Una città “grigia”: Alessandria secondo Camilla Cederna [Alessandria in Pista]

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Remotti

di Mauro Remotti.

Per il mio primo intervento su CorriereAL in merito ad aspetti di storia e vita alessandrina, ho pensato di riproporre una riflessione ispirata a un articolo dedicato alla nostra città, comparso sul settimanale Panorama il 27 aprile 1986, a firma della celebre giornalista e scrittrice Camilla Cederna.

Il pezzo che tanto clamore ha suscitato subito dopo la sua diffusione, ancora oggi, a quasi trenta anni di distanza, viene ricordato con un certo fastidio dagli Alessandrini. L’articolo, che appare fin troppo prolisso (ben otto pagine) e con riferimenti ad accadimenti contemporanei ora poco significativi, contiene alcune “perle” di cattiveria e sarcasmo nei confronti della città di Alessandria e dei suoi abitanti ancora degne di nota.

cederna_camillaGià l’incipit non contiene mezze misure. Scrive, infatti, la Cederna: “Difficile imbattersi in una città tanto grigia, come clima (spesso avvolta in nebbie e caligine) e come aspetto (d’una esasperante monotonia): grigio si può definire il carattere degli abitanti, grigia è anche la maglia della squadra di calcio” prosegue sostenendo che gli alessandrini: “non si lasciano entusiasmare da niente, sono chiusi, impastati di freddezza piemontese e di diffidenza genovese, sono scettici, ripugnanti alle passioni, schivi, specialistici nel distruggere quanto hanno di bello… distrutto quel capolavoro liberty che era il teatro Marini per farne un bunker disgustoso[1].

Non viene risparmiato nemmeno il patrono San Baudolino, descritto come un uomo cauto e prudente (un vero alessandrino ante litteram!), caratteristiche ben rimarcate dall’episodio narrato da Paolo Diacono che ha come protagonista lo stesso Baudolino e il re longobardo Liutprando.[2] In ogni caso, secondo la giornalista, il vero santo locale è Pio V (che in realtà è nativo di Bosco Marengo) a cui è dedicata una strada che però gli alessandrini leggono, per fare prima, San Piov (sic).

D’altronde, per ignoranza, alcuni leggono via (rectius corso) xx Settembre “Cavallot Cavallot settembre” perché scambiano le x per cavalletti! Anche nei rari passaggi dedicati alle eccellenze alessandrine, quale è stata l’industria di cappelli Borsalino, si sottolinea subito che si tratta di un: “prestigioso fiore all’occhiello di una città che di fiori all’occhiello ne ha ben pochi”.

La Cederna passa poi in rassegna alcune glorie locali e si sofferma in particolare su Umberto Eco, che qualche anno prima aveva pubblicato il suo libro più noto “Il nome della rosa”. Per presentare Eco, la Cederna si avvale di un informatore d’eccezione, Gianni Coscia (conosciutissimo fisarmonicista jazz), amico fraterno e compagno di scuola del professore. Si ricorda, quindi, che negli anni del Plana: “durante la lezione di filosofia Eco continuava a disegnare e al professore che una volta lo riprese, rispose che attraverso i suoi disegni lui prendeva appunti; infatti ripeteva in modo perfetto quanto il professore aveva spiegato”.

In seconda liceo, Eco aveva creato una rivista dal titolo “Non ho voglia di studiare” e scritto anche un giallo a fumetti che narrava le vicende del suo liceo sconvolto da un delitto. Comunque, sempre secondo la Cederna, anche Eco, sebbene non lo dimostri espressamente, è un alessandrino schivo e diffidente: “come gli alessandrini che non chiamano mai nessuno per nome, ciao, e basta”.

