Twistin’ the Night Away [Il Superstite 212]

Arona Danilo nuovadi Danilo Arona

Un po’ di tempo fa durante un’intervista mi è stato chiesto come mai in apertura del mio sito ufficiale si legge questa frase tratta da una canzone di Sam Cooke: «Lascia che ti racconti di un posto da qualche parte su a New York dove la gente è allegra e passa la notte a ballare, tutti si sentono meglio passando la notte a ballare». La canzone, s’intitola Twistin’ the Night Away, risale al 1962 ed è stata riportata alla ribalta in anni più recenti da Rod Stewart. A chi me lo chiedeva diedi la seguente risposta: «Potrei dirti: perché Sam Cooke è stato ucciso un’ora dopo averla cantata. E’ una frase che piazzai come citazione all’inizio del capitolo Un assaggio di Armageddon nel mio romanzo Rock – I delitti dell’uomo nero. In quelle pagine descrivo una terrificante strage di ragazzi in una discoteca, proprio mentre stanno ballando al colmo dell’eccitazione “del sabato sera”.

Vengono uccisi in modo soprannaturale da Sam Hain (l’Uomo Nero del titolo), ma il simbolismo è tanto chiaro quanto lugubre ed è un “flano” del mio modo di intendere l’horror: ovvero, non fidarti mai di una realtà allegrotta e danzereccia che ti fa sentire meglio. Sotto c’è il trucco.»

Si può spiegare meglio. Ma prima si dovrebbe rammentare per sommi capi la morte di Cooke, ucciso da un’albergatrice in circostanze controverse all’Hacienda MoteUomo nerol di Los Angeles nella notte dell’11 dicembre ’64. Senza entrare nel merito e nelle diverse versioni dei fatti (un tentato stupro ai danni di una prostituta che si era accompagnata al cantante in un posto chiaramente equivoco sarebbe all’origine dell’omicidio…), va da sé che un uomo, un artista, all’apice del successo prese il volo a 33 anni non ancora compiuti nel più stupido e inaspettato dei modi. Come scrisse Gary Herman in Rock Babilonia, la sua morte sconvolse milioni di ammiratori non tanto per il valore delle sue canzoni, facili e pop, quanto perché Cooke incarnava l’orgoglio della sua razza: era un nero capitalista, proprietario della sua casa discografica, della sua società di gestione e produzione, un uomo che aveva il proprio destino in mano, che sapeva come tener duro nel mondo dei bianchi e che si era alleato apertamente alla causa della liberazione dei neri. Un uomo cui non mancava niente e con tutte le vie spianate. Morto per una lite, si dice, con l’albergatrice che da lui si sentiva minacciata. Appunto, anche se magari soltanto esistenziale, ma sotto c’è il trucco.

Ecco, è questo uno dei tocchi che vorrei caratterizzassero la narrativa horror, in genere, e soprattutto la mia. Quella che ti dice: «Occhio, stai attento, nulla è come sembra. Soprattutto quando tutto sembra funzionare. La normalità è il primo tratto saliente del Perturbante.» Uno come King – piaccia o non piaccia, ci devi fare i conti -, soprattutto dopo il suo incidente (fu travolto sul ciglio della strada da un ubriaco nell’estate del 1999), ha trasferito spesso e volentieri nel suo mondo poetico questa tematica della realtà ingannevole. Ne fa fede, tra i molti esempi che si potrebbero fare, lo stesso incipit dell’ultimo uscito, Mr. Mercedes, in cui decine di persone in fila per un lavoro vengono spazzate via da una rombante Mercedes grigia il cui conducente non ha affatto perso il controllo. Purtroppo tanta spada di Damocle non è soltanto prerogativa della fiction ma della vita stessa. Ed è su questo fronte che va decifrato il valore più importante di una narrativa che chiamiamo horror per comodità, ma che in realtà aderisce meglio alla realtà di tanti altri, contigui generi popolari proprio nel lanciare al lettore segnali di “allerta”.

Infine, scendendo ancor più nel personale, io che ho trascorso molte notti della mia vita a ballare e a suonare, ho spesso percepito nel buio segnali distorti e stonati. Spesso, non sempre. Quando si sfaldava il confine tra legittimo divertimento e aggressiva paranoia; quando i pretesti per attaccare il prossimo prevalevano sulle buone vibrazioni; quando la Notte insomma perdeva il suo genuino carattere di trasgressione necessaria e appagante per diventare solo Notte in grado di sopraffarti.

Tutti si sentono meglio passando la notte a ballare. Poi bisogna tornare a casa, in vita.