Inquinamento in Fraschetta: non basta un processo, se manca un progetto [Controvento]

Solvay Spinetta dall'altodi Ettore Grassano

 

Sono passati 7 anni da quando l’Arpa segnalò alla Procura di Alessandria di aver rinvenuto nelle acque di falda sottostanti l’ex zuccherificio di Spinetta Marengo la presenza di sostanze inquinanti verosimilmente riconducibili alle attività produttive del polo chimico, che dista un tiro di schioppo.
E più di 2 anni da quando ebbe inizio il processo presso la Corte di Assise del tribunale cittadino.

Avvelenamento doloso e omessa bonifica sono i capi d’imputazione a carico di una serie di dirigenti delle due società, Ausimont e Solvay, che nel tempo si sono succedute nella gestione dello stabilimento di Spinetta.

Qui trovate un’articolata sintesi del percorso processuale, con tutti i verbali di udienza.

Pochissime in verità, e tutte donne, le giornaliste dei media locali che hanno avuto la costanza di seguire per intero l’iter processuale, in aule freddissime d’inverno e d’estate con afa ‘da svenimento’: e anche questo, insieme alla sua lentezza, è un indice significativo dello stato di salute della giustizia dello Stato italiano, quella uguale per tutti ecc ecc…

Lasciamo alle croniste di giudiziaria dunque, per competenza e capacità professionale, il compito di raccontare fatti, testimonianze, acrobazie dialettiche dei principi del foro, per lo più milanesi, che si sono esibiti nella nostra piccola arena di provincia.

Noi abbiamo transitato per quelle aule, in questi due anni, per momenti troppo brevi, per formarci una solida opinione di merito. Ma qualche impressione, da cittadini certamente interessati e coinvolti (chi scrive, tra l’altro, vive in Fraschetta, e dagli anni Settanta sente parlare, con rassegnazione, gli ‘indigeni’ degli effetti collaterali dello sviluppo industriale, non solo chimico), ce la siamo fatta.

Ieri in Tribunale, ad esempio, a margine dell’ultima udienza prima della pausa estiva, eAula tribunale della sentenza di primo grado attesa per settembre/ottobre, sembrava aleggiare un clima di mestizia, un po’ su tutti i fronti. Come se improvvisamente ci si fosse resi conto, tutti quanti, che non basta un processo (peraltro con forti limitazioni di accusa: si parla solo di inquinamento delle acque, mentre quel che abbiamo respirato in questi decenni sarà, forse un giorno o forse mai, oggetto di altri capitoli giudiziari) per far emergere in toto la verità dei fatti, e men che meno ad identificare con certezza responsabili e responsabilità.

Del resto, faceva bene il suo mestiere ma esagerava certamente in retorica uno dei principi del foro della difesa, sostenendo in maniera appassionata che qui ad Alessandria ci sarebbe un clima in qualche modo ‘forcaiolo’, o comunque giustizialista e prevenuto contro la proprietà del polo chimico. Ma quando mai: rispetto al processo in corso ad Alessandria e persino in Fraschetta aleggia, ve lo possiamo assicurare, la più assoluta indifferenza e apatia popolare, al di là di qualche minoranza qua e là rumorosa (a sprazzi, peraltro), ma certamente esigua. Indifferenza, badate bene, che è cosa ancora diversa, e peggiore, rispetto a rassegnazione o senso di sconfitta. Qui non c’è possibilità di sconfitta, per un popolo che non ha mai dato battaglia. Questa è la realtà dei fatti.

Dopo di che, c’è tutta la dinamica processuale, lo scontro tra proprietà vecchia e nuova (la parte forse più vivace del dibattimento) su chi sapeva e non sapeva, e sui diversi livelli di inquinamento, e responsabilità. Partita complessa, che va al di là delle nostre competenze: e non vorremmo essere nei panni dei giudici popolari, anche alla luce della vicenda giudiziaria della discarica di Chiusi, più volte evocata in queste settimane, e al centro delle cronache mediatiche nazionali.

Rimane la certezza che la Fraschetta non è precisamente ‘un polmone verde’, e che la situazione ambientale di oggi ha radici profonde e diversificate, e probabilmente è frutto anche (lo asseriva ancora ieri in tribunale uno degli avvocati, nel corso dell’arringa difensiva) di connivenze, ‘vedo non vedo’ e sprechi di vario tipo, nel corso dei decenni.

E non basterà un processo (men che meno una sentenza di primo grado, poi: e torniamo al tema inelubidile della giustizia ‘lumaca’) a cambiare la situazione, o a resuscitare i morti.
Ma poichè in fondo noi alessandrini siamo gente pratica, e che si sa accontentare, ci basterebbe la certezza che esiste, per tutto questo territorio, un vero e profondo progetto di bonifica (non solo di un sito industriale: di tutta un’area), risanamento ambientale, sviluppo di un’economia eco-conpatibile. Ad oggi, però, i segnali percepiti in Fraschetta vanno in tutt’altra direzione. Voi che ne pensate?