Napoleon, ultimi fuochi [Il Superstite 229]

Arona Danilo nuovadi Danilo Arona

 

Per concludere in bellezza la saga del Napoleon a Spinetta Marengo, eccovi i resoconti, fedeli per quanto può la memoria, di alcuni episodi diciamo “stravaganti” capitati lassù, nel Whisky a Go Go.
Il primo. E’ il capodanno, mi pare, del 1981, intorno alle cinque del mattino. Giorgio e Luciano stanno ciondolando tra i tavolini giù al ristorante in attesa della chiusura della discoteca che porterà l’agognato riposo. Giorgio allora telefona di sopra per chiedere a qualcuno del personale se c’è ancora gente. Al banco bar un tipo di nome Terry alza il telefono e Giorgio, da buon alessandrino naturalizzato pur se proveniente da Broni, domanda: «Dì, c’è flanella?». Il beota al telefono allora si mette a urlare verso i tavoli: «Il signor Flanella al telefono, grazie!».
Il secondo, ovvero la “falsa” rissa tra Simone e tal Bepi. Capita una domenica notte del 1982 che un metallaro intorno all’una irrompa su al Whisky a Go Go, guardandosi attorno con aria più incuriosita che truce. Il Napoleon storicamente non è mai stato luogo per metallari e presumo lo abbiate ben capito dalle puntate precedenti. Però si vive in democrazia e che un metallaro doc come quello, con venti kg di borchie e pendagli ferrosi addosso, venga su per dare un’occhiata ci può stare. Il fatto è che Bepi non sopporta la categoria e, in men che non si dica, attacca briga consigliandogli di prendere le scale. Il ragazzino, che sembra il figlio di Alice Cooper, sibila soltanto: «Tornerò» e scende la scalinata che porta al posteggio esterno. L’incidente pare dimenticato e la serata giunge al suo epilogo intorno all’una e trenta. Il popolo comincia a uscire. Io tiro una tenda e lancio un’occhiata distratta verso il mondo esterno. E trasalisco… Pare una scena di Distretto 13 di Carpenter. Il parcheggio è pieno di metallari. Giovani e meno giovani. Giubbotti di pelle, borchie, catene, capelli lunghi, insomma, conoscete lo stereotipo. E se ne stanno lì, fermi, puntando lo sguardo verso l’ingresso. Aspettano. Per Bepi, che sta scendendo, butta male. Mi affaccio dalla scalinata. Bepi ha raggiunto l’uscita in compagnia di Simone, al secolo il geniale Giorgio Simonetti. Urlando gli espongo la situazione, ma il ragazzo è per così dire in stato di allegria alcolica. E non mi sta proprio a sentire.
E così esce, affiancato da Simone. I due vedono la nutrita banda di borchiati che si sta avvicinando minacciosamente. Si guardano e…

Doverosa parentesi: ho già avuto modo di sottolineare in passato come Giorgio Simonetti,NapoleonWhisky nativo di Mandrogne, fosse uomo di rara arguzia, capace di improvvisare efficaci e impensabili soluzioni nelle situazioni più strane. Così fu anche quella sera.
Simone lancia un’occhiata allusiva a Bepi che ha iniziato a contare gli avversari. Non so quanto ne capisce l’amico, ma quando Simone si sfila il giubbotto e poi la camicia, la storia diventa più chiara. Allora Bepi fa lo stesso e i due prima attaccano a ghignare. E quindi prendono a darsele di santa ragione, un po’ ridendo e un po’ soffrendo. I metallari si guardano allibiti. Qualcuno allarga le braccia, altri scrollano la testa, c’è chi commenta: «Sono scemi». Ma lentamente abbandonano la scena. Erano venuti per menare, non per vedere menare. E peraltro il tipo che andava castigato si sta prendendo la sua punitiva dose di sberloni.

