La loro vita per la nostra festa

Spettabile redazione,

ho studiato il poeta Salvatore Quasimodo sui banchi di scuola e non l’ho mai abbandonato nelle mie letture extrascolastiche. Il premio Nobel Quasimodo, che nelle sue poesie racconta l’orrore della guerra, sa che la sofferenza che essa comporta non si limita agli esseri umani. Ne è prova la sua poesia: “O miei dolci animali”, facente parte della raccolta “Giorno dopo giorno”. Ogni anno, nel periodo antecedente la Pasqua, mi torna in mente un’altra sua poesia della stessa raccolta: “Alle fronde dei salici”. Per indicare il pianto dei bambini nel clima di terrore e di oppressione, Quasimodo scrive “il lamento d’agnello dei fanciulli” e ha ragione perché bambini e agnelli hanno un pianto simile e sono entrambi simbolo di innocenza e sacrificio. Sono cuccioli: gli uni umani, gli altri non umani.

La scrittrice Susanna Tamaro ha spiegato questa analogia di condizione esistenziale in un celebre articolo in occasione della Pasqua 2010: “Il periodo che precede la Pasqua è il periodo in cui la vita si muove nuovamente verso la sua pienezza e, con questa sua forza oggi così poco compresa, spinge anche noi a rinnovarci, ad abbracciare con una nuova visione lo scorrere incerto della vita. Anche molti animali partecipano a questo rinnovamento. La maggior parte dei capretti e degli agnelli nascono con la luna piena di febbraio e, dopo i primi giorni di timidezza trascorsi zampettando dietro l’ombra rassicurante della madre, si lanciano in corse scatenate con i coetanei del gregge. Chi non ha mai visto gli agnellini giocare, non avrà mai un’immagine chiara della gioia che può pervadere la vita. Si inseguono in gruppi, sterzano, cambiano direzione, saltellano sulle zampe anteriori e posteriori, se c’è un punto più alto nel pascolo, una roccia, un tronco abbattuto, un fontanile, fanno a gara a saltarvi sopra e questo per loro è il massimo divertimento, e poi di nuovo riprendono a rincorrersi, ogni tanto si affrontano e si caricano a testate, simulando l’età adulta. Poi le madri li richiamano, e allora è tutto un correre, un raggiungere con misteriosa abilità, tra la folla del gregge, la propria genitrice, uno spingere con testa, un vibrare di codine soddisfatte. Sul pascolo scende allora il tenero silenzio della poppata. Ma poi un giorno, poco prima della Pasqua… nelle campagne arrivano i furgoni e caricano i piccoli delle pecore e delle capre. La gioia se ne va dai pascoli e subentrano gli strazianti belati delle madri che per tre giorni corrono incredule da un lato all’altro chiamando a gran voce le loro creature con le mammelle gonfie di latte… Intanto gli agnellini, avvolti nel cellophan, sono arrivati nei banconi dei supermercati: interi, a pezzi, o solo la testa, che pare sia una prelibatezza. Non posso non sussultare quando vedo, schiacciati dalla pellicola, quegli occhi opachi e quei dentini che già strappavano la prima erba… Già, perché la Pasqua è soprattutto un pranzo tradizionale, una mangiata di quelle che si fanno di rado, con l’abbacchio trionfante in mezzo alla tavola, un abbacchio ridotto a prelibatezza culinaria… Ma in quei belati, in quelle urla, in quella vita che è pura innocenza, non è forse celata la domanda più profonda sul senso dell’esistere? Perché la morte irrompe e devasta, senza guardare in faccia nessuno… Le urla degli agnelli sono un rumore di fondo, uno dei mille rumori che frastornano i nostri giorni. E forse non sapere ascoltare questo lamento è il non saper ascoltare tutti i lamenti – i lamenti delle vittime delle guerre, dei malati, dei bambini torturati, uccisi, delle persone seviziate, abbandonate, dei perseguitati, di tutte quelle voci che invano gridano verso il cielo. È anche il non saper ascoltare il nostro lamento, di persone sazie, annoiate, risentite, incapaci di vedere altro orizzonte oltre quello del nostro minuscolo ego, incapaci di interrogarci, di affrontare le grandi domande e di accettare il timore che, da esse, inevitabilmente deriva… Forse il pianto delle migliaia di agnelli immolati per routine consumistica in questi giorni non è che il pianto di tutti i milioni di vite innocenti che ogni giorno in modi diversi, da che mondo è mondo, vengono stritolate dal male…”

Anche Gandhi, nella sua autobiografia “La mia vita per la libertà” rivolge un pensiero a queste creature: “Sarei restio ad ammazzare un agnello per sostenere il corpo umano. Trovo che più una creatura è indifesa, più ha il diritto ad essere protetta dall’uomo dalla crudeltà degli altri uomini.”

Curzio Malaparte, in “Maledetti Toscani” va oltre l’agnello e ci fornisce un quadro dolente della Pasqua in un angolo della Toscana: “Spingo la porta, è Pasqua. Entro nella macelleria, è Pasqua a San Gimignano. E’ Pasqua e la testa del toro sul davanzale della finestra, il bue squartato appeso ai ganci, l’agnello sgozzato disteso sul banco di marmo. Quest’odore di sangue, di carne rossa è Pasqua. Anche il ciuffo di viole di Santa Fina, lassù in vetta a quella torre è Pasqua. Dalla finestra della macelleria si vedono le rosse torri lucenti nel mattino, i tetti di corallo antico, gli olivi che s’alzano dai poggi come una lieve nebbia argentea, e i campi, i vigneti, i boschi dorati della Montagnola, laggiù verso Volterra, e il cielo sulla Val d’Elsa del colore delle foglie dei verzi….. Su quel paesaggio riposa la testa del toro, librata sull’azzurro davanzale di pietra serena contro la trasparenza verdina del grano, sotto la nuvola bianca. L’occhio morto mi guarda feroce, con un occhio quasi umano. Eppure io riconosco quell’occhio. Mi muovo per la bottega, tocco le coltella, l’affilatoio, i mazzuoli, le accette, la mannaia. Il legno del ceppo, sul quale la mannaia spezza e squarcia le ossa, è tutto bucherellato come un bugno, un bugno pieno di sangue nero di sego bianco. Volto la schiena alla finestra e sento che il toro mi guarda. La testa del toro è Pasqua… E’ Pasqua il sangue raggrumato sul marmo, la segatura rossa sparsa per terra”

Come lo scorso anno, in prossimità della Pasqua 2015, l’associazione Animal Equality continua la sua campagna per fermare la sofferenza di agnelli e capretti,  presentando un video di un minuto . Le tante adesioni alla campagna rispecchiano un forte desiderio di cambiamento e una nuova cultura in cui esseri umani e non umani possano convivere nel rispetto reciproco, senza pregiudizi di specie e senza tradizioni sanguinarie.

Cordiali saluti.

Paola Re – Tortona (AL)