio non possono sfuggire neanche bruchi, coleotteri, formiche o cavallette a scopo alimentare che anche se iperproteici sono però molto lontani dalla realtà culinaria nazionale”.
Parole a cui ci sentiamo di aderire in pieno.