Al Nervi-Fermi il racconto del lager di Ravensbruck

armano_nervi“Riflettere sull’universo concentrazionario apre una prospettiva, non risolve, ma consente di capire;  questo è il senso che si deve dare al Giorno della Memoria…”.

Con queste parole  il prof. Gianpiero Armano si è rivolto agli studenti delle classi IV indirizzo Moda e V indirizzo Odontotecnico dell’IIS Nervi-Fermi riuniti in Aula Magna, introducendo la sua lezione  sul campo di sterminio di Ravensbruck, prima tappa di un percorso di conoscenza e di riflessione che ogni anno la Provincia di Alessandria offre agli studenti delle classi quarte e quinte della scuola superiore per celebrare degnamente il giorno della Memoria.

Il prof. Armano ha introdotto la sua lezione fornendo alcune informazioni su Ravensbruck,  aperto, prima come campo di lavoro poi di sterminio, nel maggio 1939, in una località situata ad 80 Km a nord-est di Berlino, in riva al lago Schwed, non lontano dalla cittadina di Furstenberg; liberato dalle forze sovietiche nell’aprile 1945, si stima abbia fatto più di 90.000 vittime.

A rendere ancora più efficace la sua lezione il prof. Armano ha presentato agli studenti, attraverso una videointervista da lui effettuata qualche mese fa, la testimonianza di una delle ultime deportate, ancora in vita, del campo.

Si tratta di Ida Desangrè,  nata a Saint Cristophe, oggi in provincia di Aosta, nel 1922; entrata nella Resistenza nella primavera del 1944, venne arrestata con il marito nel luglio dello stesso anno e  incarcerata prima ad Aosta, poi a Torino alle Nuove, quindi a Milano a San Vittore. Dopo il trasferimento a Bolzano, venne deportata a Ravensbruck, poi a Salzgitter (sottocampo di Neuengamme), infine a Bergen Belsen dove venne liberata dagli Inglesi nell’aprile 1945.

Testimone ancora attiva della deportazione, signora di media cultura, non ha fatto altissime considerazioni, ma ha indotto i ragazzi  alla riflessione raccontando la  terribile esperienza seguita, dopo cinque giorni allucinanti di viaggio, al suo arrivo a Ravensbruck: dagli appelli estenuanti, ai lavori pesantissimi, ai contrasti tra le prigioniere, alle selezioni. Ha sottolineato la particolare condizione della donna deportata:  l’umiliazione (più pesante da tollerare rispetto a quella di un uomo), la bellezza (vissuta con paura), il coraggio (di  poche, le polacche), la fede  (Dio non avrebbe tollerato, la colpa era degli uomini) .

“Lì ho visto la degradazione della donna… e non l’ho mai dimenticata” dice Ida con voce commossa ma ferma. Nella testimonianza non sono mancati riferimenti all’esperienza da lei vissuta negli altri campi fino alla liberazione di Bergen Belsen; in quel luogo vede la distruzione totale e gli sguardi inorriditi della popolazione tedesca quando viene fatta entrare nel campo, ma “…la gente sapeva, sentiva la puzza dei crematori, non era possibile non sapere…” sostiene Ida con convinzione. E poi il viaggio di ritorno, altrettanto drammatico, e l’impatto con la vita “normale”, il dramma di non essere creduta, la diffidenza, i pregiudizi negativi.

In riferimento alla testimonianza della deportata, il prof. Armano ha toccato alcuni aspetti focali della deportazione a Ravensbruck: le due gerarchie, quella militare e quella delle nazionalità presenti nel campo, con particolare attenzione alle italiane (considerate traditrici), alle “conigliette” (giovani polacche destinate ad esperimenti medici), ai bambini.

Ha esaminato con molta chiarezza lo stretto legame tra il lager e l’economia della Germania: lo sfruttamento del lavoro del deportato nel campo e nelle fabbriche e poi, da morto, quello del corpo, fornendo anche alcuni importanti suggerimenti bibliografici.

“Il giorno della memoria di questi eventi non deve scadere a vuota cerimonia celebrativa, come purtroppo sta accadendo per alcune ricorrenze , conclude il relatore, occorre uno sforzo di conoscenza e di collegamento ai drammi di oggi; nel mondo continuano a succedere episodi di xenofobia, di discriminazione etnica e religiosa… che devono essere letti alla luce della memoria per non correre il rischio di imboccare strade pericolose. Ecco perché si fa memoria.”