L’esecrabile incedere del tempo [Il Superstite 215]

Arona Danilo nuovadi Danilo Arona

Confesso che l’affetto e la stima dell’amico Ettore Grassano, egregerrimo direttore della testata online che ospita il soliloquio settimanale del Superstite, a volte mi imbarazzano per la sincerità che comunicano. Ecco, vi vedo, vi state chiedendo dove ho intenzione di andare a parare… Domanda legittima, ma alla quinta riga, risposta sincera, non lo so.

Perché è da un po’ di tempo che vorrei mettere sul piatto periodico delle riflessioni condivise qualche argomento più intimo e personale che faccia il paio con la “professione” della scrittura, il suo significato sempre più geneticamente modificato e il confronto speculare con l’implacabile tempo (Bad Time Running per dirla con un grande regista che si chiama Nicolas Roeg) che ti rimanda quotidianamente un’immagine non dico spiacevole, ma sempre più “aliena”. Tentando di far chiarezza e tornando a Ettore, credo che quest’ultimo sia piacevolmente affetto, nei confronti del sottoscritto, della Sindrome del Fan, quella stessa che io provo, che so, nei confronti del regista John Carpenter (che non gira praticamente più) o per l’eccelsa Daphne Du Maurier (che non scrive più perché morta da tempo). Paragoni non leciti, sicuro, perché io sono fisicamente vivo, a meno di non pensare a una possessione extraterrestre in stile Ultracorpo, ma il punto centrale della questione è che la Sindrome del Fan mi pare ormai l’unica scintilla, alla fine di un drammatico 2014, in grado di infondere senso vitale a questa Cosa che mi affligge sin dai primi anni Settanta del secolo scorso. Ovvero, lo scrivere.

Da anni, ogni tanto ne leggete anche qui, mi interrogo sul fatto se l’esecrabile incedere del tempo sia in grado di concedere ancora brandelli di significato a un’operatività creativa che ti fa trascorrere notevoli porzioni di esistenza davanti a un computer immerso in vite e situazioni fittizie nelle quali puoi immergerti tanto in profondità da sentirle vere. In piena e silenziosa meditazione sul tema, qualche giorno fa incontro un amico ex compagno di scuola (ha quindi la mia stessa, non verde età) che mi confessa con mia sorpresa: «Sai, ho sempre ammirato il tuo eclettismo, scrivi, suoni, hai un’attività lavorativa particolare che resiste nonostante il mostruoso livello della crisi e nonostante Alessandria. Ti invidio proprio.»

Ora, l’amico in questione – la privacy non mi autorizza a svelarne i dati anagrafici e miSuperstite under limito a informare che è un personaggio molto conosciuto in città, alle scuole medie a me molto simpatico in quanto alla fatidica domanda «Cosa vuoi fare da grande?» lui aveva risposto senza indugio «L’ingegnere atomico» – è uno che ha viaggiato in lungo e in largo per il pianeta, ha visto cose che io umano non ho mai visto e, insomma, non capisco con assoluta sincerità cos’abbia da invidiarmi. Oh, lo giuro, e lo chiedo a lui senza farne mistero. E la sua risposta mi fa pensare, aggiungendo legna al fuoco dei dubbi esistenziali. Perché poi, parliamoci chiaro, ho trascorso quarant’anni della mia vita quasi sempre chiuso allo stesso indirizzo ai bordi del centro città. Guardandomi dall’esterno con il massimo dell’obiettività che riesco a concedermi, non so se lo rifarei e soprattutto non mi invidio.
Invece lui: «Ti invidio perché hai vissuto più di una vita in contemporanea. Il musicista, lo scrittore, l’imprenditore. E in quella dello scrittore di sicuro ce ne sono state altre. Chiamiamole sotto-vite. Io una sola. E so fare una cosa sola, il mio lavoro.»

Decido di non impantanarmi – anche perché sono le cinque del pomeriggio e non le due di notte – in una discussione, per quanto amichevole, ai confini della realtà e a lui ricordo soltanto le numerose controindicazioni delle diverse e invidiate vite che vanno dall’anonimato un po’ triste del “musico ambulante” (citando Concato) alla solitudine, non triste ma necessaria, di colui che scrive perché non riesce a sfuggirne. «Non importa», risponde lui, «l’hai fatto e lo fai per te, cose che nessuno ti impone. Hai tante vite nelle quali fuggire o rifugiarti quando vuoi. Io non vado da nessuna parte, cazzo!». Già, ha concluso proprio così, come il comandante che rampognò Schettino, e lo trovo ancor più sorprendente. Poi per fortuna parliamo d’altro.

Ecco, non so se ha ragione lui. Anzi, con una bella tara di cognizione, lui ha torto perché a mente fredda e calcolatrice non c’è nulla da invidiare. Forse è stato colpito da una forma non gravissima di Sindrome del Fan.

Allora torno a Ettore Grassano (che, se lo vuole, può ovviamente commentare da par suo alla fine del pezzo) e a tutti quelli, neanche pochi, che mi chiedono prefazioni perché pensano che una mia introduzione impreziosisca il loro lavoro (non ne sono affatto convinto a essere sincero) o che mi invitano qua e là scrivendo sulle locandine iperboli come “maestro”, “guru” e via complimentando (ne traggo piacere, non sono ipocrita), perché confesso che al momento attuale è soltanto l’esterna Sindrome del Fan a regalare un senso in stile Vasco Rossi a questa “mission” della scrittura. Il fatto è, alla fine di queste note sconnesse, che la scrittura forse non ha età ma lo scrittore sì. Invecchiando forse si diventa saggi ma di certo si resta legati a schemi e a consuetudini che hanno fatto parte di un processo di maturazione del mestiere, ma che fanno sempre più fatica a trovare un diritto di cittadinanza nel naturale territorio di riferimento professionale. Per fare un solo esempio concreto, per quanto parecchi miei titoli stiano sul mercato digitale, gli e-book non saranno mai in grado di entusiasmarmi (perché poi alla fine lavori mesi e mesi per un incongruo numero di download) e non esiste ancora nulla di così culturalmente eccitante come la creazione, nelle sue parti, di un libro cartaceo. Ma qui di sicuro vado a sforare in un campo in cui pesano la crisi economica (che ha bastonato in modo disastroso l’editoria tradizionale) e l’avvento delle nuove tecnologie, quelle che ti fanno andare primo in classifica su Amazon per qualche ora, regalando ai sognatori l’illusione di avere partorito un best-seller.

Appunto, lo scrittore è invecchiato. Il suo unico rimedio anti-age è la Sindrome del Fan alla Ettore Grassano, che pretende un Superstite alla settimana e chiede con ansia quando uscirà il prossimo titolo. Comunque, grazie. Anche se confermo ancora una volta che la scrittura è un massacro che l’età avanzante relega ogni giorno di più nell’oscuro angolo del dubbio. Anzi, il Dubbio, con la maiuscola.