Quando l’ultimo metallaro se ne va, Bepi e Simone la smettono e si guardano trionfanti: «Ce l’abbiamo fatta, li abbiamo ciulati!», e rientrano al bar al pianterreno per farsi servire da Giorgio il meritato bicchiere della staffa. Io mi avvicino e li guardo mentre brindano con una piccola chiara: sono pesti, gonfi, sanguinanti, e le botte se le sono date e prese sul serio. E azzardo un dubbio: «Non è che avete ecceduto nella finzione?», e Simone mi risponde: «Conte, non capisci. Per certe opere d’arte non si pongono limiti».
napoleon10Il terzo episodio (altro che stravagante): un sabato notte, verso fine serata, credo nella primavera del 1983, mi trovo alla console dei dischi quando irrompono nel locale cinque ragazzotti mai visti. Si capisce subito che sono su di giri perché si guardano attorno con aria di sfida, nell’attesa del primo commento a loro giudizio sbagliato. Però quello è il Napoleon e per giunta c’è poca gente ai tavoli, per la maggior parte coppiette: insomma, nessuno se li caga, e allora i tipi mettono in pratica un insolito atto dimostrativo. All’unisono si tolgono i pantaloni e attaccano a ballare, tutti e cinque per loro conto sulla pista, la musica dance che sto facendo passare: insomma, un discreto branco di scimuniti. Non so che pesci pigliare e raggiungo il telefono al banco bar per consultarmi con Luciano al pianterreno. La surreale telefonata: «Oh, Lucky, ci sono cinque pirla che si sono tolti i calzoni e stanno ballando da soli in mutande. Che faccio?». Pochi secondi di esitazione: «Tra pochi minuti sono le due. Stacca la musica e accendi le luci. Se ci sono problemi, fammelo sapere».

Alle due in punto stoppo i dischi e inondo la sala di luce. I tipi mi lanciano qualche insulto, io apro le braccia e ricordo che si chiude alle due, ci sta pure scritto da qualche parte. Allora i ragazzotti si rimettono i calzoni e prendono la via delle scale, urlando al nulla: «Questi del Napoleon sono dei morti di fame!». Il problema per loro è che hanno posteggiato proprio davanti all’ingresso del ristorante dove stanno stazionando Luciano, Giorgio e altri tre o quattro avventori. Stanno lì a chiacchierare, non hanno intenzione di apparire minacciosi. E’ che a uno dei cinque, una volta in macchina, viene una malaugurata idea: tira giù il finestrino e urla, proprio guardando Yoghi in faccia: «Siete dei morti di fame!». Io mi sto godendo la scena dal primo piano della discoteca perché intuisco che sta per accadere qualcosa di catacomico, a metà strada tra il catastrofico e il comico. E così è. Luciano, a dispetto della sua stazza, schizza in piedi con agilità da scoiattolo e si lancia verso la macchina. Il ragazzo alla guida, pensando di farla franca, ingrana la prima, ma non ha fatto i conti con il paradosso energetico di uno che si chiama Lentoni, tutt’altro che lento. Giunto a filo della vettura che tenta di guadagnare la statale, Luciano si proietta in alto come Thor con il suo martello e tornando in assetto sul terreno, libera sul tettuccio dell’auto un pugno terrificante che affonda la lamiera che affonda come colpita da un meteorite. Non so bene se per lo spavento o per altra causa, ma vedo che l’auto inizia a sbandare quasi fosse priva di controllo e la vedo puntare la cabina telefonica che a quell’epoca fiancheggia ancora un distributore di benzina. Ulteriore complicazione: dentro la cabina c’è un tipo intento a telefonare e davanti alla stessa la sua Fiat 600 posteggiata.

Quel che ne segue è disastro annunciato: l’auto dei cinque pirla, con Luciano che la staNapoleon1 inseguendo, caracolla rovinosamente sulla 600. Il tipo dentro la cabina, scopriremo in seguito essere un muratore sardo intento a parlare con la fidanzata, esce con le mani serrate a pugno. È piccolo, ma ostenta un fisico da Hulk. Il ragazzo che guida, ciucco perso, esce ridendo e agitando le mani, forse intende solo fare il simpatico ma gli arriva sul naso un manrovescio che lo stende. Intanto sta arrivando Yoghi di corsa e i quattro pirla smettono di ridere e iniziano a tremare.
La faccenda viene poi risolta in modo civile, con scambio di dati per l’assicurazione e qualche supplemento di calcio in culo ai cinque furbastri. Che se ne vanno nel cuore della notte con l’auto scassata e l’aria mesta. Saprò soltanto due giorni che i cinque provenivano da Solero e che erano attesi da un’auto dei carabinieri e da un comitato di parenti in quanto avevano già proposto la scena dei pantaloni calati in altri locali prima del Napoleon. Usciti dalla macchina incidentata, i genitori avevano cominciato a prenderli a sberle, a malapena trattenuti dai carabinieri. La giustizia del Napoleon…

Qui giunto, amici, comunico che il Superstite va in vacanza per qualche settimana perché necessita di ricaricare le pile. Pure a me si scaricano di tanto in tanto. Buona vita a tutti.