Non poteva certo mancare un accenno finale al fatto che gli alessandrini vengono identificati come mandrogni (dal paese di Mandrogne) i cui antenati erano di stirpe ligure dediti all’allevamento di cavalli che venivano macellati per preparare piatti prelibati (come la cipilaia). L’autrice rammenta che, essendo abili nel baratto, molti mandrogni sono diventati ricchi vendendo stracci e rottami e le loro donne, peraltro molto belle e di tipo mediterraneo (vedasi le origini saracene), sono altresì molto laboriose e di conseguenza: “per loro non vale quello che gli alessandrini veraci dicono di un pigro, l’ha mai schiancà un taiarèn cocc (non ha mai strappato una tagliatella cotta)”.

Dalla lettura dell’articolo non può che rilevarsi una carrellata di luoghi comuni generati da una conoscenza superficiale (e non poteva essere altrimenti) della storia e delle abitudini locali. Per di più, anche nei confronti dei personaggi illustri la Cederna è tutt’altro che tenera, finendo per evidenziarne più i difetti che i pregi. Insomma, nel complesso, Alessandria e gli Alessandrini non ci fanno una gran figura.

Per fortuna, a dispetto del carattere riservato, schivo e privo di emozioni, si è registrata una istantanea levata di scudi contro la scrittrice milanese, ben rappresentati da molti articoli comparsi sul Piccolo. Lo stesso direttore del bisettimanale locale, Paolo Zoccola, rileva che: “punti sul vivo gli alessandrini hanno tirato fuori le unghie riscoprendo la propria vocazione alla satira e all’invettiva, tanto da fare dello svillaneggiamento della Cederna uno degli sport più diffusi in città”. Inoltre Zoccola, pur ammettendo che alcune notizie o caratteristiche riportate potessero essere vere o verosimili, continua: “come si permette quella lì? La città in cui siamo nati e viviamo è un po’ come una morosa e a parlarne male dobbiamo essere solo noi!”.

A mio avviso, la risposta più efficace e pungente è stata quella espressa dal giornalista alessandrino Rino Icardi, allora direttore di Rai Stereo 2, che nel corso di una serata del Lions aveva letto una sua “cartolina” indirizzata alla Cederna in cui spiccano vere e proprie pillole di alessandrinità. Ne riporto alcune. Innanzitutto Icardi immagina di scrivere: “dal bunker di Alessandria” e purtroppo con una grafia incerta: “perché qui, nebbia, smog e fuliggine… coprono uomini e cose”. Ovviamente sottolinea che sta scrivendo nel “cavallot cavallot secolo” e che gli Alessandrini potranno sempre dire che sulla loro terra il sole non spunta mai, a differenza di quel marpione di Carlov!

Il gustosissimo pezzo di Icardi, che si legge tutto d’un fiato, confuta una ad una tutte le accuse mosse dalla Cederna, che ha commesso un errore madornale: scambiare per ignoranza e indifferenza quella che invece è la impareggiabile ironia alessandrina! Per questa ragione Rino Icardi ci tiene a far sapere che mentre scriveva la sua cartolina: “ho tenuto in testa il cappello: il cappello si toglie solo al cospetto di autentiche signore. Soprattutto se è Borsalino”. Cederna – Alessandria: 1-1!
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[1]Un “complesso culturale” caratteristico della popolazione mandrogna che Franco Castelli ha definito “sindrome dell’avvocato Tronconi”, ossia il piacere di chi abbatte la propria casa per venderne i mattoni!

[2] Racconta Paolo Diacono che nel corso di una caccia nel bosco d’Orba venne ferito gravemente il giovane Anfuso, nipote del re longobardo Liutprando. Il re, essendo a conoscenza che da quelle parti, precisamente a Foro, viveva un sant’uomo di nome Baudolino, che si diceva operasse miracoli, mandò uno dei suoi cavalieri per pregarlo di salvare il ragazzo. Ma quando il messo arrivò al cospetto di Baudolino, egli rispose che ormai non poteva fare più nulla poiché nel frattempo il giovane era già morto. Questo atteggiamento è stato definito da Franco Castelli come “baudolinismo” cioè la diffidenza verso la realtà e l’elogio dell’inerzia.